Pillola speranzosa… città in transizione crescono

Per chi c’era alla diretta in streaming della «lecture» di Rob Hopkins spero che sia stato/a contagiato/a dall’entusiasmo dell’oratore dall’età imprecisabile (ha quattro figli!). Per chi non c’era, ma magari ha seguito la diretta da casa sua, spero che abbia sentito quando hanno annunciato che «un gruppo di Torino è collegato con noi», perché si trattava del Centro Studi Sereno Regis, più precisamente dell’Ecoistituto che vi ha sede.

rob_hopkins_transition_movementIo c’ero e mi hanno colpito le mani di Rob Hopkins, belle grandi, come di uno che lavora la terra, e anche la camicia non inamidata, aperta sul collo, con le maniche tirate su… Sì insomma, uno che, oltre a parlare/studiare/scrivere, fa (fra l’altro, a proposito di coerenza, è venuto in treno).

Ecco quindi il motivo del titolo di questa «Pillola»: condividere due esperienze del «fare» che ci fanno ben sperare, anche in Italia, andando nella direzione della «transizione» (scusate l’involontaria cacofonia).

Una viene da Bologna, più precisamente da Borgo Panigale, dove è nata la prima CSA (Community Supported Agriculture, agricoltura sostenuta dalla comunità). In Inghilterra ce ne sono da 40 anni, ma non importa, l’importante è cominciare. Alcuni cittadini si sono riuniti in cooperativa, versano – una tantum – 100 euro per diventare soci (per ora sono 180, ma intendono arrivare a 500 per poter affittare altra terra da coltivare), e ci sono due tipi di soci (consumatore e lavoratore). Il socio consumatore paga 400 euro all’inizio dell’anno per avere 1 cassetta di verdura e frutta a settimana (3-4 chili di prodotti senza uso della chiimica). Questi soldi servono per pagare i soci lavoratori che si dedicano ai campi a tempo pieno, preparando il terreno, seminando, curando, raccogliendo e recapitando i prodotti (che possono essere ritirati presso la cooperativa o consegnate a casa dei soci consumatori).

Per altre informazioni (la fonte è stato un articolo di «la Repubblica» di Jenner Meletti, pubblicato il 9 marzo 2014): www.arvaia.it/www.aicare.it (questo secondo sito fa pensare all’«I care» di don Milani non vi pare?). La cooperativa ha scelto il nome di «arvaia» (che in dialetto bolognese significa «pisello») perché, hanno spiegato i soci, «ci mettiamo uno a fianco all’altro, come i piselli in un baccello».

La seconda esperienza è più vicina, a San Mauro Torinese, dove una maestra con i suoi scolari «ha creato 10 giardini dove coltiva verdure, erbe e frutta». L’articolo da cui ho tratto la notizia è stato scritto da Carlo Petrini e la fonte è lo stesso numero di «la Repubblica» citato qui sopra. Vi si narra di una maestra che «è» quello che fa. Maria Grazia Vincoletto (occhi dolci in un bel viso da «pasionaria») ama i libri ma, dice, «insegnando ho capito che studiare sulla carta non basta»; con questo pensiero la maestra ha aderito al progetto «Orto in condotta» (lanciato da Slow Food, per promuovere la creazione di orti scolastici), si è iscritta al primo corso per formatori e ora a San Mauro ci sono 10 «orti in condotta», 3 dei quali nella sua scuola. Il luogo dell’insegnamento non è solo la terra, ma prosegue all’interno delle classi in cui «La didattica legata all’orto è multidisciplinare […] frutta, ortaggi, aromatiche, formaggiio, pane, cereali e cacao sono per Maria Grazia strumenti con cui insegnare: “Quando affrontiamo la geografia dell’Italia [includiamo] anche le abitudini alimentari della regione […] se parto dal pane azzimo ripercorro la storia dell’umanità […] con l’aiuto delle cuoche della mensa scolastica si assaggia quanto coltivato. Così tanti bambini alla fine mangiano i broccoli che a casa rifiutavano». 

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