L’orto diffuso – Recensione di Cinzia Picchioni

orto_Layout 1Mariella Bussolati, L’orto diffuso, ORME Edizioni, Roma 2012, pp. 124, € 14,90, copertina rigida

Orto Diffuso è una rete che intende diffondere ovunque l’orto come pratica sociale, economica, politica, rivoluzionaria: si occupa di mappare – on-line – tutti i giardini, gli spazi comunali degradati e/o abbandonati che potrebbero essere trasformati in orti. Altri dati (oltre alla mappatura) sono presenti anche in una divertente sitografia a p. 115 – di questo libro che si è intitolato non a caso con lo stesso nome del progetto. Riprendo solo qualcuno dei nomi che mi sono piaciuti di più: libere rape metropolitane; coltivare rappOrti; orto insorto; orto circuito; piano terra.

Dati più seri

Non che i nomi non lo siano, anzi, li trovo geniali; ci sono orti comunali a Firenze, Roma, Genova, Torino, Eboli, Pisa, Savona e Milano, soprattutto Milano, direi (scusatemi per il campalinismo, sono milanese di nascita…), perché è lì che è nato l’orto e si è “diffuso” in Italia (18mila orti sociali, di cui 24mila in Emilia). A Milano è stata approvata (nel 2012? C’è la data – 25 maggio – ma non c’è l’anno, p. 41) una delibera che regola i giardini comunitari e consente ai cittadini di gestirli; ci sono più di venti realtà di orti partecipati, a Milano, e la rete delle Libere Rape Metropolitane (che le tiene collegate) è stata presentata nel 2010 alla facoltà di Agraria (rape.noblogs.org). Se abitate a Milano siete invitati a segnalare altre di queste realtà, anche balconi, terrazzi, tetti, spazi privati: [email protected].

Un po’ di storia

Nel libro si scoprono curiosità sulla genesi degli orti urbani, dalla Rivoluzione Industriale ai giorni nostri, e ci sono dati della Coldiretti secondo cui il 37% (nel 2011) della popolazione si dedica alla coltivazione di un orto; 6 milioni e mezzo di orti sono “ai piani alti” (il 17,4% in Lombardia). “Ai piani alti”? Sì, cioè sul balcone, nei terrazzi, sui tetti. Sui tetti? Già, c’è tutta una spiegazione sul perché è una buona idea – fin dalla progettazione – fare un orto sul tetto di un edificio; scopriamo che non c’è pericolo e anzi il verde elimina le polveri sottili e il monossido di carbonio e serve anche a far risparmiare energia per il riscaldamento (e per il raffreddamento); dal tetto si ha la maggior dispersione termica, in estate raggiunge temperature fino a 80° e scende fino a 20° di notte. Un buon tetto verde potrebbe mantenere la temperatura estiva costantemente intorno ai 25°, contribuendo a ridurre l’effetto serra perché le piante, con la fotosintesi, assorbono anidride carbonica. Il Dipartimento di Orticoltura della Michigan State University ha calcolato che a Detroit verrebbero “sequestrate” dal verde 33.252 tonnellate di carbonio se si coltivassero tutti i tetti (7mila ettari di superficie). Il che sarebbe come togliere dalla strada 10mila Suv (e nel libro si aggiunge: “Se entrambe le operazioni venissero fatte, si starebbe molto meglio”, p. 69). Già.

Non solo risparmio

Coltivare un orto – sul tetto o sulla terra – ha sempre soddisfatto, e soddisfa, i bisogni fondamentali dell’uomo, il quale – secondo Abraham Maslow – deve poter contare su: protezione, affetto o stima, partecipazione, autorealizzazione o creazione, identità o appartenenza (oltre naturalmente a soddisfare le proprie necessità fisiologiche). Tali bisogni hanno tutti la stessa importanza, non c’è gerarchia fra di essi. Per questo forse a Bologna hanno organizzato un convegno dal titolo geniale: “Coltivare RappOrti”?

Tanto per cambiare, cinema!

Chi mi legge da tempo sa che, quando posso, metto di mezzo il cinema, in quello che scrivo. Ma il più delle volte non ce n’è bisogno, come in questo caso. Cinque pezzi facili è un bellissimo film (forse uno dei più belli degli anni Settanta) con Jack Nicholson, e non ho potuto fare a meno di pensarci leggendo il titolo di p. 90: “Cinque facili passi”, in questo caso per creare un giardino, un orto comunitario o uno spazio di verde partecipato. Vi si trovano – appunto – cinque mosse da fare per partire; altrove poi ci sono i prezzi indicativi (p. 80); a p. 22 il perché le verdure di  città non sono inquinate; a p. 62 api e non solo verdure; a p. 75 le consociazioni migliori; e a p. 65 un buon modo per riutilizzare i penumatici usurati per coltivare le patate!

Il paragrafo “cinematografico” fa parte di un più ampio capitolo che forse è il più bello di tutto il libro. Vi si narra l’esperienza di un quartiere nella periferia milanese. Da non perdere, per un pieno di speranza.

E l’impronta?

La casa editrice si chiama ORME, c’è perfino il piccolo logo – l’impronta di un piede nudo – e il nome della collana è: “Secondo natura”, ma il libro non è stampato su carta riciclata, né certificata. Perché?

Bellissimo invece – e coerente – il logo di Orto Diffuso (guardate la foto a p. 110): un cavolo romano, a struttura frattale.

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