Rivisitazione del Giornalismo di Pace da una prospettiva di genere – Cai Yiping

Il Giornalismo di Pace, noto anche come Giornalismo per la risoluzione dei conflitti, o Giornalismo di analisi dei conflitti, si è sviluppato a partire da una ricerca che ha messo in luce quanto, troppo spesso, le notizie relative ai conflitti si basano su un pregiudizio che attribuisce maggiore valore alla violenza. Il Giornalismo di Pace utilizza invece una pratica metodologica che si propone di correggere tale pregiudizio operando sia nel settore dominante dei media sia in quello alternativo. Collabora inoltre con giornalisti e altri professionisti dei media, con il pubblico e con le organizzazioni che operano nel settore dei conflitti1.

Secondo la definizione data da Annabel McGoldrick e Jake Lynch, il giornalismo di pace esiste ogni qualvolta editori e giornalisti effettuano scelte specifiche sul tipo di storie da riferire e come riferirne, in modo da offrire opportunità alla società in generale di prendere in considerazione e valorizzare risposte nonviolente a un conflitto (Lynch e McGoldrick, 2005). Il giornalismo di pace consente di inquadrare le proprie storie in maniera più ampia, corretta e maggiormente accurata, attingendo dal bacino delle dottrine di analisi e trasformazione dei conflitti. La domanda di partenza che un giornalista di pace si chiederebbe, prima di confezionare qualunque storia, sarebbe “come può il mio intervento incrementare prospettive di pace?”

L’approccio del giornalismo di pace fornisce una mappa per tracciare le connessioni tra i giornalisti,le loro fonti, le storie che propongono e le conseguenze della loro attività – l’etica dell’intervento giornalistico2. Un obiettivo fondamentale del giornalismo di pace è promuovere iniziative di pace provenienti da qualunque parte e consentire al lettore di distinguere tra posizioni dichiarate e obiettivi reali.

Johan Galtung, autorevole professore di Studi per la Pace e direttore della rete TRANSCEND, ha utilizzato il termine “Giornalismo di Pace” per la prima volta negli anni 1970. Tale modello fu in seguito ulteriormente sviluppato dal Conflict and Peace Forums (Forum sui Conflitti e la Pace), organizzazione del Regno Unito, in seno a una serie di conferenze internazionali e all’interno di pubblicazioni avvenute nei tardi anni 1990. Esempi a dimostrazione sono: L’opzione del Giornalismo di Pace (The Peace Journalism Option, 1998), A cosa servono i giornalisti (What are Journalist For?, 1999), e Utilizzo dell’analisi dei conflitti nel giornalismo (Using Conflict Analysis in Reporting, 2000). Nel loro libro Il Giornalismo di Pace (Peace Journalism, 2005)3 Lynch e McGoldrick riassumono ed elaborano i principi cardine dell’approccio di Galtung e evidenziano le incomprensioni e gli scetticismi verso il giornalismo di pace discutendo le convinzioni errate dominanti e mettendo in rilievo come esso sia considerato non professionale, parziale e di parte.

Nel 2010 Jake Lynch e Johan Galtung pubblicarono un nuovo libro, Reporting Conflict: New Directions in Peace Journalism4. In esso, i due autorevoli autori di questo settore in rapida crescita relativamente alla ricerca, pratica, insegnamento e addestramento, continuano a mettere in discussione la capacità dei reporter di raccontare la vera storia dei conflitti nel mondo.

Dibattiti e critiche sul giornalismo di pace

Il giornalismo di pace è stato oggetto di un certo numero di dibattiti e critiche da parte di alcuni studiosi e giornalisti.

Attivismo nei media”/difesa della pace privi di oggettività

Alcuni suoi oppositori caratterizzano il giornalismo di pace come una nuova forma di “scrittura attivista” e il suo praticante come una sorta di difensore della pace. È tacciato di essere o “troppo critico” o “non abbastanza critico”. Tale accusa solleva l’importante quesito su quanto sia oggettivo e imparziale il giornalismo di pace. Da questa prospettiva esso non costituisce una forma di difesa della pace ed è generalmente più “oggettivo” del giornalismo di guerra grazie al fatto di includere le implicazioni del diritto internazionale, gli sviluppi positivi tanto nel peace-making d’élite e nella sua attività di capacity building, quanto nel prospettive e nelle iniziative di peace-building non di élite.

Contestualizzare/spiegare la violenza equivale a giustificarla

Tale critica può essere rappresentata dal suo proponente neoconservatore Richard Perle il quale sostiene che si debba “decontestualizzare il terrore … ogni tentativo di discussione sulle radici del terrorismo costituisce un tentativo di giustificarlo. Esso necessita di essere semplicemente combattuto e distrutto.” E questa può essere una risposta comune al giornalismo difensore della contestualizzazione. L’Analisi dei Conflitti e la Ricerca per la Pace hanno dimostrato perchè spiegare la violenza non significa giustificarla.

Approfondendo le radici della violenza, come povertà o precedenti abusi subiti, e non semplicemente concentrandosi sugli eventi associati a scontri politici violenti, il giornalismo di pace può agire per “dis-incastrare” le apparentemente immutabili posizioni ufficiali dal più grande contesto di un conflitto eplorandone i retroscena, contrastando la propaganda e rendendo visibili iniziative ufficiali e locali per una risoluzione pacifica del conflitto.

Agenzia giornalistica vs struttura mediatica

Lynch afferma che la maggior parte dell’opera giornalistica è “governata”, non “determinata” da fattori consuetudinari e strutturali provenienti dagli interessi politici ed economici dell’industria mediatica. In tal modo, l’auto-consapevolezza dei giornalisti e gli sforzi di riforma possono combinarsi con una mobilitazione a livello di società civile per sfidare e integrare tali convenzioni5.

Nonostante fraintendimenti e scetticismi, il modello del giornalismo di pace è divenuto una fonte di opzioni pratiche per i giornalisti: una guida per l’osservazione del sistema mediatico per gli attivisti di pace e fornisce solide basi per individuare criteri di analisi dei contenuti per i ricercatori accademici.

Il giornalismo di pace visto da una prospettiva di genere

Il report del Progetto Globale di Monitoraggio Mediatico (Global Media Monitoring Project) del 2010 mostra che solo il 24% delle persone che parlano alla radio e alla televisione o che scrivono sui giornali, sono donne. Viceversa, il 76% – più di 3 su 4 – delle persone che operano nel settore mediatico sono uomini. Le notizie continuano a ritrarre un mondo in cui il numero di uomini supera quello delle donne nella maggior parte delle categorie occupazionali, con la maggior disparità nel campo professionale. Contemporaneamente, alte proporzioni delle storie di pace (64%), sviluppo (59%), guerra (56%) e violenza di genere (56%) rinforzano gli stereotipi sui generi6. Questi dati confermano l’imperativa necessità di includere le donne e integrare le prospettive di genere nel settore mediatico e nella professione giornalistica, compreso il giornalismo di pace.

Il modello originale del giornalismo di pace ingloba, ovviamente, una prospettiva di genere, che ben delinea come funzionano le relazioni tra i generi. È, infatti, meglio strutturato per rivelare le cause sottostanti ai conflitti armati e contribuisce a identificare soluzioni per una pace duratura e sostenibile, frutto di creatività e basata sul contesto locale, sia a livello base, medio o alto, o a una combinazione tra loro.

Basandosi su una collaborazione per il progetto “Onde Radio Femminili per la Pace” (Women Making Airwaves for Peace) realizzato nel 2007, due organizzazioni femminili filippine – Isis International e Mindanao Women Writers, Inc. (Min – WoW) svilupparono “Giornalismo di Pace di Genere: mantenere integra la comunità – Guida al reportage sulla pace e i conflitti da una prospettiva di genere” (Engendered Peace Journalism: Keeping Community Whole – A Guide on Gender-Sensitive Peace and Conflict Reportage)7. La griglia sottostante è estratta dal modello realizzato dal professor Johan Galtung, e riconfigura il giornalismo di pace partendo dal giornalismo di guerra/violenza largamente praticato nel ventesimo e ventunesimo secolo.

Giornalismo di Guerra/Violenza Giornalismo di Pace/sui Conflitti da una prospettiva di Genere
I. Orientato verso la Guerra/Violenza Focalizza, all’interno della zona di conflitto: 2 avversari, 1 obiettivo (vincere), la guerra, un gioco a somma zero (con un vincitore e un vinto) II. Orientato alla Pace/al ConflittoEsplora la formazione del conflitto che coinvolge x parti, y obiettivi, z problemi, il conflitto è visto come un gioco “vincitore-vincitore”
Si focalizza maggiormante sulle risorse maschili – militari, capi di governo, governi e polizia – come uniche fonti d’informazione Esplora in che misura donne e uomini di tutte le parti siano coinvolte e include una prospettiva “vincitore-vincitore”
Spazio temporale e geografico ristretto, cause e risultati unicamente all’interno dell’arena del conflitto, chi ha lanciato la prima pietra Spazio temporale e geografico aperto, esplora cause e risultati ovunque, rinvenibili anche nella storia e nella cultura
Rende la guerra opaca/misteriosa Rende il conflitto trasparente
Giornalismo del “Noi-Loro”, propaganda, la voce è per “noi” Dà voce a tutte le parti, utilizza empatia e comprensione
Vede “loro” come il problema, si focalizza su chi prevale nella guerra Vede conflitto/guerra come il problema, si focalizza sulla creatività
È reattivo: aspetta l’esplosione della violenza È proattivo: informa prima che la violenza emerga, si focalizza sulle iniziative di pace, incluse anche quelle che provengono dalle donne
Si focalizza solo sugli effetti visibili della violenza (morti, feriti e danni materiali) Si focalizza sugli effetti invisibili della violenza (traumi e gloria, danni alla struttura/cultura, marginalizzazione di donne e bambini)
Rappresenta le donne e i bambini come vittime indifese (osservate cosa “loro” hanno fatto alle “nostre” mogli e ai “nostri” figli) Rappresenta le donne come attive contributrici nella trasformazione del conflitto e nelle iniziative di peace building
Deumanizza “loro” Umanizza tutte le parti coinvolte
II. Orientato alla Propaganda II. Orientato alla Verità
Espone le “loro” menzogne Espone le menzogne di tutte le parti
Contribuisce ai “nostri” occultamenti/menzogne Svela tutti gli occultamenti
III. Orientato alle elite III. Orientato alle Persone
Si focalizza sulla “nostra” sofferenza, sulle elite maschili qualificate al ruolo di portavoce Si focalizza su ogni sofferenza – delle donne, degli anziani e dei bambini; dà voce ai senza-voce
Cita solo i nomi dei “loro” colpevoli Riferisce i nomi di tutti i colpevoli
Si focalizza sugli sforzi di pace compiuti dalle elite, per la maggior parte uomini Si focalizza sugli sforzi di pace compiuti dalle persone, eroi della nonviolenza, donne incluse
IV. Orientato alla Vittoria IV. Orientato alla Soluzione
Pace = vittoria + cessate-il-fuoco Pace = nonviolenza + creatività
Cela le iniziative di pace che avvengono prima che la vittoria sia a portata di mano Mette in risalto le iniziative di pace, volte anche a evitare il protrarsi della guerra
Si focalizza sui Trattati, sulle Istituzioni, sulla società controllata Si focalizza sulle strutture, sulla cultura, sulla società pacifica
Terminata la guerra: rimane in attesa di un’altra guerra, ritorna a parlarne se l’incendio riprende a divampare Terminata la guerra: risoluzione, ricostruzione, riconciliazione (include i bisogni delle donne e la loro partecipazione), peacebuilding

Jake Lynch e Annabel McGoldrick hanno delineato 17 suggerimenti destinati al giornalista di pace8. Al fine di (ri)configurare storie da una prospettiva di genere, un giornalista potrebbe tenere in considerazione i seguenti interrogativi quando scrive una storia:

  • Dove sono le donne/ragazze all’interno della storia?
  • In che modo l’informazione di genere può rafforzare la storia?
  • Quali sono i ruoli di uomini e donne e in che modo tali fattori improntano i problemi e la storia stessa?
  • Quali sono le relazioni di potere tra uomini e donne, nella guida delle parti in conflitto, nei gruppi di negoziazione, nelle strutture di comunità e familiari?
  • In che modo tali ruoli e relazioni di potere forniscono ulteriori spiegazioni dei problemi?
  • Come sono resi, in maniera differente per uomini e donne, gli impatti degli eventi e dei processi in una storia specifica?
  • Quali sono i punti di collaborazione tra i generi? Quali sono i piani comuni e gli interessi e i bisogni condivisi?

Un ulteriore e utile strumento per fornire al giornalismo di pace una maggiore prospettiva di genere è la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1325, adottata all’unanimità il 31 ottobre 2000, con la quale, per la prima volta, il Consiglio di Sicurezza affronta l’impatto dei conflitti armati sulle donne, riconosce i sottostimati e sotto-utilizzati contributi delle donne alla prevenzione dei conflitti, al peacekeeping, alla risoluzione dei conflitti e al peacebuilding, e sottolinea l’importanza della loro uguale e totale partecipazione in quanto agenti attive nella pace e nella sicurezza. La Risoluzione 1820 del giugno 2008 stabilisce un forte legame tra violenza sessuale, pace sostenibile e sicurezza. La Risoluzione 1888 del 30 settembre 2009 fornisce elementi concreti per la sua implementazione.

La Risoluzione 1889 del 5 ottobre 2009 si basa sulla storica Risoluzione 1325. Essa pone particolare attenzione sulla implementazione della Risoluzione 1325 nel periodo di peacebuilding immediatamente successivo alla fine di un conflitto. Queste Risoluzioni sono vincolanti per tutti gli stati membri delle Nazioni Unite. I mezzi di comunicazioni possono svolgere un ruolo nel monitorare l’implementazione dell’applicazione di queste Risoluzioni, così come nell’ampliare e nell’approfondire il reportage:

  • Richiedere interviste a tutte le parti di un conflitto sull’implementazione della Risoluzione 1325 e altre risoluzioni;
  • Consultare organizzazioni femminili locali circa la loro attività di monitoraggio sulla Risoluzione 1325 e relativi appelli;
  • Durante i negoziati di pace o di cessate-il-fuoco, richiedere la partecipazione delle donne ai gruppi di negoziazione. Qualora nessuna donna sia rappresentata nei gruppi delle differenti parti, chiedere cosa esse intendono fare a proposito;
  • Se le forze armate nazionali o internazionali e/o di peacekeeping sono state schierate in un’area di conflitto, chiedere se hanno ricevuto un addestramento specifico di genere sui diritti delle donne e sulle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU;
  • Chiedere alle autorità preposte ai campi di rifugiati e siti di rilocazione come gestiscono i bisogni e i diritti delle donne, così come garantito dalle Risoluzioni in materia;
  • Se un accordo di pace è stato raggiunto, chiedere in che modo la Risoluzione 1325 si riflette nel documento e quanti soldi sono stati allocati per la sua implementazione;
  • Nella fase di ricostruzione successiva al conflitto, chiedere alle forze locali governative, di peacekeeping e alle organizzazioni internazionali di soccorso se il loro personale è stato addestrato al rispetto dei diritti delle donne e delle Risoluzioni in materia. Chiedere inoltre come intendono soddisfare i bisogni delle donne e garantire la loro totale partecipazione alla ricostruzione post-conflitto come citata nelle Risoluzioni 1325 e 1889.

Speciale attenzione deve altresì essere posta alla tutela dei giornalisti, sia uomini sia donne, che effettuano reportage da zone di conflitto e affrontano un rischio reale di lesioni fisiche e stress emotivo,

Conclusioni: il giornalismo di pace nella nuova era

L’attivismo mediatico è un attivismo che utilizza i mezzi di comunicazione e le relative tecnologie per rafforzare un movimento sociale e/o per tentare di suscitare un cambiamento di politiche e pratiche relative ai media e alla comunicazione. Come sottolinea Lynch, “Significa che il giornalismo di pace è possibile, e realistico, per i giornalisti professionisti, qui e ora, e può diventare l’obiettivo del’attivismo mediatico”9.

Questo è ancora più promettente in seguito alla rapida diffusione di nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e alla rapida crescita di comunità e media indipendenti e del giornalismo civile, i quali trasmettono voci e iniziative che non venivano riportate dai mezzi di comunicazione di massa o dalle industrie mediatiche nel passato. Come hanno potentemente dimostrato i recenti movimenti rivoluzionari in Egitto e in altri paesi arabi, digital e social media hanno consentito un’informazione essenziale – attraverso cellulari, blog, social network online, TV satellitari, portali web comuni, e notizie generate dagli stessi utenti, foto e video – al fine di raggiungere persone che, diversamente, ne sarebbero state private.

Allo stesso tempo la collaborazione tra media,i difensori della pace e organizzazioni della società civile è stata riconosciuta come una tra le più efficaci strategie e viene introdotta nei programmi di numerosi addestramenti sulla prevenzione dei conflitti e di peacebuilding, e anche messa in pratica dalle organizzazioni dei media e della società civile.

Isis International, un’organizzazione femminista per lo sviluppo della comunicazione con sede nelle Filippine, ha condotto una serie di seminari nella regione dell’Asia orientale, rivolti a comunità femminili di conduttrici radio, donne leader di comunità, professioniste nel settore mediatico, sostenitori della pace, difensori dei diritti umani delle donne e operatrici nel settore dello sviluppo, su come utilizzare i vari strumenti mediatici e comunicativi, inclusi i media tradizionali come le radio di comunità, il teatro popolare, i film e nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione quali telefoni cellulari e social network online, con il fine di sostenere una pace duratura, la giustizia e l’eliminazione della violenza di genere10.

La stazione radio di comunità in Nepal, Radio Purbanchal, ha fatto visita alle donne vittime di guerre e conflitti. La visita è stata accompagnata da dibattiti aperti sulle problematiche che tali vittime affrontano e su come i loro diritti possano essere assicurati. I dibattiti iniziati da Radio Purbanchal hanno prodotto specifiche raccomandazioni allo Stato, che comprendono una migliore educazione alle vittime, misure sanitare appropriate e opportunità d’impiego, addestramento e coinvolgimento nei programmi di capacity building. Attraverso l’iniziativa di Radio Purbanchal, le donne si sono organizzate per difendere i propri diritti e il proprio benessere11.

L’Autrice

Cai Yiping è stata direttrice di Isis International dal novembre 2008 all’aprile 2010. Isis International è un’organizzazione non-governativa basata nelle Filippine che si avvale dell’ausilio di tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione dei diritti umani femminili e per facilitare l’interconnessione e lo scambio d’informazioni sui movimnti delle donne nel Sud del mondo. Prime di unirsi a Isis, Cai è stata professoressa associata all’Istituto di Studi sulle donne in Cina, vice direttrice di International News Department, China Women’s News a Pechino. Scrive sistematicamente su questioni relative ai diritti umani delle donne ed è attivamente coinvolta nel settore della difesa dei diritti umani delle donne attraverso i media in Cina e su scala internazionale. È stata coordinatrice nazionale per la Cina nel Progetto Globale di Monitoraggio Mediatico (Global Media Monitoring Project) del WACC (World Association for Christian Communication – Associazione mondiale per la Comunicazione Cristiana) nel 2000 e 2005 e coordinatrice regionale per il Sud e Sud-Est asiatico del Report Globale sulla condizione delle donne nei media (Global Report on the Status of Women in the News Media), ricerca condotta dalla Fondazione Mondiale dei Media delle Donne (International Women Media Foundation, IWMF) nel 2009-10.

NOTE

1“Peace Journalism” da Wikipedia, l’Enciclopedia libera (http://www.google.co.uk/#q=peace+journalim+wikipedia)

2McGoldrick, A. e Lynch, J. (2001), “What’s Peace Journalism” in “From Headlines to Front Lines: Media and Peacebuilding”. Activate: The Quarterly Journal of IMPACS. Istituto di Comunicazione, Politica e Società Civile, Vancouver, Canada.

3McGoldrcik, A. e Lynch, J., (2005) “Peace Journalism”, Londra: Hawthorn Press.

4Lynch, J. e Galtung, J., (2010). “Reporting Conflict: New Directions in Peace Journalism”, Queensland: University of Queensland Press.

5Lynch, J., (2007) “Peace Journalism and its Discontents” in Conflict & Communication Online, Vol. 6, n. 2. (http://www.cco.regener-online.de)

6Who Makes the News? Global Media Monitoring Project 2010. Pubblicato dall’Associazione mondiale per la Comunicazione Cristiana (World Association for Christian Communication- WACC-). http://www.whomakesthenews.org/

7Lina, S. R. e Nicole, R., (2007) “Engendering Peace Journalism Keeping Community Whole – A Guide on Gender Sensitive Peace and Conflict Reportage”. Pubblicato da Isis International e Mindanaw Women Writers, Inc. (Min-WoWo). La guida può essere scaricata [in inglese] dal sito www.isisinternational.org

8 Lynch, J. e McGoldrick, A., (2000) “Peace Journalism – How To Do It” (http://www.mediachannel.org/originals/warandpeace2.shtml)

9Lynch, J., (2007) “Peace Journalism and its Discontents” in Conflict & Communication Online, Vol. 6, n. 2. (http://www.cco.regener-online.de)

10 Vedi il sito di Isis International: www.isisinternational.org

11 Kadel, K., (2010) “A Radio by Women for Community: Radio Purbanchal in Nepal” in “Converging Communications: Empowering Women, Transforming Communities” Women in Action Magazine, 2010. Pubblicato da Isis Interanational, Manila, Filippine.

Titolo originale: Revisiting Peace Journalism With a Gender Lens
www.isiswomen.org/…/wia2012/wia2012_10cimca..
Traduzione di Silvia De Michelis per il Centro Studi Sereno Regis

 

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