Un avvertimento contro l’argomentazione di Kaplan per cui “È tempo di riportare l’imperialismo in Medio Oriente” – Johan Galtung e Naakow Hayford

C’è molto su cui concordare con la pubblicazione in Foreign Policy di Robert D. Kaplan del 25 maggio 2015 nella sua analisi bene informata. E anche moltissimo su cui discordare, specialmente con il suo rimedio sbagliato.

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Palmyra

Kaplan attribuisce l’attuale “caos” – come se grossi mutamenti possano essere ordinati o aver luogo entro il vecchio molto lodato “ordine” nonché “stabilità” – al frantumarsi degli imperialismi, al plurale, cominciando dal crollo dell’Impero Ottomano nel 1918. E gli riesce l’impensabile: non una sola parola su chi gli diede il colpo fatale: Sykes-Picot, Regno Unito e Francia, aiutate dalla Russia zarista. È analisi questa?

Comunque, egli ha molto di positivo da dire sull’Impero-Califfato in quanto ordine dove gruppi svariati ebbero pochissime dispute territoriali (il sistema del millet). Ma non ne trae l’ovvia conclusione: forse c’è un intenso desiderio di tornare a quell’ordine in tutta la regione – senza Istanbul? Certo, sarebbe un sentimento sunnita, ma non escludiamo la possibilità che qualche genio risaldi l’abisso sunnita-sciita creando una comunità politica-economica-militare comprensiva dell’Iran e un nuovo orientamento saudita. Kaplan non lascia varchi per una tale ipotesi, benché desiderata da milioni di persone nella regione. Più importante dell’ISIS è la brama d’un califfato. Quella è la forza trainante dietro l’ISIS.

Piuttosto, Kaplan vede il sorgere dello Stato Islamico come un risultato del crollo dell’impero europeo sulle rovine di quello ottomano, cioè le colonie artificiali di Iraq e Siria; di Palestina e Libano. Per l’ISIS eliminare Iraq e Siria come paesi indipendenti è una parte ovvia della ricreazione di una struttura ottomana altra da Istanbul, basata su wilayat, province, invece degli stati Westfalici.  Non una parola da Kaplan sul vecchio sogno sunnita, l’ummah, la comunità senza confini dei credenti, con innumerevoli nodi, città e oasi, comunità al plurale, capeggiate da imam come guide comunitarie.  Pro o contro, credendo o no nella sua vitalità: nessuna analisi è significativa senza una comprensione dei sogni dell’altro versante.

L’accordo Sykes-Picot del 1916 fu un colpo letale; un altro fu la “patria ebraica” di Balfour del 1917 istituita nel mandato-colonia Palestina.  Per taluni, razzisti, un modo per togliersi gli ebrei fuori dall’Inghilterra e dall’Europa; per altri, zeloti, un modo per accelerare l’Armageddon e con quello il ritorno di Cristo; per altri ancora, uno sforzo autentico di aiutare gli ebrei, vittime dei ghetti e di orribili pogrom.  Tuttavia tenendo conto di queste e altre motivazioni, ne è venuto fuori un impero regionale israeliano, non citato nell’“analisi” di Kaplan: quest’impero, basato su uno spartiacque e una norma detta “pace a pezzi”, con approcci separati e molto vari verso i cinque vicini e oltre, ha cooperato, più o meno, con l’impero mondiale USA in declino, chiamato “egemonia”. La primavera araba era contro l’uno e l’altro, e i loro clienti.

Kaplan fa giustamente notare che le dittature associate con Assad, Hussein e Gheddafi erano “organicamente connesse all’eredità dell’imperialismo”, non quello USA-israeliano ma quello europeo. Ma essi tentarono anche modelli laici con il ba’athismo, modelli anche socialisti, pertanto odiati dagli USA. E a tratti ebbero anche crescita e successo; odiati da Israele che li voleva fatti a pezzi. La dimensione nucleare fu un utile pretesto; la maggior minaccia a Israele attualmente è la propria politica: le bombe sporche sono a buon mercato di questi tempi.

Sì, l’Iran zoroastrico-sassanide-persiano ha un’antica tradizione ed è presuntuoso. Ma così era l’Islam in espansione da Casablanca a Baghdad entro 70 anni dalla morte del profeta. L ’Arabia saudita è solo “custode delle due moschee” e non ha autorità morale, a differenza di Qom in Iran. L’ISIS è un tentativo di istituire un’autorità sunnita, forse condannata al fallimento a breve termine, ma non nel medio. L ’Arabia saudita, come i suoi alleati USA e Israele, basa il potere solo sull’uccisione a differenza di Mao che in aggiunta aveva ben più da offrire di quanto venne fuori dalla canna d’un fucile. Benché condannato a fallire a breve, medio e lungo termine, l’imperialismo USA-israeliano-saudita sembra essere per l’appunto quel che Kaplan vuole riportare in atto.

Aiutato dall’Egitto e dalla Turchia. “I servizi di sicurezza egiziani sotto l’uomo forte militare de facto el-Sisi sono già silenziosamente alleati con i servizi di sicurezza israeliani a Gaza, in Sinai e altrove”. Vero.  “Una Turchia forte di per sé aiuta a equilibrare il potere iraniano.” Questo è un modo di pensare vecchio, screditato da “equilibrio dei poteri” che potrebbe facilmente portare a corse agli armamenti e guerre atte a incendiare tutto il Medio Oriente.

Ma immaginiamo che l’Iran sia “contenuto”. Al prezzo di quell’”uomo forte militare” (vale a dire: dittatore e golpista) che la passa liscia con gli asassinii diretti contro l’islam, approfondendo l’abisso fra laici-militari e la fratellanza musulmana. Come finiremmo? Con conflitti più intrattabili che mai, entro tutti e cinque i paesi. Il colera per curare la peste?

Kaplan commenta il “crollo dell’autorità centrale in tutto il Medio Oriente iniziato con la caduta di Saddam Hussein”. Cadde da solo, sì? Usato dagli USA contro Khomeini dal 1980 al 1988, Hussein scoprì tardi come lo stavano usando, prima di volgersi contro gli USA che si assicurarono che fosse impiccato senza dargli un’opportunità di difendersi, in una caricatura di giustizia. Si affrettarono a negargli quell’opportunità, pur essendo un’autorità.

Ormai da un’ora all’altra possiamo venire a sapere altri particolari sull’ovvio crollo della strategia chiave finora: addestrare i locali per combattere le guerre USA – si tratti di Afghanistan, Iraq o Siria, o Yemen e Somalia; ripetendo il fallimento del Vietnam. Sottostante a tutto quanto, percepiamo profondi deficit e deficienze intellettuali – oltre che morali. Kaplan indica problemi molto reali ma omette sistematicamente di far notare che molti o la gran parte di essi sono dovuti a politiche occidentali in generale e USA in particolare. Ci vede caos dove molto altri vedono speranza; vuole un ordine che la gran parte degli altri considera disperato; verificato e trovato carente.

Invitiamo Kaplan a considerare alternative alla sua idea di riportare l’ordine con la brutalità imperiale. Piuttosto li si aiuti a creare un califfato con le migliori qualità del suo predecessore ottomano: la tolleranza, i millet per le minoranze, addirittura la saldatura potenziale dello squarcio fra sunniti e sciiti. Si usi il peacekeeping militare per proteggere, difensivamente, le minoranze esposte e minacciate. Si negozi uno spazio per Israele. Ma non ci si perda in sterili rivalità di potere militari; già perse dagli USA.

1 giugno 2015 –

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

Titolo originale: A Warning against Kaplan’s Argument That “It’s Time to Bring Imperialism Back to the Middle East”

http://www.transcend.org/tms/2015/06/a-warning-against-r-d-kaplans-article-its-time-to-bring-imperialism-back-to-the-middle-east/

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