L’omofobia non c’è solo in Russia – Laurie Penny

Non c’è niente di male nel dare solidarietà agli omosessuali e ai transessuali russi. Ma gli altri paesi non meritano una medaglia solo perché sono meno omofobi dei russi

Prendersi gioco degli omofobi è diventato uno sport nazionale che posso anche condividere. Da quando sono cominciate le Olimpiadi invernali 2014, a Soci in Russia, i mezzi d’informazione di tutti i paesi hanno sfornato una marea di articoli per manifestare la loro solidarietà agli omosessuali russi perseguitati. Il numero di questi articoli ha sfiorato il ridicolo: in soli due giorni ho contato almeno dieci inviati di vari giornali del mondo nello stesso bar gay di Soci, il Mayak. In un bar gay perfino un solo giornalista deve fare un bello sforzo per non dare nell’occhio, perciò i poveri russi che sono andati lì venerdì 7 e sabato 8 febbraio per bere un bicchiere in pace e flirtare un po’ devono essersi sentiti come animali allo zoo.

Ma anche se hanno condannato all’unanimità l’ omofobia di stato russa, i giornalisti dei paesi occidentali si sono guardati bene dal raccontare quello che succede più vicino a noi. L’Istituto canadese per la diversità e l’inclusione ha postato su YouTube un breve video sfacciatamente erotico che ha come protagonisti due uomini e si conclude con la frase “Le Olimpiadi sono sempre state un po’ gay”. La polizia di frontiera canadese, però, non si è dimostrata altrettanto tollerante. La settimana scorsa l’attrice inglese transgender Avery Edison, che era andata a Toronto a trovare la sua compagna, è stata fermata all’aeroporto perché aveva superato il periodo di soggiorno previsto dal visto di studio che le era stato rilasciato in precedenza. E dopo ore di domande ossessive è stata spedita in un carcere maschile.

In un tweet spedito dall’aeroporto mentre stavano per portarla via, Edison ha scritto di essere stata trattata in modo “deplorevole”. Viaggiare senza i documenti in ordine non è un reato. E lei non aveva nessuna intenzione di emigrare in Canada. Ma se l’avessero lasciata passare tranquillamente ci sarebbe stato il rischio di vedere da qualche parte due lesbiche che si baciavano.

Non c’è assolutamente niente di male nel manifestare la propria solidarietà alle transessuali e agli omosessuali russi, che sono discriminati in modo grottesco. Ma gli altri paesi non meritano certo una medaglia per il semplice fatto di essere meno omofobi dei russi.

Per questo tipo di falsa simpatia per i gay, gli attivisti lgbt usano la parola pinkwashing, costruita sul modello di greenwashing, l’ambientalismo di facciata di stati e aziende che vogliono dare di sé un’immagine positiva.

Al Regno Unito piace pensare di essere un paese tollerante, ma la Uk border agency, l’agenzia addetta al controllo delle frontiere, è stata accusata dall’organizzazione per la difesa dei diritti degli omosessuali Stonewall di “omofobia sistematica”. Da alcuni documenti del ministero dell’interno emerge chiaramente che le persone bisessuali che presentano domanda di asilo sono sottoposte per ore a interrogatori degradanti da parte di funzionari che fanno domande del tipo: “Cosa ci trova di tanto attraente nel sedere di un uomo?”.

Un portavoce del ministero ha dichiarato al nostro giornale: “Non espelliamo nessuno che rischia di essere perseguitato per le sue inclinazioni sessuali”.

Questa affermazione lascerebbe molto perplessa Jacqueline Nantumbwe, una lesbica che ha fatto richiesta di asilo e che quello stesso ministero vuole rimandare in Uganda, dove per il reato di omosessualità è previsto il carcere a vita.

Ho parlato con la sua compagna, anche lei ugandese, secondo la quale se tornassero in patria sarebbero “linciate dalla folla”. Il Regno Unito è indubbiamente meno omofobo dell’Uganda, ma questo non significa che può permettersi di trattare i richiedenti asilo omosessuali come criminali.

Personalmente, non ho niente contro i mezzi d’informazione, le aziende e i singoli individui che prendono in giro gli omofobi o sventolano la bandiera arcobaleno.

È una manifestazione di solidarietà divertente e non costa nulla. Ma il problema è proprio che non costa nulla. Appena c’è qualcosa da pagare, si tirano subito indietro. La bandiera arcobaleno dovrebbe essere un simbolo di protezione. Se un locale la espone, vuol dire che è un rifugio sicuro. Per i paesi occidentali è un’ipocrisia appropriarsene per poi umiliare e arrestare gli omosessuali alle loro frontiere.

Mentre sventolano la simbolica bandiera arcobaleno in faccia ai russi, quando le lesbiche, i gay, i bisessuali e le transessuali in carne e ossa arrivano alle loro frontiere e chiedono di essere accolti e protetti, i paesi occidentali li maltrattano e li insultano. Difendere i loro diritti in tutto il mondo è encomiabile ma, se nasce da una convinzione profonda, dovrebbe essere accompagnato da comportamenti coerenti anche in patria.

Mentre stava per essere portata in un carcere maschile dell’Ontario, dopo l’umiliante interrogatorio all’aeroporto, Avery Edison ha scritto su Twitter: “Questo rovinerà la mia immagine di ragazza allegra e spensierata”.

E i governi occidentali che alle loro frontiere continuano a trattare gli omosessuali come se non fossero esseri umani potrebbero dire la stessa cosa.

LAURIE PENNY è una giornalista britannica. È columnist del settimanale New Statesmane collabora con il Guardian. In Italia ha pubblicato Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo (Settenove 2013).

Fonte: Internazionale 1039 l 21 febbraio 2014

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