Non esistono più le mezze stagioni…

Non esistono più le mezze stagioni…

Ma quelle intere, con il «cambio nell’armadio» sì. E se anche non lo facciamo per la stagione, dovremmo farlo per non tenere nell’armadio vestiti che tanto – lo sappiamo – non useremo più, non dimagriremo più, non cambieremo «look», non torneremo a indossare i jeans dei vent’anni… e allora, perché non provvedere a uno swap-party (una festicciola dove ciascuno porta quel che non indossa più e ognuno può tornare a casa con qualcosa di nuovo)? Oppure perché non fare un bel sacco e portarlo alla parrocchia più vicina? I vestiti usati – oltre a essere donati così come sono a chi ne ha bisogno – possono anche essere rivenduti (per una buona causa) o riciclati per farne – anche – materiali per l’edilizia ecologica. Naturalmente è meglio informarsi prima di dove fanno a finire i nostri vestiti usati1, perché anche quelli possono diventare un business poco pulito.

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Nonostante la legge Ronchi nel 1994 ne abbia sancito il trattamento come rifiuti riciclabili, solo il 12% dei rifiuti tessili lo è. Ne ricicliamo solo 1 chilo e 600 gr a persona, all’anno (ma il consumo annuale pro-capite è di 14 chili), quindi dobbiamo imparare a riciclare anche i vestiti usati, invece di buttarli nella pattumiera. Per le strade ci sono i cassonetti (di solito gialli) per conferire gli abiti usati; alcuni hanno a che fare con Amnesty International altri con organizzazioni benefiche (Caritas, Croce Rossa…); i cassonetti vengono periodicamente svuotati e il contenuto sottoposto a una cernita: i capi in buono stato sono riportati sul mercato per essere venduti come abiti di seconda mano; quelli non più utilizzabili vivono una nuova vita come fibre tessili o ancora diventano stracci per pulizie. Il lavoro di cernita – e non solo – compiuto dalle organizzazioni è svolto anche da persone in situazioni di disagio sociale.

Riciclando 1 kg di vestiti si risparmiano 6.000 litri di acqua, 200 g di pesticidi e 300 g di fertilizzanti

Quando il contenuto dei cassonetti arriva nei centri di smistamento succede che il 68% è rivenduto come abito usato; il 50-70% è donato direttamente ai bisognosi; il 20-30% è riciclato (per ottenere fibre da riutilizzare nell’edilizia, per esempio come isolante…); il 10% è spedito in discarica (dove un tessuto impiega moltissimi anni per decomporsi: 1 anno il cotone o la lana, fino a centinaia di anni un tessuto sintetico (un altro motivo per scegliere fibre naturali, non solo per la nostra salute, come vedete).

E le scarpe?

A Torino è attivo il progetto Ri-scarpa, con contenitori distribuiti nelle scuole, dove si possono conferire scarpe usate che finiscono per diventare altri oggetti grazie al lavoro anche di persone svantaggiate (basta cercare la parola «riscarpa» in Internet per accedere alle notizie riguardanti il progetto (come funziona, dove sono i raccoglitori, che fine fanno le scarpe). Ce n’è uno in centro a Torino, presso la scuola Balbis di via Assarotti.

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