Dove vanno gli Stati Uniti d’America? – Johan Galtung
Washington-DC
Nei prossimi anni, fino attorno al 2020, non bene; più in là, dal 2030, niente male. Possibilità a breve:
– Politicamente: post-democrazia, parlamento che per essere eletto rende conto più al mondo degli affari che alla gente; vertice del potere esecutivo che rischia di scivolare, dal presidente ai giudici della corte suprema, col denaro che condiziona la politica, protetto in quanto “libertà d’espressione”; con rivelazioni di tipo Snowden che da una all’anno si fanno mensili, settimanali.
– Economicamente: inflazione incontrollata; diseguaglianza in accelerazione; miseria profonda che tocca da un terzo a metà della popolazione; depressione.
– Militarmente: colpo di mano di fondamentalisti evangelici per “restituirci il paese/il nostro impero, il mondo”; usando la guerra per rimettere in moto l’economia; una temporanea mano forte “per avviare le cose”.
– Culturalmente: declino della fede in un patto con un Dio universale in quanto Popolo Eletto Eccezionale; anomia, assenza di norme vincolanti.
– Socialmente: atomia, carenza di tessuto sociale, che conduce alla depressione collettiva e individuale; aumento di suicidi e omicidi (fra i quali quelli di veterani di ritorno da guerre senza senso); aumento d’“incidenti”– auto, treni, aerei – dovuti a trascuratezza, menefreghismo; massacri a scuole e simili da una volta all’anno a uno ogni settimana da parte di attentatori suicidi che sequestrano altre persone; malfunzionamento sociale generale; ebrei usati come capri espiatori per i mali in un antisemitismo rampante, considerando Israele sempre più come una passività.
L’ex-coordinatore comunitario/operatore sociale della Chicago sud attualmente presidente – retoricamente dotato ma privo di visione aldilà di un’assistenza sanitaria accessibile – rappresenta otto anni sprecati: tradendo chi l’aveva votato – non-bianchi, donne, giovani, ceto lavoratore, non-WASP (bianchi, anglo-sassoni, protestanti) – per diventare bipartito, imbarcando i repubblicani. Gli USA sono stati puniti a metà mandato (2010) per i suoi peccati politici con una massiccia paralisi politica. Hilary Clinton, sionista cristiana, è ancorata al passato e non sarà probabilmente neppure candidata; ha fatto il suo tempo.
Brutto a dirsi, eppure gli USA sono scivolati molto in giù su questa china viscida. Il movimento Occupy, un potenziale per il ringiovanimento, si è trovato di fronte alle infiltrazioni del FBI che ne ha arrestati 8.000, e a nessun politico di vertice disposto al dialogo.
Da dove possono provenire controforze di rinnovamento capaci di spostare il paese su un’altra rotta? Intanto: da ovunque eccetto Washington-DC, e le forze stanno già germinando ma hanno bisogno di tempo per diventare irresistibili:
– Politicamente: autorità locali e stati che prendano in mano il potere senza fare secessione – il che sveglierebbe Washington. Potrebbero avere la saggezza di creare un terzo, un quarto partito politico – l’Europa potrebbe consigliare dei partiti social-democratici rosa e verdi – emarginando i due partiti di destra che monopolizzano la politica USA. Donne-giovani-anziani- non-bianchi che assumano direttamente il potere mentre i maschi-bianchi-di mezza età si occupano dell’agenda a breve termine di cui sopra. Immigrati non-WASP che prendano in mano il potere per realizzare il sogno americano tradito. Una maggioranza straripante rispetto a un piccolo Tea Party.
– Economicamente: non si riesce a ripeterlo abbastanza: sollevare i ceti più bassi, dando loro speranza e dignità, portandoli dentro l’economia e soprattutto cambiando l’ethos dell’ economia dall’arricchimento dei ricchi all’empowerment dei poveri. Come politica nazionale questo orientamento viene bloccato in parte da politici comprati; mentre le politiche dei singoli stati e a livello locale non seguono necessariamente questo andamento.
– Militarmente: la riduzione della presenza militare USA all’estero per quanto riguarda guerre-basi-droni-SEAL [truppe speciali, ndt] è già in corso, e dev’essere realizzata a livello centrale. Ma stati e autorità locali possono spostarsi dall’orientamento alla vittoria all’orientamento alla soluzione invitando a dialogare contendenti ritenuti in conflitto non riconciliabile, violento, con gli USA, per poi tradursi in politica estera, come il riconoscimento della Palestina. E il Pashtuni-stan e il Kurdistan come comunità di autonomie nei due-quattro stati dove risiedono tali nazioni.
– Culturalmente: una normalizzazione degli USA, non un paese predestinato al ruolo guida, ma a uno normale, costruttivo, creativo, come gran parte degli altri paesi al mondo.
Tutto ciò è destinato ad avvenire: per cambiamento demografico negli USA e per l’emancipazione in corso da tempo degli emarginati USA. Da fuori arrivano migranti con un variegato bagaglio culturale e di sogni, ma senza la mistica puritana d’inizio secolo XVII di essere associati al patto di Abramo con Dio. Si può insegnare loro fedeltà a un paese che si pone (direttamente) “sotto Dio”, ma questo funziona meglio quando il paese è leale e ottimista, non come oggi, abbacchiato e in via di peggioramento. Anche l’orientamento alla vittoria funziona meglio in presenza di vittorie piuttosto che un insieme di sconfitte. Come sostiene Graham Fuller, sul Christian Science Monitor (15.11.2013):
“Siamo immersi in una fondamentale transizione globale dei rapporti di potere che non sappiamo controllare. Abbiamo abbandonato due guerre che non riuscivamo a vincere, a costi tremendi per noi stessi in sangue, finanze e opportunità, uccidendo intanto centinaia di migliaia di musulmani in paesi stranieri, creando odio e assicurandoci un’Al-Qaeda permanente”.
Però Fuller non offre alternative, che peraltro non sono così alla portata, essendo state soppresse come utopistiche, irrealistiche, non-americane. Tuttavia, idee nuove fioriranno facilmente sul fertile suolo USA del duro lavoro cooperativo; quando si realizzeranno le condizioni. Centinaia, migliaia di piccole iniziative dal basso valgono più che un altro stanco “compromesso” senza ispirazione.
Un ritiro USA in isolamento? Niente affatto, una dicotomia falsa. Che dire piuttosto di una Comunità NordAmericana, MEXUSCAN? Uno dei principali giornali messicani, La Jornada (19. 11.2013): “Gli USA dichiarano la fine della Dottrina Monroe”. Il discorso di Kerry all’ Organizzazione degli Stati Americani (OAS) ritiene urgente una uguaglianza tra le Americhe; ecco la via in avanti, l’ora degli USA non è ancora maturata, ma arriverà. Gli USA hanno i migliori automobilisti al mondo, rispettosi delle regole del traffico e degli uguali diritti: si trasferisca quella abitudine ai rapporti internazionali, prego!
Da giovani ufficiali, Robert E. Lee e Ulysses S. Grant nella guerra del 1846-48 conquistarono il 53% del territorio messicano. La “pace” del 1865 della guerra civile riunì il Nord e il Sud degli USA in questo obiettivo. Quel periodo è finito, e USA e Canada, non densamente popolati, potrebbero accogliere il 53% della popolazione messicana sul proprio suolo in un MEXUSCAN fiorente; col Messico come ponte verso l’America Latina-Caraibica; in rapporto equo tra le Americhe.
9 dicembre 2013
Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis
Titolo originale:The United States of America–Heading Where?
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