Teatro, tragedia e commedia secondo Lanza Del Vasto – Daniel Vigne

L’arte viva è un movimento permanente che racconta la Vita, la illustra e la interroga. Il teatro significa e condivide una certa visione del mondo, la visione di un mondo migliore, e tenta di guarire il mondo dai suoi mali attraverso delle parole, come il canto e la poesia… Qui di seguito un estratto della tesi avvincente di Daniel Vigne

Daniel Vigne, La Relation infinie. La philosophie de Lanza del Vasto, p. 149-152. Da “Nouvelles de l’Arche”, anno 61, n. 1, Inverno 2013 (traduzione di Laura Lanza)

Il teatro, per Lanza del Vasto, ha come origine la festa religiosa, come luogo primitivo il tempio, e si radica nella danza come arte principale. La festa, il tempio, la danza si coniugano concretamente nell’arte teatrale, che è, dice Lanza “il primo e più completo sviluppo della danza” e, “come la festa, il concerto di tutte le arti” (1)

La loro caratteristica comune è infatti di rappresentare, rendere visibile una presenza invisibile, che la danza attualizza mediante il gesto, la festa mediante l’invocazione, il teatro attraverso la maschera e il ruolo. Nella danza sacra, nelle cerimonie rituali, nello spettacolo teatrale, “l’attore, prete, stregone o popolo, indossa il personaggio o la maschera del dio, si lascia riempire dalla sua forza e la sua voce, e per un momento diventa lui” (2). Ogni festa religiosa, in quanto cerimonia rappresentativa, è dunque teatrale, e se si può considerare il teatro come la prima arte a se stante, questa è come un ramo originato da questo tronco sacro.

Il teatro ha un altro carattere che lo ricollega alla festa primitiva, ed è il suo contenuto sacrificale.

Poiché la festa è si esaltazione, ma anche distruzione, coniuga forza di vita e spavento di morte. Nella festa, “tutti insieme si uccide il totem, oggetto di divieto e tabù supremo : ci si sbarazza insieme del terrore comune” (3). Il teatro, allo stesso modo, esorcizza la violenza collettiva con la “morte programmata” di un eroe divenuto vittima. Questo è vero soprattutto della tragedia, ma anche, come vedremo, della commedia. Distinguiamo dunque queste due forme di teatro:

Il tragico e il sacrificio

Lanza del Vasto ha parlato molte volte di questi argomenti, molto prima della pubblicazione de “La Violence et le Sacré” (la violenza e il sacro) da parte di René Girard nel 1972, concetti la cui somiglianza con le tesi di questo autore colpisce particolarmente. Sia per l’uno come per l’altro, l’eroe tragico rappresenta la vittima sacrificata, la cui morte sigilla l’unità del gruppo. Il dramma teatrale mette in scena questo sacrificio fondatore, che la religione perpetua sostituendo il sacrificio umano con quello degli animali e che la tragedia restituisce indirettamente mediante la finzione.

L’origine della parola (tragos), come sappiamo, sostiene questa interpretazione. “Cosa è il teatro in sé, se non il riflesso di una liturgia antica (…) come era la tragedia o il “corteo dei capri” del sacrificio (4) ? “Il teatro è ciò che rimane della festa e del sacrificio primitivo. (…) Come l’eroe è stato sostituito dal capro, così il rito è stato sostituito dal dramma (5).” La tragedia greca, scrive Lanza, è “un sacrificio umano che è degenerato in spettacolo” (6).

A partire dall’epoca di Sofocle e Eschilo, questa origine violenta, infatti non è più evidente. “Nella tragedia, sussiste il ricordo confuso del sacrificio che sostituisce. L’eroe è presente e deve morire, ma non si sa più bene perché, e questo dà origine ad un’oscura fatalità che pesa sull’eroe in quanto eroe”(7).

Quale il motivo della sua morte ? “Per la salvezza di tutto il popolo”, scrive Lanza, ma “non essendoci più il motivo religioso, viene cercata una causa passionale”(8)

La tragedia avvolgerà quindi il processo vittimario di peripezie letterarie e di sentimenti patetici, senza poter eliminare il fatto che la morte dell’eroe, « lungi da rappresentare un incidente incomprensibile e pietoso, era la ragion d’essere della festa”(9).

Rimane comunque una differenza che non ci è possibile qui approfondire tra il pensiero di Lanza e quello di René Girard. Mentre per il primo gli antichi sacrifici prefigurano e anticipano quello del Cristo (10), per il secondo la rivelazione giudeo-cristiana smaschera e sovverte il “meccanismo vittimario” in opera nelle religioni in generale. Lanza percepisce queste ultime nella loro unità e continuità, mentre Girard insiste piuttosto sulla rottura e la

specificità del messaggio biblico. Ma sia per l’uno come per l’altro, il teatro tragico si radica nel sacrificio umano, esutorio della violenza collettiva.

D’altra parte Girard stesso ha man mano attenuato la sua convinzione sul carattere negativo delle antiche pratiche sacrificali e sul loro antagonismo per rapporto al messaggio cristiano (11).

Per quanto riguarda l’altra grande forma del teatro classico, la commedia, i due autori mostrano di condividere nuovamente il medesimo punto di vista.

Certo, Lanza ne dà una interpretazione originale, ma in una prospettiva che si ricollega alle tesi di René Girard. Sono ancor più prossimi per quanto riguarda la commedia, come vedremo, che non a proposito della tragedia.

La comicità e il ridere.

La festa primitiva comprende, secondo Lanza del Vasto, due tappe che sono come due dimensioni del sacrificio. La prima, di purificazione e espiazione, “toglierà il peccato dalla tribù e renderà il popolo dei fedeli puro e degno di celebrare la grande festa, la festa di glorificazione, che sarà quella del sacrificio dell’eroe o del totem” (12). Questi due aspetti della festa primordiale purificazione e glorificazione sono all’origine della nascita delle due maggiori forme del teatro : la commedia e la tragedia.

La tragedia, infatti, “che rappresenta la morte dell’eroe, si rifà senza saperlo al sacrificio di glorificazione”. E la commedia, da parte sua, “mette in scena il rito preistorico d’espiazione”(13).

Ora, questo primo aspetto della festa ha anche un carattere sacrificale, poiché il rigettare ciò che è contrario alla vita comune esige la sua distruzione pubblica. “Il giorno della festa era anche il giorno dei supplizi: la tribù si lavava dal peccato sacrificando i colpevoli. […] Tutti danzavano intorno ad essi, nella gioia di sentirsi liberati dalla tentazione di imitarli“(14). Queste sono, agli occhi dell’autore, l’origine del ridere e la vera natura della comico !

Fin dal 1926, Lanza conia la propria teoria sull’origine religiosa del riso. La distingue da varie altre : quella di Schopenhauer, sul ridere come “vendetta della natura contro la convenzione “(15); quella di Bergson, per il quale la comicità nasce dalla somiglianza tra il meccanicismo e la vita (“dobbiamo concluderne che il nostro secolo meccanizzato è il più comico che la storia abbia mai conosciuto,?” aggiunge l’autore, con una punta di umorismo);

quella di Freud che vi vede uno “scaricarsi liberatorio dell’inconscio” (è precisamente leggendo Totem et tabou (16), che, dice Lanza, gli è venuta l’idea); infine quella del suo amico Ugo Dettore, di cui parla nel 1929 nel suo Viatique (17).

Dopo aver passato in rivista tutte queste teorie, Lanza conclude: “La mia spiegazione, o piuttosto la mia illustrazione del riso come danza primitiva nei supplizi, chiarisce un maggior numero di aspetti del problema”.

Il riso, per Lanza del Vasto, si radica nei riti sacrificali di esecrazione . “La danza intorno alla vittima attaccata al palo colorato di colui che ha trasgredito“, avviene nell’ilarità generale. “Ci si libera di lui e della sua colpa, lo si punisce senza pietà” (18). La risata crea “il distacco assoluto dalla vittima, la quale è un altro, ed è l’affermazione di questa assoluta differenza” (19).

Sostenuta dal tam-tam, “che si ripercuote nel nostro ha ha!, la risata di tutti accompagna questa danza dello scalpo intorno ai condannati, “nel corpo del quale ogni danzatore passando infila il suo dardo” (20). Non si dice infatti che il ridicolo uccide?

Del ridere come violenza collettiva, Lanza sottolinea anche il carattere mimetico (non diciamo forse che è contagioso ?) di cui Girard mostra così bene l’importanza nei processi vittimari. Si deve ridere con gli altri, e al momento giusto (quello del sacrificio), per attestare la propria appartenenza al clan. “Se smetti di ridere, ti tagli fuori dal gruppo e ci rimetterai la testa!“ (21).

Ma la civilizzazione ha addolcito questo regime e dato ai propri riti di esclusione delle forme meno crudeli. Ancora una volta, la cultura sostituisce il culto, e fa nascere il comico, forma incivilita dell’antica danza intorno al palo della tortura.

Una nuova forma di teatro appare quindi. “La commedia, o arte per ridere, che si oppone alla tragedia e si erige ad arte importante” (22), quella di mettere in evidenza i piccoli difetti della nostra condizione. Non mette in scena gli eroi e gli dei, ma la gente comune, “i loro meschini litigi, i loro ottusi pregiudizi, le loro infauste imprese, i loro raggiri che finiscono male” (23) e fanno ridere ognuno delle proprie miserie. La commedia non moralizza, “punge sul sedere”, sgonfia i palloni gonfiati, prende in giro le convenienze…. Lanza ricollega così (in modo inesatto, ma che importa ?) la parola commedia al greco oïdeô, gonfiare (24). La parola buffone, fa anch’essa pensare a “qualcosa di gonfiato”, che fa scoppiare a ridere. Una ventina di etimologie più o meno fantasiose infiorano così il nono libro del Viatico, cioè l’ultimo che fu pubblicato da Lanza stesso. Molto coscientemente, l’autore ha voluto fosse centrato sulla questione del riso e lo ha intriso di un discreto umorismo dall’inizio alla fine.

Ci narra per esempio, Lanza, del suo nonno, un magistrato belga : “Era conosciuto nella città di Anversa per i suoi fantastici scherzi. Non rideva mai. […] Ma i suoi scherzi dimostrano che era più serio di quanto pareva” (25). E’ forse a lui che il nostro filosofo deve il suo sottile umorismo, tanto sicuro quanto trattenuto , di cui tutti quelli che lo hanno conosciuto da vicino possono testimoniare?

Ad ogni modo, questa teoria sull’origine religiosa del riso non è da prendere, a noi pare, alla lettera, ma con spirito, in tutti i sensi della parola. Che l’atroce danza dello scalpo sia la vera spiegazione della comicità, niente ci può costringere ad ammetterlo. Auguriamoci piuttosto che l’umorismo rimanga inspiegabile e che ci continui a nascondere il suo segreto, poiché sopravvivrebbe difficilmente a questo tipo di spiegazione e perderemmo molto se lo perdessimo. Delle riflessioni di Lanza sul riso, osiamo dunque dire ciò che lui stesso diceva delle sue etimologie : se non è vero, è ben trovato. (26)

Note

(1) La Trinité spirituelle, p. 105

(2) Viatique XXI, inedito, 18

(3) Viatico XI, inedito, 3393

(4)  Les Facettes du cristal, p.103

(5)  La Trinité spirituelle, p.106

(6)  Les Quatre Fléaux, p.298

(7)  La Trinité spirituelle, p.106

(8)  Le Viatique1, VIII, 17, p.296  vedi anche  Les Facettes du cristal, p. 103

(9) Ibid.  Lanza aggiunge in nota “è evidente il raffronto fra queste riflessioni e il saggio di Nietzsche sulla tragedia.  Si vede che vi si ricollegano, ed anche che vi aggiungono qualcosa”

(10) Il Viatico I, VIII, 17, p. 294 : “Ho appena assistito alla tragedia perfetta, che è all’origine della Tragedia, la messa”.

(11) “Il rito protegge le comunità dalla grande violenza. […]  Per riprendere l’espressione di Jean Pierre Dupuy, “i sistemi sacrificali contengono la violenza, nei due significati del termine”. […] Le religioni precedenti sono completamente sommerse dall’universo sacrificale, sottoposte ai suoi meccanismi, ma  con una certa innocenza” (René Girard, Quand ces choses commenceront…, (Quando queste cose cominceranno), Parigi, Arléa, 1994, p.57 e 58)

(12) “Les Etymologies imaginaires, art. “Rire”, p. 240. In Le Viatique I, IX, 1, p.316, l’autore menziona un terzo atto, “la festa vera e propria: giochi e giostre, recite, rappresentazioni e danze tradizionali, banchetto”

(13)  Les Etymologies imaginaires, art. “Rire”, p.244.

(14)  Gli approcci della trinità spirituale, inedito, 2.27, p. 108 (trad)

(15)  Le Viatique I, IX, 1, p. 314. Vedi A. Schopenhauer, Le Monde comme volontà et représentation, t.II, trad. A. Burdeau, Paris, Ed. F.Alcan, 1888, .232.

(16)  E non, come si potrebbe credere, il libro specifico di Freud sull’argomento (Le Mot d’esprit et ses rapports avec l’inconscient, 1907); vedi Le Viatique I, VIII, 20,p.298, nota.

(17)  Viatique XIII, inedito, 3876 (trad): “Quando sentiamo che tutte le facoltà di un altro sono ad un certo momento strangolate da qualche circostanza esteriore, ci lasciamo andare in noi stessi, per necessità di compensazione, a quell’ eccitazione particolare che è  rappresentata dalla risata”.

(18)  Viatico XI, inedito, 3396.

(19)  Viatico XII, inedito, 3718.

(20)  Les Etymologies imaginaires, art. « Rire », p.240.

(21)  Le Viatique I, IX, 1, p.327

22) Le Viatique I, IX, 1, p.342

(23)  Ibid.  Vedi al riguardo René Girard “Un équilibre périlleux.  Essai d’interprétation

du comique” (Un equilibrio pericoloso. Tentativo d’interpretazione della comicità). In

La Voix méconnue du réel,  Paris, Grasset, 2002, p. 289.

(24)  Le Viatique I, IX, 1, p. 332

(25)  Le Viatique I, IX, 3, p.347

(26)  Le Viatique I, IX, 2, p. 343, n.2

In “Arca notizie”, n. 2/2013, anno XXVIII NUMERO 2 maggio/settembre 2013. Quadrimestrale della Comunità dell’Arca in Italia

 

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