Mentre la Siria si suicida, USA e Israele si godono lo spettacolo – Frank Barat intervista Noam Chomsky

Ceasefire (Frank Barat): Qual è la definizione dei negoziati nel linguaggio israelo-statunitense e perché l’Autorità Palestinese vi partecipa?

Noam Chomsky: Dal punto di vista statunitense i negoziati sono, in realtà, un modo perché Israele continui nelle sue politiche di appropriazione sistematica di tutto ciò che vuole nella West Bank, mantenga il brutale assedio di Gaza, separi Gaza dalla West Bank e, naturalmente, occupi le Alture del Golan siriane, con pieno sostegno degli Stati Uniti. E la cornice dei negoziati, come nei passati vent’anni dell’esperienza di Oslo, ha semplicemente offerto una copertura a ciò.

CF: Secondo te, perché l’Autorità Palestinese accetta questo e partecipa di volta in volta ai negoziati?

NC: Probabilmente per disperazione. Puoi chiederti se sia la scelta giusta o no, ma non hanno molte alternative.

CF: Dunque è sostanzialmente per sopravvivere che in realtà accettano il quadro?

NC: Se rifiutassero di aderire ai negoziati condotti dagli Stati Uniti la loro base di sostegno crollerebbe. Sopravvivono essenzialmente di donazioni. Israele si è assicurato che la loro non sia un’economia produttiva. Sono una specie di quella che in yiddish si chiamerebbe una “Schnorrer Society”: semplicemente ti indebiti e vivi di quello che riesci a ottenere.

Se abbiano un’alternativa a questo, non è chiaro, ma se rifiutassero la richiesta statunitense di negoziati su basi del tutto inaccettabili, la loro base di sostegno si eroderebbe. E loro hanno effettivamente sostegno – sostegno esterno – sufficiente perché l’élite palestinese possa vivere in modo piuttosto decente – spesso lussuoso – mentre la società attorno a essa crolla.

CF: Dunque, dopotutto,  lo sgretolamento e la scomparsa dell’Autorità Palestinese sarebbe un male?

NC: Dipende da cosa la sostituirebbe.  Se, per dire, a Marwan Barghouti fosse permesso di agire nella società al modo, diciamo, in cui fu possibile alla fine a Mandela, ciò potrebbe avere un effetto rivitalizzante nell’organizzare una società palestinese che potrebbe esercitare pressioni per rivendicazioni più considerevoli. Ma ricorda: non hanno molte scelte.

In realtà, risali agli inizi degli Accordi di Oslo, oggi vecchi di vent’anni. C’erano negoziati in corso, i negoziati di Madrid, nei quali la delegazione palestinese era guidata da Haider Abdel-Shafi, una figura della sinistra nazionalista molto rispettata in Palestina. Egli si rifiutava di accettare le condizioni statunitensi-israeliane, che, crucialmente, richiedevano che all’espansione degli insediamenti fosse consentito di proseguire. Egli rifiutò e perciò i negoziati entrarono in stallo e non arrivarono da nessuna parte.

Contemporaneamente Arafat e i palestinesi esterni si avviarono su un percorso secondario a Oslo, presero il controllo e Haider Abdel-Shafi fu così contrastato che nemmeno si presentò alla cerimonia spettacolare e priva di significato in cui Clinton appariva raggiante e Arafat e Rabin si stringevano la mano. Non si presentò perché si rese conto che era un’assoluta svendita. Ma lui era un uomo di principi e perciò non poté arrivare da nessuna parte, e noi non arriveremo da nessuna parte se non ci sarà un concreto sostegno dell’Unione Europea, degli Stati del Golfo e, alla fin fine, degli Stati Uniti.

CF: Secondo te che cosa è realmente in gioco in ciò che sta accadendo in Siria oggi e che cosa significa per la regione più vasta?

NC: Beh, la Siria sta precipitando nel suicidio. E’ una storia di orrore e peggiora sempre più. Non c’è alcuna luce all’orizzonte. Quello che probabilmente succederà, se questo continua, è che la Siria sarà divisa in probabilmente tre regioni: una regione curda – che si sta già formando – che potrebbe operare una scissione e unirsi in qualche modo al semiautonomo Kurdistan iracheno, forse con qualche genere di accordo con la Turchia. Il resto del paese sarà diviso tra una regione dominata dal regime di Assad – un regime brutale e raccapricciante – e un’altra sezione dominata da varie milizie, che vanno dalle estremamente malvage e violente alle laiche e democratiche. Nel frattempo Israele sta a guardare e si gode lo spettacolo. Se dai un’occhiata al New York Times di stamattina c’è una citazione di un dirigente israeliano che esprime la gioia della dirigenza nel guardare arabi che si massacrano a vicenda.

CF: Sì, l’ho letto.

NC: Per gli Stati Uniti va bene così, nemmeno loro vogliono un risultato. Se gli USA e Israele volessero assistere i ribelli – cosa che non vogliono – potrebbero farlo, anche senza un intervento militare. Ad esempio, se Israele mobilitasse forze sulle Alture del Golan (ovviamente si tratta delle Alture siriane del Golan, ma ormai il mondo più o meno tollera o accetta l’occupazione illegale israeliana) … Se facesse semplicemente questo costringerebbe Assad a spostare forze al sud, il che allenterebbe la pressione contro i ribelli. Ma non ci sono segnali nemmeno di questo. Non offrono nemmeno aiuti umanitari all’enorme numero dei profughi sofferenti, non fanno tutte quelle cose semplici che potrebbero fare.

Tutto questo suggerisce che sia Israele sia gli Stati Uniti preferiscono esattamente quello che sta succedendo adesso, proprio come detto nell’articolo del NYT di stamattina. Nel frattempo Israele può festeggiare, e il suo status, quello che chiamano la “villa nella giungla” … C’è stato un articolo interessante del direttore di Haaretz, Aluf Benn, che scriveva di come gli israeliani vanno in spiaggia e si divertono e si congratulano con se stessi per essere una “villa nella giungla”, mentre le bestie selvatiche là fuori si fanno a brandelli. E, naturalmente, Israele in questa immagine non sta facendo nulla, salvo difendersi. A loro piace questa immagine e nemmeno gli statunitensi sembrano esserne insoddisfatti. Il resto sono finte.

CF: Cosa ne pensi allora dei discorsi attuali su un attacco? Pensi che avrà luogo?

NC: Un bombardamento?

CF: Sì.

NC:  Beh, è in corso un dibattito a suo modo interessante negli Stati Uniti. Gli estremisti di ultradestra e di destra che sono, diciamo, fuori dallo spettro internazionale, si oppongono, anche se non per motivi che mi piacciono. Si oppongono perché “Perché dovremmo dedicarci a risolvere i problemi di altri e sprecare le nostre risorse?” Chiedono letteralmente: “Chi ci difenderà quando saremo attaccati, perché ci dedichiamo a aiutare gente all’estero?” Quella è l’ultradestra. Se guardi alla destra ‘moderata’, persone tipo, ad esempio, David Brooks del New York Times, considerato un opinionista intellettuale di destra… la sua idea è che il tentativo degli Stati Uniti di ritirare le proprie forze dalla regione non sta avendo un ‘effetto moderatore’. Secondo Brooks, quando le forze statunitensi sono nella regione, ciò ha un effetto moderatore. Migliora la situazione, come si può vedere in Iraq, ad esempio. Ma se ritireremo le nostre forze allora non saranno più in grado di moderare la situazione e migliorarla.

Quella è l’idea standard dalla destra intellettuale all’opinione dominante, ai democratici liberali e via di seguito. Dunque si parla tanto di: “Dovremmo esercitare la nostra ‘Responsabilità di Proteggere”? Beh, dà semplicemente un’occhiata ai precedenti statunitensi quanto alla “Responsabilità di Proteggere”. Il fatto che queste parole possano addirittura essere pronunciate rivela qualcosa di assolutamente straordinario riguardo alla cultura morale e intellettuale degli Stati Uniti e, in realtà, dell’occidente.  

Questo è ben separato dal fatto che si tratta di una grossolana violazione della legge internazionale. La linea più recente di Obama è che lui stabilisce una “linea rossa”, ma il mondo lo ha fatto attraverso le proprie convenzioni sulla guerra chimica. Beh, in realtà, il mondo ha un trattato, che Israele non ha firmato e che gli Stati Uniti hanno ignorato totalmente, ad esempio quando hanno appoggiato l’uso davvero orripilante delle armi chimiche da parte di Saddam Hussein. Oggi ciò è usato per denunciare Saddam Hussein, trascurando il fatto che fu non solo tollerato ma fondamentalmente appoggiato dall’amministrazione Reagan. E, naturalmente, la convenzione non ha meccanismi per farla valere.  

Inoltre non esiste una cosa come la “Responsabilità di Proteggere”; è una frode perpetrata dalla cultura intellettuale occidentale. Quella che c’è è una nozione. In realtà sono due nozioni: ce n’è una approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU che in effetti parla di “Responsabilità di Proteggere”, ma non dà alcuna autorizzazione per alcun genere di intervento eccetto che nelle situazioni definite dalla Carta dell’ONU. C’è un’altra versione, che è adottata solo dall’occidente, dagli Stati Uniti e dai loro alleati, che è unilaterale e che afferma che la “Responsabilità di Proteggere” consente “interventi militari senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza da parte di organizzazioni regionali nella regione in cui esercitano la propria autorità”.

Beh, tradotto in linguaggio corrente, ciò significa che autorizza gli USA e la NATO a usare la violenza tutte le volte che vogliono senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. E’ questa quella che è chiamata “Responsabilità di Proteggere” nel discorso occidentale. Se non fosse una tale tragedia, sarebbe una farsa.

CF: Grazie, professor Chomsky.

Frank Barat è coordinatore del Tribunale Russell sulla Palestina. Il suo libro con Noam Chomsky e Ilan Pappe “Gaza in Crisis: Reflections on Israel’s War Against the Palestinians [Gaza in crisi: riflessioni sulla guerra di Israele contro i palestinesi] è attualmente esaurito. L’edizione francese, pubblicata nel 2013, presenta un’intervista ampliata con Stephane Hessel.  

Noam Chomsky è professore emerito di linguistica e filosofia presso il Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Massachusetts.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:  http://www.zcommunications.org/while-syria-descends-into-suicide-israel-and-the-us-are-enjoying-the-spectacle-by-noam-chomsky.html

 Originale: Ceasefire

Traduzione di Giuseppe Volpe

8 settembre 2013

http://znetitaly.altervista.org/art/12273

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