La questione palestinese: come si esce da questa situazione? – Oraib Al-Rantawi

La bozza di risoluzione arabo-palestinese, che vorrebbe stabilire la fine dell’occupazione della terra palestinese e definire una data limite per la dichiarazione di uno Stato palestinese, sarà consegnata alla comunità internazionale al più tardi il prossimo mese, in base a quanto assicurato da parte della dirigenza palestinese e di coloro che la rappresentano. E’ probabile che la risoluzione sarà approvata all’inizio del prossimo anno, dopo che altri quattro Paesi che appoggiano i diritti all’autodeterminazione dei palestinesi entreranno nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

A symbolic Palestinian UN chair is place

Finchè la risoluzione non sarà approvata, la scena diplomatica internazionale e regionale rimarrà in fermento, con i tentativi di convincere i dirigenti palestinesi a fare marcia indientro e a ritirare la loro decisione. Questi tentativi prendono a pretesto il fatto di essere cauti ed evitare un pesante scontro con Washington; la stessa scusa utilizzata dai ministri arabi al Cairo. Altri motivi includono l’esaurimento di ogni altra possibilità prima di ricorrere a questa misura, e, in questo caso, si è parlato della volontà degli USA di riprendere la missione di Kerry. Ci sono state anche discussioni a proposito del fatto di tenere una conferenza internazionale sulla questione, un suggerimento da parte della Francia ma rifiutato da Israele. E’ molto probabile che il presidente palestinese e molti leader arabi non escludano la possibilità di riprendere i negoziati, nonostante l’inutilità e l’inefficacia fino ad ora dei colloqui, alla luce dello spostamento di Israele verso politiche di destra e l’estremismo nazionalista e religioso, e nonostante il fatto che il governo di Netanyahu è impegnato nelle elezioni anticipate, che lo terranno impegnato tra sei mesi e un anno.

Il progetto dei palestinesi di rivolgersi al Consiglio di Sicurezza, se lo faranno all’inizio dell’anno e avrà successo nel garantire le “condizioni necessarie” per far passare questa risoluzione, si troverà a dover affrontare due alternative. La prima è che l’America usi il suo diritto di veto per proteggere Israele ed impedire che la comunità internazionale faccia un ulteriore passo per il riconoscimento dei diritti dei palestinesi. La seconda possibilità è che Washington si astenga dal voto (cosa improbabile) e che una nuova risoluzione si aggiunga alla raccolta [di risoluzioni ONU] in costante aumento emesse dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale e rimaste nient’altro che carta straccia.

I palestinesi non parlano molto di quello che succederà dopo se riusciranno ad ottenre il voto [favorevole]; è come se fossero certi che una risoluzione come questa non passerà mai. Se invece così fosse, si accontenteranno della risoluzione in sé? Che cosa ne sarà degli altri argomenti del programma palestinese? Nessuno ha dato informazioni su queste questioni. Comunque, nel caso in cui i palestinesi non riuscissero a far approvare la loro risoluzione, il presidente palestinese ha detto ai ministri degli Esteri arabi al Cairo che l’ANP si rivolgerà a varie organizzazioni e convenzioni internazionali per completare l’adesione della Palestina all’ONU, piuttosto che rimanere sotto “la salvaguardia e il patrocinio” dell’ONU come negli ultimi due decenni. Non c’è dubbio che questa misura è un passo nella giusta direzione e siamo certi che fare della causa palestinese la priorità dell’ANP e parlare di “porre fine all’occupazione” invece che di “processo di pace” è un passo atteso da troppo tempo che è necessario per sfuggire alle mistificazioni e ai trucchi che arabi e palestinesi hanno pensato di promuovere fin dall’inizio della conferenza di Madrid.

Di per sé, una simile iniziativa non è sufficiente per mettere fine all’occupazione e a breve termine la può rendere più onerosa, come minacciato dal presidente Mahmoud Abbas. I palestinesi hanno bisogno di fare di più per risolvere l’attuale situazione di stallo, indipendentemente dal fatto di avere successo al Consiglio di Sicurezza o se riescono a superare l’impasse del veto americano.

Io, come molti altri, ho parlato di una nuova strategia palestinese che include il ricorso al Consiglio di Sicurezza, anche se questo non sostituisce o costituisce l’intera strategia. Questa strategia deve essere messa in pratica senza ulteriore attendismo portando a termine l’adesione palestinese all’ONU ed ai vari organismi internazionali. Comprende anche il fatto di sistemare gli affari interni palestinesi, organizzare una resistenza popolare pacifica a lungo termine e fornire a questa resistenza i mezzi di cui ha bisogno per essere sostenuta. Al momento non sembra che nessuna di queste questioni sia realizzata né che sia in corso di realizzazione.

Abbas ha in precedenza minacciato di interrompere il coordinamento in materia di sicurezza con Israele, allora perchè l’ANP non ha iniziato a limitare questo coordinamento e a ridurrne progressivamente l’efficacia in modo che la sua minaccia sia presa sul serio da Israele e dai suoi sostenitori? Perchè non riorganizzare la struttura ed i funzionari dell’ANP in modo nuovo che si adegui alla strategia della resistenza popolare di cui abbiamo sentito parlare giorno e notte ma che finora non ha fatto nessun progresso?

Il peggio di tali minacce palestinesi frequentemente ripetute è che hanno perso il loro potere e impatto e nessuno più presta loro attenzione. Per una volta l’ANP deve far seguire i fatti alle parole, anche se in modo simbolico e graduale, in modo da vedere se Israele risponde. Se non lo fa, la dirigenza palestinese si troverà in una situazione difficile e imbarazzante, non solo con i suoi nemici e rivali, ma anche con il suo popolo.

Traduzione di Amedeo Rossi
Fonte: Middle East Monitor
Mercoledì 3 dicembre 2014

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