Altre modalità dell’ occupazione. Da rimuovere il blocco

Amira Hass

A uso dei negoziatori palestinesi e degli intermediari diplomatici, ecco un elenco dei principali elementi dell’assedio di Gaza che i palestinesi dovrebbero chiedere di rimuovere.

La tremenda guerra di quest’estate ha nuovamente portato all’attenzione del mondo il blocco della Striscia di Gaza – o, più correttamente, la sua chiusura. E’ quindi importante continuare a scriverne, ancora e ancora, finché il ferro è caldo (per la millesima volta), fino a che l’assedio non sia del tutto tolto.

Come Israele, anche Hamas ha confuso e mistificato i fatti. Perciò va ripetuto a gran voce che il blocco non comporta soltanto il divieto d’importare materie prime nella striscia, e di esportare beni agricoli e industriali, nonché l’assenza di un porto nel territorio.
Soprattutto, il blocco viola il diritto per le persone di muoversi liberamente e di andare a studiare dove vogliono, e di vivere nel proprio paese. Viola il diritto di vivere con la propria famiglia ed i propri amici, di cercare lavoro e di passare il weekend dove si preferisce, nella propria terra.

Quindi sono questi i principali elementi del blocco che devono essere eliminati:

La scandalosa definizione da parte di Israele dei residenti della Striscia di Gaza come “illegalmente presenti nella West Bank (Cisgiordania)”. Questa definizione venne usata per la prima volta nel 2000, quando Israele espulse o minacciò di espulsione verso Gaza i palestinesi della West Bank, per il solo fatto che avevano un indirizzo di Gaza stampato sul loro documento di identità.

Un ambiguo visto turistico

“Permesso di soggiorno” per i palestinesi nati a Gaza, che consente loro di risiedere nella West Bank: è questa una sorta di ambiguo visto turistico che permette alle persone di vivere nella propria terra. Ma è anche un ulteriore documento oltraggioso che venne concepito alla fine del 2007 dal Coordinatore del Ministero della Difesa per le attività di governo nei Territori, senza alcun procedimento legale né alcun preavviso. E adesso per la prima volta rivelerò che cosa sta dietro questo documento. Vergognosamente, fu in realtà il Ministro palestinese per gli affari civili, la controparte dell’Amministrazione civile delle forze armate israeliane, che chiese ad Israele di crearlo.

Era il periodo della guerra tra Fatah e Hamas, quando quest’ultimo prese il controllo delle agenzie di sicurezza nella Striscia di Gaza. Centinaia di membri di Fatah, soprattutto i membri delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese, fuggirono da Gaza in Cisgiordania, ovviamente con l’avallo di Israele. Ma, a causa della definizione dei gazawi come residenti illegali della West Bank, ogni soldato o poliziotto israeliano che fermava un palestinese di Gaza ad un checkpoint della West Bank, avrebbe dovuto espellerlo.

Il Ministero per gli Affari Civili palestinese è una delle roccaforti feudali che il movimento Fatah ha ricevuto in cambio della sua partecipazione agli accordi di Oslo con Israele, anche se fu ben presto chiaro che Israele usava quegli accordi per accrescere la sua presa sui territori. L’attenzione per i membri di Fatah si sostituì al doveroso impegno del Ministero per gli Affari Civili dell’Autorità Palestinese di comprendere la politica israeliana tesa a separare la Striscia di Gaza dalla West Bank.

Questa politica intendeva eliminare uno dei pochi punti positivi contenuti negli accordi di Oslo: il riconoscimento di Gaza e della Cisgiordania come un’unica entità. E questo è il vergognoso aspetto di questa vicenda: il fatto che la parte oppressa fornisce all’oppressore le idee su come rafforzare il proprio predominio, assistendolo nell’proliferazione burocratica di provvedimenti che inibiscono i diritti del proprio stesso popolo.

“Procedure per la residenza nella West Bank”, una politica sviluppata nel 2009, è un sistema con cui Israele vieta ai palestinesi originari di Gaza di recarsi nella West Bank, a meno che – e non è uno scherzo – siano orfani o persone anziane con malattie croniche bisognose di assistenza continua, che non abbiano familiari a Gaza. Legami coniugali o genitoriali non sono considerati motivi sufficienti a giustificare la residenza nella West Bank.

Una versione meno rigida di tale politica fu messa in atto nel 2013, in seguito ad una insistente battaglia legale da parte dell’organizzazione israeliana Hamoked – Centro per la difesa delle persone. Vengono previste disposizioni speciali per i gazawi che abbiano vissuto nella West Bank per un lungo periodo. Tuttavia, per poter rimanere nella West Bank, devono dimostrare che gli interessi principali della loro vita si trovano lì, ed iniziare l’odissea per ottenere i “permessi di soggiorno” semestrali per un periodo di tre anni. Altrimenti, resta a discrezione del comandante militare approvare o meno il cambio di indirizzo.

* L’appropriazione da parte di Israele dell’autorità che gli Accordi di Oslo hanno conferito ai palestinesi, di cambiare l’“indirizzo” sui documenti di identità: gli Accordi di Oslo  stabiliscono che i palestinesi devono solamente informare Israele di tale cambio. E  sicuramente Israele non interviene sui cambi di indirizzo all’interno della Cisgiordania, per esempio da Jenin a Tul Karm. Ciononostante, dal 1996, senza alcuna spiegazione, Israele ha perpetuato il proprio potere di controllare i cambi di indirizzo da Gaza alla West Bank, cioè il potere di decidere se e quando un cambio di indirizzo sarebbe stato concesso e a chi. Ebbene sì, fin dal 1996. A dimostrazione della lungimirante volontà di Israele di spezzare il legame tra le due parti e le loro popolazioni.

Il divieto fin dal 1997 per i residenti di Gaza di entrare nella West Bank dalla Giordania attraverso il ponte di Allenby.

Il divieto totale per i residenti della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, di entrare nella Striscia di Gaza attraverso il checkpoint di Erez nel nord della Striscia.

Il divieto totale per i residenti di Gaza di uscire dalla striscia attraverso il valico di Erez, tranne per le seguenti limitate categorie di persone: commercianti, giocatori di calcio della squadra nazionale, malati molto gravi e i loro stretti congiunti, parenti stretti di persone appena decedute, parenti stretti di persone che stanno per sposarsi, persone con legami con l’Autorità Palestinese, e collaboratori di Israele.

Un obiettivo: eliminare Gaza

Il divieto per i cittadini israeliani, sia ebrei che arabi, di entrare nella Striscia di Gaza. Tutte le misure burocratiche ( sulla base del fatto che “Israele ha il diritto di decidere chi può entrare nel suo territorio”), come anche quelle relative alla sicurezza (sulla base del fatto che è pericoloso stare a Gaza) hanno un solo scopo: isolare la striscia di Gaza dal resto del mondo, in particolare dagli altri palestinesi. Hamas, che considera Gaza un proprio feudo, sa bene che i propri militanti non possono ottenere il permesso israeliano di entrare nella West Bank.

Non è quindi particolarmente interessato ai dettagli del blocco relativi alla libertà di movimento delle persone, quanto invece solamente al movimento di beni e materie prime.

Fatah, il gemello siamese delle forze di sicurezza, che si incontrano regolarmente con la propria controparte israeliana, ha sempre contato sulla capacità della sua gente di aggirare gli ostacoli quando viene a chiedere permessi di viaggio, anche se questi sistemi sono pochi.

E quando è stato chiaro che questi sistemi erano inutili, Fatah si è avvalso del mantra che, una volta che ci sarà uno stato palestinese indipendente, tutte le restrizioni verranno eliminate in ogni circostanza.

In breve, i rappresentanti del popolo palestinese, in entrambe le sue componenti, non hanno lottato per l’applicazione del suo diritto alla libertà di movimento. Questa lotta deve iniziare adesso. E’ tardi, ma non troppo tardi.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)


 

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