Il massacro del Cairo: dopo oggi, quale musulmano si fiderà ancora dell’urna elettorale? Robert Fisk

Il crogiolo egiziano si è rotto. L’ “unità” dell’Egitto – quella colla onnicomprensiva, patriottica, essenziale  che ha tenuto legata insieme  la nazione fin dal rovesciamento della democrazia e dal governo di Nasser – si è squagliata tra i massacri, le battaglie con le armi da fuoco, e la furia della repressione di ieri della Fratellanza Musulmana. Cento morti -200, 300 “martiri” – non fanno alcuna differenza per il risultato:  per milioni di egiziani la strada verso la democrazia è stata fatta a pezzi tra il fuoco delle armi e la brutalità. Quale musulmano che cerca uno stato basato sulla propria religione si fiderà mai di nuovo dell’urna elettorale?

Questa è la vera storia del bagno di sangue di ieri. Chi può essere sorpreso che dei sostenitori dei Fratelli Musulmani imbracciassero dei kalashnicov nelle strade del Cairo? O che i sostenitori dell’esercito del “governo a interim” – in zone della classe media della capitale, nientemeno – abbiano acchiappato le loro armi o ne abbiano prodotte di loro e abbiano iniziato a rispondere al fuoco. Qui non si tratta della  Fratellanza contro l’esercito, sebbene questo sia il modo in cui i nostri statisti occidentali cercheranno di rappresentare falsamente questa tragedia. La violenza di oggi ha creato una divisione crudele all’interno della società egiziana e per guarirla ci vorranno anni; tra le persone di sinistra e laiche e Cristiani Copti e gli abitanti musulmani sunniti dei villaggi, tra la gente e la polizia, tra la Fratellanza e l’esercito. Questo è il motivo per cui Mohamed el-Baradei stasera si è dimesso. L’incendio delle chiese è stato un corollario inevitabile di questa terribile faccenda.

In Algeria nel 1992, al Cairo nel 2013 – e chissà che cosa succederà in Tunisia nelle prossime settimane e mesi? – I musulmani che hanno ottenuto il potere correttamente e democraticamente per mezzo di un voto comune, sono stati scaraventati via dal potere. E chi può dimenticare il nostro feroce assedio di Gaza quando i palestinesi hanno votato – anche questa volta democraticamente – per Hamas? Non importa quanti errori abbia fatto la Fratellanza in Egitto – non importa quanto sia stato promiscuo o fatuo il loro governo – il presidente Moahmaed Morsi, democraticamente eletto, è stato spodestato dall’esercito. E’ stato un colpo di stato, e John McCain ha avuto ragione a usare quella parola.

La Fratellanza, naturalmente, avrebbe dovuto frenare da molto tempo il suo amor proprio e avrebbe dovuto tentare di tenersi all’interno del guscio della pseudo-democrazia permessa in Egitto- non perché fosse buona, o accettabile o  giusta, ma perché l’alternativa era  inevitabilmente un ritorno alla clandestinità, agli arresti di mezzanotte, alla tortura e al martirio. Questa è stata il ruolo storico della Fratellanza, con periodi di vergognosa collaborazione con gli occupanti britannici e i dittatori militari egiziani  – e un ritorno nell’oscurità indica soltanto due esiti: che la Fratellanza si estinguerà nella violenza o riuscirà in qualche data lontana – che il cielo risparmi all’Egitto questo destino – a creare un’autocrazia islamica.

Gli esperti oggi  si  sono impegnati nel loro lavoro vergognoso, prima che il primo cadavere fosse messo nella tomba. L’Egitto può evitare una guerra civile? La fratellanza “terrorista” sarà eliminata dall’esercito leale? E che dire di coloro che hanno dimostrato prima della deposizione di Morsi? Tony Blair è stato soltanto uno di quelli che hanno parlato di “caos” incombente se conferissero il loro appoggio al Generale Abdul-Fattah al-Sisi. Ogni incidente violento nel Sinai, ogni fucile nelle mani dei Fratelli Musulmani, saranno ora usati per convincere il mondo che l’organizzazione – lungi da essere un movimento islamista malamente armato ma ben organizzato – era il braccio destro di al-Qaida.

La storia avrà forse un’opinione diversa. Certamente sarà difficile spiegare come molte migliaia – sì,  forse milioni di egiziano istruiti,  liberali, abbiano continuato a dare il loro appoggio sincero al generale che ha passato molto tempo dopo la deposizione di Mubarak a giustificare i controlli fatti dall’esercito  della verginità delle dimostranti di Piazza Tahrir. Al-Sisi sarà sottoposto a esami minuziosi nei prossimi giorni; è stato sempre ipoteticamente simpatizzante della Fratellanza, sebbene questa idea possa essere stata provocata dal fatto che sua moglie indossi il niqab (il velo che lascia scoperti soltanto gli occhi, n.d.t.). Molti intellettuali della classe media che hanno dato il loro appoggio  all’esercito, dovranno comprimere la loro coscienza  per adattarsi agli eventi futuri.

Il detentore del Premio Nobel e studioso di scienza nucleare, Mohamed el-Baradei, la personalità più famosa, agli occhi degli occidentali, ma non di quelli egiziani – del ‘governo a interim’, la cui mentalità sociale e  integrità apparivano spaventosamente in disaccordo con le azioni di oggi del ‘suo’ governo, poteva restare al governo? Naturalmente no. Doveva andarsene, perché non aveva mai progettato un tale esito per la sua scommessa di potere politico quando ha accettato di sostenere la scelta dei ministri fatta dall’esercito  dopo il colpo di stato del mese scorso. Però la  cricca di scrittori e di artisti che insistevano a considerare il colpo  soltanto come un’altra fase della rivoluzione del 2011 – dopo il sangue e le dimissioni di el-Baradei – dovrà usare delle espressioni di dolore per sfuggire alla vergogna per quegli avvenimenti.

Teniamoci pronti, naturalmente, per le solite domande in gergo. Questo significa la fine dell’Islam politico? Certamente, per il momento; la Fratellanza non è certo nello stato d’animo di tentare alcun altro esperimento di democrazia – un rifiuto che è di danno immediato per l’Egitto. Infatti senza libertà c’è violenza. L’Egitto si trasformerà in un’altra Siria? Improbabile. L’Egitto non è uno stato con delle sette, non lo è mai stato, anche se il 10% delle persone è Cristiano- né è intrinsecamente violento. Non ha mai sperimentato la ferocia delle rivolte algerine contro i francesi, o le insurrezioni siriane, libanesi, palestinesi contro sia i britannici che i francesi. Però parecchi fantasmi oggi chinano il capo per la vergogna; per esempio, quel grande avvocato rivoluzionario della rivolta del 1919, Saad Zaghloul. E il generale Muhammad Neguib i cui tratti rivoluzionari del 1952 sembravano così simili alle richieste della gente di Tahrir nel 2011.

Però certamente qualcosa è morta oggi in Egitto. Non la rivoluzione, perché in tutto il mondo arabo rimane l’integrità della proprietà  – di persone che chiedono che essi, non i loro capi, siano i padroni del loro paese –  anche se macchiata di sangue. L’innocenza è morta, naturalmente, come muore dopo ogni rivoluzione. No, ciò che è morta oggi è l’idea che l’Egitto era la madre eterna della nazione araba, l’ideale nazionalista, la purezza della storia in cui l’Egitto considerava tutta la sua gente come figli. Infatti le vittime di oggi della Fratellanza – insieme ai poliziotti e ai sostenitori del governo – erano anche  figli dell’Egitto. E nessuno lo ha detto. Erano diventati i “terroristi”, i nemici del popolo. Questa è la nuova eredità dell’Egitto.

 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org

Fonte:http://www.zcommunications.org/Cairo-massacre-after-today-what-muslim-will-ever-trust-the-ballot-box-again -by-robert-fisk

Originale: The Indipendent Traduzione di Maria Chiara Starace

15 agosto 2013 http://znetitaly.altervista.org/art/12026

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