I Palestinesi non sono ancora pronti per un’Intifada

Amira Hass

Troppi gruppi sociali temono lo scontro diretto del popolo contro il governo di destra. Ma potrebbe ancora prevalere una sollevazione generale.

Quello che in Israele appare come un’escalation e un’ondata di attacchi ad opera di individui, nella società palestinese è visto come l’eccezione che conferma la regola.

La regola consiste nel fatto che, sebbene un governo straniero e la sua sterzata a destra forniscano validi ragioni per una sollevazione popolare, la maggioranza dei palestinesi della Cisgiordania e di Gaza non è (ancora) pronta per questo, come ha scritto il sociologo Jamil Hilal in maggio sul sito del gruppo di esperti di Al-Shabaka. [I palestinesi] non vogliono partecipare ad azioni che darebbero luogo a una terza Intifada.

Secondo il punto di vista palestinese ciò che è significativo non è il fatto che gli attacchi individuali siano aumentati nelle scorse settimane, quanto il fatto che non ci siano maggiori atti disperati da parte di singoli individui. Dopo tutto è pervasiva la percezione di un finale mortale.

Lunedì sera, quando è stata confermata la notizia delle pugnalate nei pressi della colonia di Alon Shuvt, al Centro culturale di Ramallah si stava svolgendo la cerimonia dell’assegnazione del premio Yasser Arafat, facente parte di una settimana di eventi commemorativi del decimo anniversario della sua morte.

Nel Centro spazioso, in un quartiere borghese non lontano dagli edifici che ospitano gli uffici delle Nazioni Unite e della Sicurezza palestinese, il premio è stato assegnato all’ospedale Shifa di Gaza, e, in qualità di rappresentante delle istituzioni, al Ministero palestinese della salute del governo di riconciliazione nazionale.

Il premio può essere visto come un apprezzamento per l’equipe sanitaria che ha curato migliaia di feriti durante l’estate scorsa, la maggioranza dei quali, se non tutti, erano legati al governo di Hamas. Il premio può anche essere visto come un mezzo per l’Autorità Palestinese di prendersi una parte del merito e celebrare la saldezza dei palestinesi di Gaza durante l’attacco israeliano, senza che emergesse una chiara posizione contraria al ruolo di Hamas nello scoppio della guerra.

In ogni caso, la cerimonia e i premi fanno parte dello stile di vita dei dirigenti e di altre elite che coltivano l’illusione di [appartenere a uno Stato] sovrano e hanno scelto una linea politica [fondata sulla trattativa] diplomatica. Il Primo Ministro Rami Hamdallah ha parlato durante la cerimonia di una sollevazione popolare pacifica. L’AP non sta elaborando realmente una tattica di una rivolta popolare, avendo certamente paura di un’escalation militare.

Sia che il ceto socioeconomico che sostiene l’AP debba il suo rapido aumento del livello di prosperità o di relativo benessere allo statu quo, sia che [esista] la consapevolezza della mancanza di leader che possano dirigere la sollevazione, mentre si dovrebbe porre l’accento sulla via diplomatica e su quella del boicottaggio e delle sanzioni, il risultato è lo stesso. Troppi gruppi sociali hanno ragione di temere uno scontro diretto contro il governo israeliano di destra. Il pesante prezzo che dovrebbero pagare al momento non sembra valere la pena.

Quelli che hanno effettuato i recenti attacchi speravano di spingere altri a emularli?

È difficile saperlo. L’Agenzia palestinese di informazione Ma’an ha posto una domanda interessante: gli attacchi mordi e fuggi esprimono la rabbia popolare contro il razzismo dell’occupazione o stanno succedendo a causa dell’inerzia delle organizzazioni [palestinesi]?

[Il sondaggio] aggiornato a lunedì sera, ha visto 3.771 persone (83,8 %) rispondere affermativamente alla prima domanda e 627 (13,9%) alla seconda. Cioè, la maggioranza delle persone non ha trovato negli attacchi una caratteristica [attinente] ai problemi interni palestinesi, bensì una manifestazione della diffusa rabbia. Così gli assalitori rappresentano ognuno; non vi è alcun bisogno di emularli.

Israele è convinta che una feroce repressione e la punizione delle famiglie degli assalitori scoraggerà altri [dall’emulazione]. Ma due Intifada hanno dimostrato che più Israele opprime duramente persone diverse dai combattenti, più persone saranno spinte ad associarsi allo scontro con l’esercito.

La linea – tra le ragioni soggettive a non scontrarsi direttamente con l’occupazione israeliana e quelle obiettive [per cui] ognuno dovrebbe farlo – è molto sottile.

12 novembre 2014, Haaretz
(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)


 

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