Semplicità impermanente

Questa «Pillola» si sarebbe potuta intitolare anche «Impermanenza volontaria», perché la semplicità volontaria è strettamente legata all’impermanenza. Ma non crediate che voglia scrivere una noiosa dissertazione sulla filosofia buddhista e sul concetto di impermanenza. Desidero invece parlarvi del trasloco. Sappiamo che nella classifica degli eventi stressogeni è ai primi posti? Mi sembra che si piazzi poco dopo la morte (di un coniuge) e il matrimonio…

Comunque sia è una faccenda che causa molta tensione, ma non a me. E come mai? Perché applico da molti anni le regole della «semplicità volontaria» a tutti gli aspetti della vita, compreso il trasloco. Considero il traslocare un’ottima occasione per praticare la semplicità volontaria, per eliminare il superfluo, per accorgermi che quasi tutto è superfluo. Traslocando ci si accorge di quanta roba inutile accumuliamo nei cassetti e negli armadi; di quanti vestiti abbiamo e non indossiamo da anni, di quante riviste riceviamo in abbonamento (o comperiamo in edicola) per poi lasciarle – non lette – accatastate sui tavoli o in cantina. Il trasloco diventa semplice se ci abbiamo pensato molto tempo prima che avvenisse, anche quando non avevamo per nulla in mente di traslocare. Per esempio nel momento di comperare i mobili.

Alt. Questa frase non si capisce vero? Allora dobbiamo chiedere aiuto – tanto per cambiare – ai film (la cinematografia precede, illumina, decodifica la realtà meglio della realtà stessa. Se vediamo qualcosa di strano in un film, siamo pur sicuri che prima o poi avverrà). Parlo di Fight Club, film culto tratto da un libro omonimo di Chuck Palahniuk

C’è la voce fuori campo che racconta come il protagonista – Edward Norton – si sia procurato i mobili di casa sua consultando un catalogo, tipo IKEA. La scena mostra l’interno dell’abitazione e l’attore che vi si aggira scegliendo dal catalogo, e davanti ai suoi passi si materializzano via via i mobili scelti, con il loro nome svedese e il cartellino del prezzo! E il protagonista dichiara soddisfatto che ora non dovrà più pensare al divano. L’ha comperato una volta per tutte! Ma invece succede che la sua casa esplode e lui giunge sotto il suo appartamento e vede il tavolino (rotondo, col simbolo dello yin e dello yang) precipitato sul marciapiede insieme con tutti gli altri mobili che lui aveva creduto di avere acquistato «una volta per tutte».

Ora, non dico di pensare che la nostra casa esploderà e che quindi non conviene acquistare alcunché e vivere come in campeggio, ma una buona via di mezzo è possibile. Io per esempio ho sempre cercato di procurarmi mobili facilmente smontabili, e soprattutto che avessero molti usi. Perciò niente cucine componibili, né librerie su misura, né armadioni di noce massello che solo per montarli ci vuole una settimana, pesano tantissimo, riempiono tutto lo spazio e gravano sui nostri sonni e sogni (sappiamo che dove dormiamo non dovrebbero esserci libri, armadi, televisori (e altri apparecchi elettrici, tipo radiosveglie, termo-coperte, umidificatori ecc.?). Stesso discorso per librerie e affini: perché ordinare, far costruire, pagare, far montare una libreria su misura quando ce la caveremmo molto meglio con delle mensole (l’ideale: una qualunque tavola di legno può diventare una mensola, possiamo persino farcela regalare da un cantiere… due staffe e quando dobbiamo spostarci abbiamo solo da svitarla dal muro e portarla con noi, troverà posto ovunque). Oppure scaffalature modulari, anch’esse facilmente smontabili e riducibili in un pacchetto di 4 assi e due montanti più qualche vite. E poi, perché comprare una scrivania quando due cavalletti e una tavola di legno sarebbero enormemente più facili da trasportare (o eventualmente trasformare in qualcos’altro: da tavolo di cucina a scrivania per il figlio studente, o ripiano per le piante sul terrazzo o tavolo per stirare o qualunque altra cosa ci serva perché basterà modificare il piano? E se poi proprio non servirà potrà restare in cantina, occupando pochissimo spazio, in attesa di essere regalato/venduto/scambiato).

Quando decidiamo di comprare (o, meglio, di ricevere in regalo o raccattare vicino ai bidoni della spazzatura dove ho trovato la maggior parte dei mobili di casa mia) un mobile, chiediamoci – come dovremmo fare per ogni oggetto che acquistiamo – «che impronta ha?», e se ci interessiamo alla semplicità volontaria dovremmo sapere che l’impronta riguarda anche lo smaltimento degli oggetti. Ecco allora che sarà sempre meglio un cesto rispetto a una scatola di plastica, perché anche quando diventerà un rifiuto (magari si romperà) potrà servire per accendere il camino o la stufa, o continuerà a disfarsi restando all’aperto a fare da sottovaso (molto bello, fra l’altro) o ancora potrà finire fra i rifiuti organici…Farò un esempio a proposito di un tagliere. Era già vecchio quando l’ho preso da una cucina che qualcuno aveva abbandonato. Aveva il manico di ferro. Era un po’ incurvato nel centro, come capita ai taglieri, e non riuscivo più a usarlo con il coltello. In più si era fessurato nel mezzo. Avrei potuto aspettare che si rompesse del tutto e ricavarne due taglieri più piccoli. Ma invece ho deciso di sacrificarlo ritualmente al fuoco del camino, soprattutto perché a suo tempo mi ero procurata un tagliere di marmo (l’ideale). E così mi ha regalato molti minuti di caldo, si è trasformato in un mucchietto di cenere che è finita nel compost e ho recuperato il piccolo manico di ferro, perfettamente levigato dal fuoco e lo userò come maniglia da qualche parte. Che cosa facciamo invece con il «famoso» tagliere in silicone, flessibile? Oltre ad avvelenarci? Un tagliere di silicone può fare solo il tagliere, e nemmeno tanto bene, e poi, quando inevitabilmente si usurerà, fessurerà, diventerà «brutto» dove lo butteremo? E quanto durerebbe se lo lasciassimo degradare naturalmente? O quanta diossina rilascerebbe nell’aria, bruciando nell’inceneritore che non vogliamo – ma che ogni giorno con le nostre scelte giustifichiamo e rendiamo necessario?

Quindi, per un trasloco senza stress: mobili che abbiano un doppio uso (almeno); mobili non su misura; mobili facilmente smontabili; materassi di lana (che si arrotolano, oltre ad essere la cosa migliore su cui dormire); e per tutto il resto? Quello che sta dentro e sopra ai mobili?

Giornali recuperati per settimane dai raccoglitori della carta per imballare qualsiasi cosa (non il pluriball! So di gente che ne compera rotoli interi per fare un trasloco; so di gente che acquista gli scatoloni nuovi per fare un trasloco (quando basta muoversi per tempo e andare regolarmente in un supermercato per trovare gratis scatoloni di ogni misura e forza, così, fra l’altro, hanno una seconda vita e diventano rifiuti più tardi, no?). Anche in questo caso però occorre che già tempo prima abbiamo «pensato» al trasloco: per esempio, invece di far fare una preziosa cornice barocca con vetro anti-sfondamento per il nostro quadro d’autore abbiamo comperato una cornice pico-glass per la nostra riproduzione di un Monet; così avremo meno ansia nell’imballarlo con una coperta (che fra l’altro pure lei dovrà essere trasportata, e allora tanto vale che funga da imballo no?).

In questo modo potrò farmi aiutare dagli amici con una semplice auto per gran parte del trasloco, che si trasformerà così in occasione per condividere del tempo e fare qualcosa che rafforzerà il legame. Se cerchiamo una ditta di traslochi che legame rafforziamo? E soprattutto: se paghiamo la relazione si chiude lì, se invece un amico ci aiuta nel trasloco anche noi lo aiuteremo in qualcosa prima o poi e questo lascia il legame aperto e in crescita… Uno dei traslochi più belli che ricordi è stato ad opera di una famigliola (anglosassone/astigiana): hanno convocato molti di noi, loro amici, per una domenica mattina; ci siamo trovati a casa loro e in poche ore abbiamo caricato, in allegria (eravamo tanti, c’erano anche dei bambini che portavano le cose più leggere, si chiacchierava) tutto quello che c’era in casa (preventivamente preparato da loro). Poi ci siamo trasferiti nella nuova casa dove abbiamo scaricato tutto quanto e la giornata «di lavoro» è stata pagata con un mega-pranzo collettivo nel nuovo giardino. E non a caso lo ricordo, dopo vent’anni, ed è una formula che sto cercando di riproporre, più in piccolo, per il mio trasloco. Nessun ricordo di angoscia, nessuno stress, semmai divertenti viaggetti in compagnia di amici, rilassatamente e senza fretta.

Se il concetto di impermanenza ci accompagnasse sempre, faremmo scelte più giuste, nella direzione della «semplicità volontaria». Se crediamo di essere eterni compreremo armadioni su misura della casa dove stiamo in questo momento credendo che ci staremo per sempre; se non teniamo presente che «tutto scorre» ci attaccheremo agli oggetti, ai mobili, ai vestiti, al possesso. E per le «cose» faremo guerre, faremo azioni non etiche per conservarle, faremo lavori che non ci piacciono per procurarcele, blinderemo le porte per conservarle, ci sentiremo realizzati se avremo tante «cose». Ma persino nel film citato (non dico in un trattato di filosofia…) a un certo punto Brad Pitt dichiara che crediamo di possedere le cose, ma in realtà sono le cose che ci possiedono.

Qui sta la differenza fra un trasloco semplice e uno stressogeno. Meno cose hai più sarà facile il trasloco. Mi sembra semplice, ma se ci identifichiamo con le cose invece che con l’impermanenza non lo sarà.

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