Don Zeno e il cinema – Recensione di Cinzia Picchioni

Don_Zeno_Vocazione_politicaRemo Rinaldi – Umberto Casari, Don Zeno e il cinema, Fondazione Nomadelfia, Roma 2013, pp. 176, edizione fuori commercio

Il cinema, il grande cinema

può arrivare fino alle «cime abissali dell’infinito»

[Card. Gianfranco Ravasi, p. 24]

Nuovo cinema Piccoli Apostoli

Il libro contiene la rievocazione dell’attività cinematografica del fondatore di Nomadelfia, compreso il suo considerare il cinema un ottimo mezzo educativo e di diffusione di idee. A San Giacomo Roncole, nella parrocchia in cui era cappellano, don Zeno organizzò un cineforum ante-litteram (proiettò Michele Strogoff nel 1931!), con tanto di discussione finale. Il cinema, battezzato Piccoli Apostoli, fu osteggiato (don Zeno persino denunciato) perché attorno alla sala si riunivano «persone note per precedenti politici» (siamo nel 1939). Ma don Zeno non si scoraggiò, divenne amico del regista Pietro Germi, nonostante il suo film Il cammino della speranza venisse accolto con riserva da parte cattolica; don Zeno del resto aveva già accusato i cattolici di aver «perso la corriera» (nel produrre pellicole ispirate a valori religiosi), di non aver utilizzato al meglio il mezzo cinematografico per diffondere il messaggio cristiano e ci vorrebbe pensare lui, progettando di riunire Germi e De Sica per fare «qualcosa di meglio»: nel 1967 scrisse a Pietro Germi per produrre un film ispirato agli ideali di Nomadelfia, ritenendo che fra i bisogni primari dell’essere umano ci sia anche quello del diritto alla formazione culturale e artistica (ma qualcuno non ha recentemente che «con la cultura non si mangia»???!).

Don Zeno uomo – anche – di cinema dunque, che tentò di creare una casa di produzione cinematografica, una scuola di cinematografia, un’azienda di attrezzature per la proiezione; negli anni Venti del Novecento captò l’interesse di alcuni uomini di chiesa – soprattutto in Lombardia – verso il cinema come mezzo di elevazione culturale, morale e religiosa; essendo di indole anti-intellettuale e portato ad agire iniziò le proiezioni non solo nella parrocchia di San Giacomo, ma anche in alcune del territorio e persino fuori provincia; diede l’avvio anche a una scuola di cinematografia – assoldando due tecnici di Cinecittà – utilizzando coraggiosamente la pellicola (e all’inizio degli anni Trenta si è ancora ben lontani da concetti come «pastorale massmediale» o «cineforum»).

La passione per il cinema gli nacque quand’era giovanissimo: proveniva da una famiglia benestante e andava spesso al cinema. Durante gli studi universitari a Milano conobbe poi il rettore, Agostino Gemelli, che per primo portò all’interno dell’università lo studio dei mezzi di comunicazione (a quel tempo cinema e radio), «mettendone in risalto il potere onirico-seduttivo e la capacità di coinvolgimento dello spettatore. Gemelli intuisce le potenzialità pedagogiche di questi mezzi di comunicazione nonché il problema di un’educazione all’uso di questi mezzi e al loro linguaggio. Zeno potrebbe essere stato influenzato dal rettore della Cattolica» (p. 68).

Il contributo «piemontese» e altri

Le parole e gli eventi di questo mondo

sono atti a fare da veicolo alla sua [di Dio, NdR] comunicazione

[…] capaci di dire il suo amore, la sua verità e la sua vita

nei […] linguaggi da essi [gli eventi umani, NdR] usati

(verbale, per immagini, sonoro, gestuale, per vibrazioni ed emozioni ecc.),

sono tende potenziali in cui il Verbo non disdegna di abitare,

lembi del suo mantello,

attraverso cui può passare una potenza salvifica.

(p. 24, Card. Carlo Maria Martini)

Nel panorama della chiesa negli anni Trenta (come abbiamo visto non molto attenta al cinema) ci fu un’eccezione: don Alberione (piemontese, 1884-1971, fondatore – nel 1931 – del periodico «Famiglia Cristiana»), che considerava i mezzi di comunicazione di massa (radio, cinema, stampa, televisione – quando ci fu) i più efficaci e veloci per diffondere il Vangelo, far conoscere Gesù Cristo e raggiungere tutti gli uomini, soprattutto quelli più lontani (in senso fisico e non solo). Don Alberione conobbe don Zeno, senza tuttavia collaborare con lui; ma incoraggiò il progetto di fondazione della casa di produzione Romana Editrice Film (in seguito Sanpaolofilm), che – grazie anche all’adozione del passo ridotto – costituì una rete capillare di distribuzione e proiezione presso le sale parrocchiali.

Strategie comunicative

Al «casinone» (così era chiamato il palazzotto di San Giacomo Roncole adibito a sala cinematografica), come oggi al cinema Ideal di Torino (dove le donne possono assistere agli spettacoli con prezzo molto ridotto, il martedì), lo spettacolo del martedì è gratis per le donne, pagano solo gli uomini che le accompagnano. Come oggi nelle discoteche, i bambini che assistevano alla messa domenicale ricevevano un timbro sul braccio che consentiva l’ingresso gratuito allo spettacolo del pomeriggio (e a film iniziato potevano entrare anche quelli senza timbro). Il venerdì era riservato ai giovani, a prezzi bassissimi. La domenica sera il cinema era per tutti e divenne l’attrazione principale per la gente delle frazioni e dei comuni vicini (superando il migliaio di presenze durante l’estate (non perdetevi la foto di p. 17 che mostra il cinema all’aperto (1938), e alcune delle locandine utilizzate per pubblicizzare le proiezioni).

L’immancabile discorso di don Zeno era nell’intervallo fra un tempo e l’altro, così tutti potevano ascoltarlo: «“[…] quella brevissima frase “E poi spiegavo il film, chi era Shakespeare, chi era Mendelssohn”, rivelatrice del genio didattico e pedagogico di don Zeno. Non per niente egli è citato nei manuali di storia della pedagogia», pp. 96-7.

E non parlava solo di cinema, don Zeno, ma «[…] con i discorsi rivolti ai frequentatori dei suoi spettacoli cinematografici, tiene lontana dalla retorica del regime la popolazione, specie quella giovanile, che viene perciò educata a guardare con occhio critico al fascismo. Più che antifascisti i suoi discorsi sono rivolti contro l’ingiustizia sociale che perdura durante il fascismo», pp.113-4.

Alla fine (dopo che don Zeno fu ridotto allo stato laicale, e poi re-integrato) anche il mondo del cinema si interessa alla sua esperienza: viene realizzato un cortometraggio su Nomadelfia e perfino la stampa estera ne scriverà. Negli anni Sessanta Enzo Biagi diresse il film a episodi Italia proibita e Giuseppe Fina diresse un programma-inchiesta per la RAI (fotografie a Nomadelfia, p. 145). Emblematica del clima che si viveva in quell’esperienza è anche la testimonianza di chi ha vissuto le vicende dall’interno (pp. 128 ss.), un bambino-mendicante che fu “salvato” da don Zeno cominciando a timbrare i biglietti al cinematografo.

Don Zeno muore il 15 gennaio 1981, lasciando – fra le altre – queste parole, trascritte da un discorso che tenne nel 1962-’63:

«Che cosa lasciamo in eredità ai nostri figli? […] Abbiamo perso la cinematografia. […] La televisione non è nelle nostre mani. […] La cinematografia è molto più efficace ella stampa, la cinematografia incide, imprime nelle coscienze in tutti gi spettatori. […] mette la figura, mette tutto in un attimo e tiene inchiodati lì i nostri figli e noi anche, un’ora, un’ora e mezza lì per cui tutto si concentra su quello schermo […] che modella e corpo e spirito. Questa cinematografia non era un divertimento, era il mezzo più grande che Dio ci dava in mano per salvare gli uomini, per illuminare il mondo», p. 144.

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