Distretto 42 di Pisa a rischio sgombero: parlano i digiunanti
Un digiuno collettivo anima la lotta nonviolenta a sostegno del Distretto 42 di Pisa. È una ex Caserma di proprietà demaniale abbandonata da vent’anni, ora riqualificata e cogestita democraticamente dalla collettività. Il Distretto è a rischio d’imminente sequestro, la cui urgenza appare immotivata. Gli attivisti chiedono al Sindaco e all’Amministrazione comunale un’azione di responsabilità politica e civile: esprimersi pubblicamente e chiaramente sulle sorti del bene comune liberato, 4.000 mq di edifici e 8.000 mq di parco urbano in centro città da far rivivere, col necessario sostegno delle istituzioni.Ventiquattro giorni di digiuno. Più di quindici persone coinvolte. Ma cosa significa in pratica astenersi completamente dal cibo, bevendo solo acqua? Come ci si sente fisicamente, socialmente, psicologicamente? Quali emozioni e motivazioni caratterizzano tale azione?
Scrive Paolo:«chi si cimenterà nell’esercizio del digiuno volontario (per me era la prima volta) scoprirà una fatica nuova e l’importanza del cibo, per noi qualcosa di scontato, abbondante ma in mezzo mondo una lotta quotidiana.» Non è un caso che “fame” e “faticare” abbiano il medesimo fondamento etimologico: venir meno, mancare, aprirsi, perdersi, dissolversi. «Non si è trattato solo di una perdita di peso, più di mezzo kg al giorno», racconta Roberto, «ma di un generale e affascinante abbandono delle sensazioni consuete: la fame dopo un giorno quasi scompare, giunge un senso di debolezza fisica, ma ci si sente più lucidi mentalmente, i pensieri convergono sullo scopo della lotta» – e ancora: «è importante non concepire il digiuno come un ricatto, pesando le richieste perorate con le possibilità concrete dell’interlocutore, nonché la legittimità e la condivisibilità sociale della lotta» e conclude citando le reazioni di amici e parenti alla notizia del suo digiuno: «si va dalla semplice curiosità “senti tanta fame?” “Chi te lo fa fare?” “Ti dà fastidio se mangio?”, fino alla sincera preoccupazione “sei in contatto con un medico?” “Devo difenderti da te stesso”: in ogni caso, ho percepito un vivo, diffuso e rispettoso interesse per un’azione difficile da intraprendere, più che da attuare.»
Spesso si sente dire “fame di giustizia, di verità, di diritti, ecc.” Non è un mero gioco linguistico. Col digiuno un bisogno primario del singolo si armonizza – co-percependosi, attraverso l’empatia – con uno altrettanto importante della collettività; «è un atto profondamente etico e intimamente legato alla nostra umanità», ribadisce Riccardo. Tale solidarietà trapassa perciò le barriere spaziali e temporali; scrive Beatrice: «sono orgogliosa di trasmettere la mia adesione al progetto del Municipio dei Beni Comuni con questo mio, piccolo, sacrificio. Niente al confronto dei partigiani morti sotto le torture per non rivelare il nome dei propri compagni di Resistenza. Dal loro sacrificio nacque la Repubblica Italiana.» D’altro canto la lotta pisana è alimentata dai digiuni di Donata di Reggio Emilia, Pasquale di Napoli, Alessandro da Colognole-Collesalvetti (LI), Riccardo e Sonja, due coniugi di Calci, nonché da alcuni membri dell’Associazione Raphael di San Giuliano Terme.
Particolarmente intenso il sostegno reciproco fra gli attivisti coinvolti nella “staffetta”, che ha reso continua e sostenibile la lotta, come emerge dalle parole di Donata: «incoraggio chi digiuna ora (il momento più brutto) a farsi forza, forte del sostegno di tutti noi, e le istituzioni a lavarsi bene le orecchie per udire il grido silenzioso della giustizia sociale» e di Beatrice: «che bello Riccardo essere uniti anche in questa nuova azione di lotta e di solidarietà!».
Appassionata e ricca di significati la testimonianza di Riccardo, fra Italia e Germania, che merita d’esser citata per intero: «Ecco, sono le 7.20, sono vicino Dortmund e ho terminato il mio giorno di digiuno, iniziato ieri a Pisa alle ore 7. Ieri sera ero con un cliente tedesco (lui cenava, io parlavo) e mi ha chiesto come mai digiunavo. Ho cercato di spiegare la questione, partendo in generale dal problema degli spazi per arrivare a tutto il percorso che ha portato al Distretto 42. Non sono sicuro che abbia ben capito, ma ad un certo punto mi ha detto semplicemente: “ma non dovrebbe essere nell’interesse di un Sindaco far sì che nella sua città ci siano più punti di aggregrazione possibile? Più gente si incontra, più la città vive”. Io ho sorriso. Allora mi è venuto da pensare che ci sono delle rivendicazioni che sono universali. Perché appunto riguardano dei valori universali. E come quando soffriamo perché ci manca il cibo, non possiamo non soffrire quando ci vengono tolti degli spazi. E in quanto tutti interdipendenti, la nostra sofferenza è la sofferenza di tutti – e la nostra piccola lotta è una lotta per tutti. Per questo ho preso ieri il testimone da Beatrice e per questo lo passo oggi a mia moglie Sonja.»
Al contempo, col digiuno ci si affranca un po’ dalla dimensione materialistica del quotidiano: il cibo è legato simbolicamente e di fatto alla terra. Più volte i digiunanti parlano di «sacrificio» e di altri concetti legati alla spiritualità della loro azione: «noi siamo già all’opera, abbiamo condiviso qualche consiglio reciproco. Stasera Yoga e meditazione Zen, che poi è un digiuno di parole e pensieri», racconta Antonello dell’Associazione Raphael. In piena sintonia, Sonja confessa: «ieri ho di giunato per un ottimo motivo e questo mi ha fatto bene al cuore e all’anima», e Alessandro aggiunge: «il digiuno è per me quello che era per Gandhi. Una preghiera laica, un modo per migliorare se stessi e nello stesso tempo costringere altri a riflettere e ad interrogarsi, per un’indipendenza non solo da un nemico esteriore ma anche dai nemici interiori». Passando il “testimone” a Pasquale, Andrea scrive: «Per la nostra staffetta ti invio un breve estratto de “Il cammino dell’uomo” di Martin Buber, un filosofo, teologo e pedagogista austriaco. È un testo religioso, ma credo contenga una buona saggezza e validi spunti di riflessione anche per chi (come me?) non crede esattamente nell’esistenza di un dio, o di un dio in particolare.» Andrea digiunò come atto d’obiezione di coscienza alla leva militare negli anni Ottanta; era stato convocato nel medesimo spazio che oggi egli stesso difende come luogo di socialità, natura e nonviolenza.
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