Malala ed Eartha Kitt: parole che sono importanti – Richard Falk
Ci sono due modi per rispondere a un invito di un presidente americano. Mi ricordo che quando ad Amory Lovins, il guru dell’ambientalismo orientato verso mercato è stato chiesto quale era il suo obiettivo principale quando è stato invitato alla Casa Bianca per incontrare il presidente, ha risposto con atteggiamento sicuro: “Di essere invitato di nuovo.” Cioè, essere sicuro di non dire niente che potrebbe aver turbato l’importante e il potente in misura tale da poter compromettere la possibilità di inviti futuri. Una lettura positiva di un tale approccio farebbe notare che Lovins cercava soltanto di essere realista. Se sperava di poter avere una qualche influenza in futuro, aveva bisogno di limitare il suo consiglio attuale ad aree situate ben all’interno della zona in cui il presidente era suo agio. Un’interpretazione meno caritatevole riterrebbe che quello che interessava a Lovins era l’eccitazione di avere accesso a un ingresso così prestigioso del potere.
Non avendo mai ricevuto un invito del genere, avevo un’esperienza minore, ma ho provato tentazioni simili dato che ero stato invitato, a causa di una specie di errore di valutazione, a essere l’oratore al banchetto a West Point alla fine di una settimana internazionale in questa accademia militare di élite in cui i cadetti e i rappresentanti di 100 college universitari erano stati ‘nutriti’ con la linea del governo dai massimi ufficiali al pentagono e al Dipartimento di Stato. L’ufficiale che aveva il compito di organizzare il programma, ha deciso che poteva essere più interessante, per una volta, avere un oratore che aveva una prospettiva più critica sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Sono stato invitato e ho accettato con la sensazione di essere sia cooptato che messo in discussione. Si è poi visto che la parte seducente della occasione che avevo è stata di trovarmi in una suite normalmente riservata al presidente o al Segretario alla Difesa; era lussuosa e così spaziosa che mi ci è voluto un po’ di tempo per localizzate la camera da letto, sebbene abbia trovato immediatamente il frigorifero ben fornito di birra e cibo. Le prime cose al primo posto. Comunque, dopo una crisi momentanea di fiducia, ho deciso che non avrei dovuto cedere al richiamo di questa splendida accoglienza. Malgrado alcuni spasimi di insicurezza, ho proceduto e ho presentato la mia conferenza che avevo preparato, su “La minaccia del militarismo americano.”
Il periodo era appena dopo la fine della Guerra del Vietnam, e le mie osservazioni di quella sera sono state salutate con entusiasmo dai delegati invitati da altri college universitari di tutto il paese che avevano sopportato una settimana di propaganda governativa ad alto livello, con reazioni mista da parte delle diverse centinaia di cadetti che sembravano divisi nelle loro reazioni a quello che avevo detto, e con un silenzio paralizzante da parte della facoltà di West Point che evidentemente aveva la sensazione che abusassi della situazione e che anche al ricevimento sociale alla fine, si è rifiutata di parlarmi o di guardare nella mia direzione. Suppongo che la giustificazione secondo loro era che la maleducazione genera maleducazione. In realtà avrei accettato una discussione del mio oggetto del contendere: stare continuamente sul piede di guerra fino dal 1945 stava facendo male alla società americana in modi difficili da superare, creando una cultura politica militarizzata, ma questa discussione non era destinata a esserci. Un cupo silenzio è stata la loro unica reazione quella sera di tanto tempo fa.
Il momento più drammatico della conferenza si è avuto durante il tempo dedicato alle domande, quando una giovane cadetta si è alzata in piedi e ha detto alcune parole a questo proposito: “Dato che sono stata persuasa da quello che ci ha detto, mi consiglierebbe di dimettermi dal mio incarico?” Questa era una sfida per il quale il mio testo non aveva risposte, e il pubblico non era preparato a questo intervento drammatico. C’è stato un silenzio totale nella grande sala. Un conto è incoraggiare una visione critica del ruolo delle forze armate nella società americana e in quella globale, ma un altro è sconfinare nelle decisioni riguardanti la vita di una persona giovane il cui futuro viene in messo in discussione in modo piuttosto essenziale. Non sapendo quale fosse il modo migliore di rispondere, e non lo so ancora dopo tutti questi anni, le ho più meno rilanciato la domanda, dicendo: “Riguardo a tali argomenti solo tu puoi decidere come vivere al meglio la tua vita.” Non ho mai scoperto che cosa le sia successo, ma non mi vergogno della mia risposta. E, soprattutto, pensavo che la mia prova aveva mantenuto fede alle mie idee. A prova di questo, non sono stato più invitato di nuovo, e dato che questo era il test che mi ero prefissato quando ho accettato l’invito, ho sentito che la serata, per quanto fosse diventata imbarazzante, non era stata un mio fallimento personale. Non saprò mai se ho fatto in modo che alcuni dei giovani ascoltatori la pensassero in modo un pochino diverso sul paese, e sui problemi della guerra, della pace, e della sicurezza.
E’ ricordando questa situazione che sono stato colpito pochi giorni fa dalla meravigliosa esibizione di coraggio, e compostezza di Malala Yousafzai che è andata alla Casa Bianca e dalle sedi mediatiche molto influenti (The Daily Show, Diane Sawyer), e anche dalla sua difesa del diritto delle ragazze in qualunque posto, ma specialmente nel suo Pakistan nativo e in Afghanistan, a ricevere un’istruzione, ma anche dal voler collegare la sicurezza umana all’abbandono della guerra e della violenza. Malala era una specie di bambina prodigio che sembra parlasse nella sua zona Valle dello Swat di tali argomenti dall’età di nove anni con incredibile facilità e intelligenza. Il fatto che un talebano fondamentalista le abbia sparato in faccia, un anno fa, mentre tornava a casa con il pulmino della scuola, ha dato alla sua vita e alla sua causa una visibilità immediata in tutto il mondo. Quando è guarita quasi miracolosamente (il proiettile le ha abraso il cervello) e ha ripreso la sua campagna, c’è stata un’ammirazione comprensibile per una ragazza così giovane che non era soltanto coraggiosa, ma che aveva una passione ardente per la conoscenza e l’istruzione e che esortava anche chiunque la ascoltasse, che la guerra e la violenza mon potevano condurre l’umanità verso un futuro migliore. Il suo consiglio: “Invece di mandare fucili, mandate matite, invece di inviare carri armati, mandate libri.” “Si è potenti quando si ha una penna attraverso una penna si possono salvare vite umane e questo è il cambiamento che vogliamo portare nella nostra società.” E’ stato un messaggio che era necessario fosse ascoltato a Washington e Malala ne è stata la messaggera ideale. Infatti Washington ha recepito la parte del messaggio relativa all’istruzione, ma non la parte contro la guerra, che ha fatto del suo meglio per ignorare.
Quando è uscita dal suo incontro con la famiglia Obama alla Casa Bianca, la sua dichiarazione è stata brillantemente creata per far risaltare la luce dell’occasione e per dissiparne l’oscurità: “Ho ringraziato il Presidente Obama per l’opera degli Stati Uniti per sostenere l’istruzione in Pakistan e in Afghanistan e per i profughi siriani. Ho espresso anche la mia preoccupazione che gli attacchi con i droni stiano alimentando il terrorismo. Vittime innocenti sono uccise in quelle azioni e causano risentimento nel popolo pachistano. Se ci concentreremo di nuovo sull’istruzione, questo avrà un grande impatto.” Anche la Casa Bianca ha fatto una dichiarazione lodando Malala per in suo impegno per l’istruzione e per il suo coraggio, ma in modo evidente, ha sorvolato sulla parte del suo commento dedicata ai droni. Questo silenzio in vista di una tale sfida ha un che di angoscioso. Questa reazione da parte del presidente ha cercato di far sembrare che Malala sostenesse soltanto un messaggio sull’educazione, mentre in realtà il suo messaggio reale era di connettere l’istruzione alla pace e alla sicurezza. Fino da quando il grande profeta brasiliano, Paolo Freire, aveva parlato del potenziale di emancipazione di insegnare a leggere e a scrivere ai contadini analfabeti delle campagne (vedere Pedagogy of the Oppressed di Freire [Pedagogia degli oppressi, EGA, Torino 2011] per un resoconto sulle trasformazioni realizzate con il suo lavoro nelle campagne brasiliane).
Naturalmente, finché gli exploit di Malala avallavano una tendenza anti-islamica e filo-americana, è una cosa semplicissima onorare i suoi successi, anche se ci rammarichiamo per l’errore da parte del comitato di selezione per il Premio Nobel, e generalmente elogiare una campagna che vuole vedere dappertutto le ragazze emanciparsi grazie all’istruzione. La parte più difficile è essere in grado di ascoltare un commento critico che menziona un problema di vita e di morte come quello del terrore provocato dai droni in Pakistan. Secondo il mio punto di vista, per Obama avere ignorato quella parte del messaggio di Malala significa non avere onorato la sua visita e averla sfruttata per i suoi scopi di pubbliche relazioni! E’ piuttosto strano che Obama non sia riuscito ad ascoltare l’intero messaggio di Malala. Dopo tutto, soltanto di recente il Governo degli Stati Uniti ha annunciato che sta cessando gli attacchi con i droni contro il Pakistan considerate le reazioni contrarie tra i pachistani. Sembrava che Obama fosse in grado di ascoltare Medea Benjamin pochi mesi fa quando ha interrotto il suo discorso sui droni all’Università della Difesa Nazionale.
Forse Obama poteva avere usato questa occasione per riconoscere che ascoltava e prestava attenzione ai gridi di pena che arrivano da comunità lontane che devono affrontare le minacce terrorizzanti delle guerra con i droni, ma allora, ancora una volta, avrei dovuto imparare la lezione. I nostri presidenti guerrieri sembrano sempre timorosi di apparire deboli se mostrano la minima compassione per le vittime del nostro militarismo, mentre stanno orgogliosamente dritti in piedi mentre piangono sui corpi di coloro che sono vittime del nemico, in relazione al passato recente.
L’esperienza di Malala mi ha ricordato un altro evento alla Casa Bianca di 45 anni prima. Eartha Kitt, un’amata cantante afro-americana che sussurrava nel microfono le sue canzoni sensuali, guadagnandosi l’attraente etichetta di “gattina sexy”, era stata invitata alla Casa Bianca come una delle 50 donne illustri per discutere l’aumento della criminalità tra i giovani americani con la moglie del presidente Lyndon Johnson, nota come Ladybird. Era il gennaio del 1968, al culmine della guerra del Vietnam, che stava gettando un’ombra oscura sulla presidenza di Lyndon B. Johnson, tanto più che egli avrebbe scioccato il paese pochi mesi dopo decretando una pausa ai bombardamenti e annunciando la sua decisione completamente inaspettata di non cercare un secondo mandato presidenziale. Quando a Eartha Kitt fu concessa l’occasione di dire poche parole, ha preso la palla al balzo, dicendo ciò che ogni persona ragionevolmente sensibile capiva bene, cioè che c’erano delle connessioni tra inviare i giovani americani a rischiare la morte in una guerra senza senso e l’allarmante scenario di droga e crimini nelle città americane. Per la maggior parte delle donne bianche e solenni che erano al pranzo alla Casa Bianca è stata una cosa orribile. Si è saputo che il resto delle ospiti, apparentemente senza eccezione, abbiano reagito con un “silenzio imbarazzato” a quello che il New York Times descriveva im modo paternalistico come “una tirata emotiva contro la guerra.” Cosa ancora peggiore, Ladybird Johnson era “sbalordita” e “in lacrime” presumibilmente immaginando che il suo pranzo “per fare del bene” era andato male anche prima che il dolce fosse stato servito. Questa elegante moglie texana del presidente, era una persona coraggiosa e liberale, avendo invitato personaggi popolari della cultura come Eartha Kitt insieme alla sua coorte più sicuramente leale, per discutere un problema nazionale. E che cosa fa, invece, Eartha Kitt se non rovinare l’occasione rifiutando di fare finta di niente e di trattare il crimine nelle città come qualche tipo di ‘disturbo’ interno che potesse essere non collegato alla guerra del Vietnam. Questo non collegamento era assurdo, considerando che erano i poveri e le minoranze quelli che per la maggior parte combattevano e morivano in Vietnam.
Le osservazioni pronunciate al pranzo alla Casa Bianca meritano di essere ricordate. “Voi inviate i migliori del paese a farsi uccidere e a farsi mutilare. Si ribellano nelle strade. Fumano l’erba…e andranno su di giri. Essi non vogliono andare a scuola per non farsi strappare dalle loro mamme ed essere mandati in Vietnam a farsi uccidere.” Forse non è stata la più elegante delle dichiarazioni, ma era autentica, piena di sentimenti genuini. Le hanno fatto pagare care quelle parole di verità. In un agghiacciante seguito, la carriera di Eartha è praticamente finita. Molti contratti per esibirsi nei club sono stati cancellati, le sono capitate poche nuove occasioni di esibizioni o di registrazioni, la sua carriera è stata gravemente danneggiata, se non distrutta. Nulla arrivava dalla Casa Bianca in sua difesa. A suo merito va detto che, malgrado queste crudeli pressioni e duri contraccolpi, Eartha Kitt non ha mai ceduto, non ha mai chiesto scusa.
Associo Malala ed Eartha nella mia mente perché entrambe hanno afferrato il momento per dire la verità al potere, sentendo che probabilmente significava non essere inviate di nuovo, e per Eartha Kitt era peggio di questo. Sembra quasi certo che nessuna delle due donne sarebbe stata invitata in primo luogo se le loro intenzioni di parlare apertamente fossero state note in anticipo. L’America è una democrazia fino a quando i suoi panni sporchi sono tenuti lontani dalla vista del pubblico, ma quando queste ovvii fallimenti morali come la guerra del Vietnam o gli attacchi con i droni vengono rivelati, la risposta che arriva dall’alto è una risposta di dolore ferito, di rabbia, o, nel migliore dei casi, di silenzio e di allontanamento. Fatto eloquente, per Eartha Kitt la reazione è stata vendicativa, ma per Malala è probabile che sia una risposta che consisterà nell’andare avanti, ignorando l’osservazione sui droni e focalizzandosi di nuovo sull’aspetto liberale della sua missione come paladina della crociata per l’istruzione per le donne come materia di diritto (eliminando invece la parte più radicale che condanna le guerre e l’intervento militare). Fortunatamente per la Casa Bianca, i media hanno fatto finta di niente, mettendo in risalto come Malala abbia fatto risatine tipiche di un’adolescente innocente e giovane, quando ha incontrato la Regina Elisabetta a Buckingham Palace pochi giorni dopo.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org./malala-and-eartha-kitt-words-that-matter-by-richard-falk
Originale: Richardfalk.com Traduzione di Maria Chiara Starace
23 ottobre 2013
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