In lotta contro i «medici» dei lager. I cristiani che resistettero a Hitler – Stefano Jesurum

Frediano Sessi e la ribellione della «Mano nera» (Marsilio). Il nazista Eugen Haagen, dopo Norimberga, scontò solo 10 anni su 20. E tornò a lavorare.

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Carl Clauberg (primo da sinistra) e altri medici nazisti di Auschwitz

A lsazia, lembo di Francia martoriata dall’occupazione, 1940 e anni seguenti. Stimato scienziato, virologo, cattedratico di chiara fama con alle spalle uno stage triennale all’Istituto Rockefeller di New York. La sconfitta delle infezioni — psittacosi e tifo — la sua grande missione. Dedizione pressoché assoluta alla scienza e al bene della Germania. Convinto nazionalsocialista. Padre dell’adorato Tom, figliolo per metà tedesco e per metà svedese da parte di madre pensando al quale, con immensa tenerezza, Herr Doktor si rallegra: «Ariano puro poiché gli svedesi, nella gerarchia delle razze sono tra i più vicini ai popoli germanici». Il quadro è chiaro.

Un gruppo di adolescenti rinchiusi in un campo di concentramento perché ribelli, imbrattavano i muri delle strade con scritte contro gli invasori e portavano a termine atti di sabotaggio. Poco più che bambini, di fronte ai quali il guardiano del lager si ferma chiedendo se conoscano quel ragazzo dal viso tumefatto. Tra gli internati costretti a osservare, in piedi davanti alla baracca numero 8, c’è Jean-Jacques Bastian: «Ciò che mi colpì in modo particolare fu che la vittima, nonostante fosse insanguinato dalla testa ai piedi, continuasse a gridare: “Viva la Francia!”, e il suo volto fosse illuminato da un grande sorriso».

Lui, il virologo nazista, è Eugen Haagen; loro i ragazzini dell’organizzazione Mano nera e successivamente i nuovi compagni del Fronte della Gioventù alsaziana. L’incontro tra l’uno e gli altri è storia che si svolge in buona parte nei campi di concentramento Schirmeck e Natzweiler.

Racconti paralleli ricostruiti con la precisione documentaria che gli è propria da Frediano Sessi in Mano nera. Esperimenti medici e resistenza nei lager nazisti (Marsilio, pp. 256, € 17). Se i «protagonisti» del libro sono Haagen e, tra i molti, Marcel Weinum (fondatore della Mano nera), Charles, Aimé, André, Martin, Albert, Jean-Jacques, Ceslav… — in massima parte cristiani devoti —, i tragici «comprimari» sono per lo più prigionieri classificati dal potere come sottouomini: polacchi, zingari, più un centinaio di internati del lager di Auschwitz scelti come cavie umane dalle SS.

La storia mette ciascuno davanti alle proprie responsabilità. «Tra tutti i medici nazisti della Reichsuniversität di Strasburgo, Haagen fu quello che usò per i suoi esperimenti il numero maggiore di cavie umane. Assisteva beffardo e indifferente ai prelievi epatici, assai dolorosi». Alla fine della guerra fu arrestato, incarcerato a Norimberga, processato e, il 14 maggio 1954, dopo un’ora sola di camera di consiglio, condannato a 20 anni di lavori forzati; non fece ricorso e presto la pena fu ridotta a 10 anni; liberato nel settembre 1955; continuò a lavorare; morì settantaquattrenne nel suo letto, a Berlino, il 3 agosto 1972.

A Schirmech la Mano nera organizzò un attentato contro Haagen, non per ucciderlo — troppo credenti per togliere la vita — ma per renderlo inabile alla «ricerca», magari accecandolo. Fallirono. Parecchi, dopo lunghi periodi di durissima «rieducazione», furono costretti ad arruolarsi e a combattere — centinaia i racconti di questi soldati, i «Malgré-Nous». Altri conobbero il carcere. Altri riuscirono a raggiungere la Resistenza. Nell’aprile 1942 la stampa nazista diede notizia della decapitazione di Marcel Weinum, comandante dell’organizzazione «criminale» Mano nera.

Queste storie parallele confrontano due modelli di moralità. Quello del professor Haagen, di cui abbiamo conosciuto la delittuosità. E l’altro, di un gruppo di francesi per lo più in calzoni corti che decide di lottare a costo della vita per restituire la libertà alla propria terra e non perdere umanità e dignità. Quegli imberbi sono stati uno dei primissimi casi — se non storicamente il primo — di resistenza, «un modello che resta ancora un sogno in attesa di essere realizzato nonostante abbia militanti pronti a ogni sacrificio per convincere gli altri a perseguirlo». Continua Frediano Sessi: «Il mio libro vuole sollecitare i lettori a trasformarsi in promotori di quel sogno, per dare un futuro migliore non solo ai nostri figli e nipoti ma all’intera umanità».

in «Corriere della Sera», 31 dicembre 2014

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