Dove andiamo quest’estate? 2

Ho già scritto di lasciar perdere le visite alla “foresta” AMAZzonica (ma ci pensate? L’hanno chiamato così perché c’è tutto, tutto quello che ci serve, così come nella foresta pluviale amazzonica. Non me l’ha detto nessuno, ma sono sicura che sia così. Quando hanno pensato al nome).

Mentre l’Amazzonia va in fumo (appunto!) pare che in Europa ci sia un’inversione di tendenza: la nuova reazione selvosa”. Meglio di “visitare” l’Amazon, visitiamo allora foreste vere, in foglie e alberi, finché ce ne sono, di vicine, giacché quelle lontane stanno scomparendo (fra il 2000 e il 2012 abbiamo perso per sempre 2,3 milioni di chilometri quadrati: 8 volte l’intera Italia), a causa soprattutto di noi europei – seguiti da asiatici e nordamericani – perché acquistiamo legname “non certificato”. Responsabili sono anche le colture di palma da olio (sempre noi). Traggo questi dati da un articolo pubblicato su “Io Donna” (7 dicembre 2013), a firma di Francesco Petretti:
“Le cose andrebbero meglio se acquistassimo solo legname tropicale delle selve “certificate” e soprattutto riducessimo il consumo di carne e i prodotti contenenti olio di palma. […] su 132 milioni di ettari distrutti solo 4,4 servono per rifornire di legna fabbriche e industrie, mentre ben 58 per fare spazio agli allevamenti di bestiame da carne e tutti gli altri per produrre soia, mais, olio di palma, riso e canna da zucchero”.

Dunque-dunque, smettere di utilizzare (e comprare) prodotti con olio di palma, ridurre (o eliminare) la carne dalle nostre tavole, comprare solo mobili usati, e… andare a vedere le foreste di casa nostra, così facciamo viaggi brevi e ci rassicuriamo sulla correttezza delle nostre scelte, guardando con i nostri occhi la meraviglia di una selva, e decidendoci a non più distruggerla con le nostre scelte miopi.
L’elenco è lungo, ce n’è in ogni parte d’Italia. Progettando le vostre prossime vacanze tenetene conto.

Foreste italiane da vedere almeno una volta nella vita…

Vallombrosa. Sull’Appennino tosco-emiliano, conifere e latifoglie lasciati liberi nel ritmo nascita-morte.
Supramonte (ricordate Fabrizio De Andrè? Lo chiamava “hotel”, benché ci fosse vissuto da prigioniero). Selve impenetrabili di lecci e canyon ne fanno un paradiso di “selvaticità” (wilderness, se preferite).
Foresta del Consiglio. Vi si riforniva la Serenissima, è alle spalle di Venezia.
Foresta di Tarvisio. Il miglior legno per violini (abete rosso “di risonanza”) cresce qui, al confine con l’Austria.
Foresta di pianura sul Mincio, il Bosco Fontana è una selva di tigli e querce attraversata da innumerevoli corsi d’acqua.
Riserva del Circeo. Nel Lazio, mostra com’era la piana pontina prima delle bonifiche (“quando c’era Lui… caro lei!”!).
Parco del Gargano. Faggi e cerri monumentali danno rifugio al capriolo italico, sul versante adriatico della Foresta Umbra.
Bosco di Ficuzza. Possiamo immaginare che vi si nascondesse don Vito, “il Padrino”; cresce infatti rigogliosa fra Corleone e Palermo.

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