Crimea: Il referendum, la pagliuzza e la trave – Jan Oberg

Ovviamente è illegale e ovviamente sarà taroccato, quel referendum in Crimea oggi. E ovviamente è una manovra e arriva solo nella scia dell’aggressione non provocata della Russia (leggi di Putin), usata da pretesto per costruire una nuova (più) Grande Russia.

Questo, se si scorrono i media occidentali mainstream della scorsa settimana e di questa domenica mattina.

Referendum vuol dire ripassare una tematica al popolo. È – o dovrebbe essere – un importante strumento nelle democrazie. Ed è uno strumento molto migliore che la guerra o altri tipi di violenza per comporre conflitti complessi.

Generalmente, una soluzione di conflitto decisa dai cittadini è probabile che duri di più e contribuisca a guarire ferite del passato rispetto a qualunque tipo di soluzione imposta da attori esterni.

In Svizzera i cittadini vanno a votare su ogni genere di problematica parecchie domeniche all’anno. La Svezia l’ha utilizzato per decidere sull’energia nucleare, la Danimarca sull’associazione all’UE e – nel 1920 – per risolvere i conflitti nello Schleswig-Holstein e definire il futuro confine fra Germania e Danimarca. I referendum, vincolanti o no, sono uno strumento accettato in molti paesi.

Perché l’Occidente non ha usato i referendum?

All’Occidente piace pavoneggiarsi del proprio tipo di democrazia tutte le volte e ovunque può. Ma non usa così sovente lo strumento del referendum.

Circa 25 anni fa decise come valida soluzione al conflitto dividere la Jugoslavia in sei repubbliche; stupidamnete usò i vecchi confini amministrativi elevandoli al rango di confini internazionali (lo scopo che ci stava dietro: si poteva allora definire la presenza dell’Esercito Popolare Jugoslavo in Croazia e Slovenia come ”aggressione internazionale da parte della Serbia”) invece di chiedere alla gente a quale repubblica preferisse appartenere.

Fra pochi giorni 15 anni or sono la NATO bombardò il Kosovo e la Serbia per ”liberare” il Kosovo e renderlo uno stato indipendente – prevedibilmente fallito. Quindici anni dopo, ci si chiede quale soluzione migliore avrebbe potuto produrre una soluzione negoziata da concludere con un referendum. Anche lì niente referendum.

Oppure prendiamo gli Accordi di Dayton del 1995 per la Bosnia-Herzegovina. Nessuno nel democratico Occidente si preoccupò di chiedere ai 4,3 milioni di persone che ci vivevano (circa 33% serbi, 45% bosniaci musulmani e 17% croati) se gli sarebbe piaciuto vivere sotto tali Accordi.

Per di più, Dayton fu firmato negli USA, la costituzione bosniaca scritta da avvocati USA e l’accordo firmato da tre presidenti nessuno dei quali rappresentava alcuno in Bosnia al momento della firma. Non esattamente una pace democratica. E dovrebbe essere chiaro oggi che non funzionerebbe neppure in futuro.

O prendiamo il tema delle armi nucleari. Nessuno stato che ne sia provvisto ha mai chiesto ai propri cittadini se vogliano che il proprio paese possieda armi nucleari, che logicamente li rendono anche bersagli potenziali delle atomiche altrui. Tutte le indagini d’opinione nelle potenze nucleari ci dicono che non c’è alcuna maggioranza da alcuna parte per uno status di paese con armi nucleari.

E quanto pochi sono i nuovi membri est-europei della NATO e dell’UE che hanno avuto un referendum per associarvisi?

Sicché, anche nelle democrazie credere “di sapere cos’è meglio per voi” spesso è d’impiccio a soluzioni ai conflitti democratiche più intelligenti, cioè migliori e più sostenibili per conflitti complessi.

Questo è pericoloso: come ci si è arrivati?

La Crimea è un punto conflittuale estremamente sensibile e lo è da secoli. Secondo me, c’è oltre il 50% di rischio che la situazione che vediamo oggi in Ucraina possa condurre a qualcosa di simile alla Jugoslavia degli anni 1990.

I conflitti e la violenza – anche solo la loro minaccia – come pure le sanzioni hanno le proprie dinamiche e c’è sempre il rischio che sfuggano di controllo – se non ci si ferma a riflettere continuando invece nell’escalation del pan per focaccia.

Perché si è arrivati a questo? Ci sono molte ragioni ma mi si faccia citare queste:

? USA e UE si sono immischiate negli affari interni dell’Ucraina in modo tale che i neo-con e le istituzioni finanziarie russe né peraltro le ONG dei propri paesi avrebbero mai accettato, e sono quindi pesantemente corresponsabili dello scompiglio.

? USA e UE mancano di politici e di loro consiglieri che capiscano lo schema più ampio delle cose. Investono in spin doctor e aziende di pubbliche relazioni invece di perizia basata sulla conoscenza. Avrebbe dovuto essere ovvio a un’élite occidentale della sicurezza e della politica estera con cultura storica che l’Ucraina non è un luogo dove pescare in acque molto turbolente senza aspettarsi una reazione aspra.

? Putin vede un’occasione d’oro di giocar duro alla luce della storia della fine della Guerra Fredda, della dissoluzione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia dicendo in effetti: Fin qui e basta! Essere o atteggiarsi a sorpresi di ciò denuncia volumi d’ignoranza, propaganda, o tutt’e due.

Le trionfalistiche politiche espansioniste USA/NATO/UE fin dal 1989 avrebbero fatto da boomerang a un certo punto – e quel punto è l’Ucraina, che vuol dire appunto ”confine” (come Krajina in Croazia).

Politici più saggi del passato: sicurezza comune

Che ci piaccia o no, USA e UE hanno porto alla Russia e a Putin uno o due punti su un piatto d’argento.

Politici più saggi come Willy Brandt, Olof Palme, Urho Kekkonen, o Nelson Mandela sapevano che abbiamo bisogno anzi tutto di pace e poi di una politica che l’assicuri (non viceversa) e che questo significa moderazione, prudenza e ricerca d’interessi comuni anziché auto-promozioni provocatorie.

La riduzione di competenza intellettuale e di moderazione delle élite responsabili delle politiche di sicurezza ed estere mi preoccupa almeno altrettanto che la reazione russa alle politiche da “vincitore che si prende tutto” USA/NATO/UE.

Si spera che il referendum possa sciogliere la tensione

E così, speriamo piuttosto che il referendum in Crimea possa essere un mezzo per disinnescare la tensione. Il resto dell’Ucraina ha il proprio conflitto quanto mai preoccupante e fattori suscettibili alla violenza incombenti.

Ma non devono necessariamente saltar per aria come Pakrac, in Slavonia occidentale, Jugoslavia, dove fu sparato il primo colpo di quella che divenne una guerra terrificante. E ricordiamo che la guerra fu preceduta da un pescare in acque turbolente analogo a quello visto in Ucraina.

I decisori politici e i media sono in grado d’imparare dalla storia contemporanea questa volta o si ripeterà la Jugoslavia?

Forse un Occidente cristiano dovrebbe rammentare a se stesso – e prendere sul serio – il Vangelo di Matteo 1-5: ”E perché contempli il bruscolo che è nell’occhio di tuo fratello, ma non consideri la trave che è nel tuo occhio?”

L’incolpare “l’altro” reciproco a Mosca, Bruxelles e Washington dovrebbe essere considerata come poco più che proiezione psicologica dei propri lati bui (travi) di cui devono essere sentore nel subconscio.

Non arriveremo da nessuna parte se non all’inferno con quel pan per focaccia, quel giustizialismo e quell’ipocrisia. Sia la Russia che l’Occidente dovrebbero invece fare passi nella direzione della pacificazione democratica: deferire temi alla decisione della gente, ma – cosa importante aldilà delle parole – smettere d’influenzarla o comprarla mentre va alle urne.

(Transnat’l Foundation for Peace & Future Research, Lund, S)

17.03.14 Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

Titolo originale:Crimea: The Referendum, the Mote and the Beam

http://www.transcend.org/tms/2014/03/crimea-the-referendum-the-mote-and-the-beam/

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