Cinema | Il fondamentalista riluttante

Enrico Peyretti

Né fondamentalista né riluttante

il-fondamentalista-riluttante-poster-italia_midFilm bello dal titolo brutto e sviante, Il fondamentalista riluttante (Usa 2012, regista Mira Nair) non racconta la storia di un terrorista poco cinico, ma quella di un giovane pakistano, Changez Khan, laureato a Princeton, che impara col tempo e la coscienza a giudicare e a dissociarsi dal fondamentalismo capitalista come da quello nazional-integralista.

Ben altro da quello apparente è il valore della vicenda umana raccontata. Il giovane fa una rapida brillante carriera come analista finanziario in un’impresa Usa di risanamento di aziende con l’accetta dei licenziamenti. Tornato a casa per una festa familiare, il padre poeta gli rivela, davanti al micro-caso di un cameriere licenziato, i macro-effetti del suo lavoro.

In una bella Istanbul, un editore che lavora senza arricchirsi, gli spiega chi erano e cosa facevano i giannizzeri, prigionieri come lui di una guerra altrui. Un poeta e un editore disinteressato – toh, la cultura! – smontano in Changez l’indiscussa religione finanziaria.

Del resto, davanti all’11 settembre, oltre alla pena per le vittime, egli aveva sentito un attimo di piacere per lo sfregio al potere imperante su popoli come il suo. La vicenda, sullo spazio di dieci anni, raccontati ad un giornalista-spia, perché anche lui apprenda, si concentra sul rapimento, a Lahore, di un agente Usa. Changez Khan, che ora si è guadagnato ascendente sugli studenti come docente franco e mobilitante (insegna, lui di famiglia ricca, che il Pakistan deve istituire una tassazione regolare e giusta per essere libero), rifiuta sia le armi dei mujahidin, sia la vendetta degli studenti. Non è riluttante, ritroso, esitante: è un pakistano integrato negli Usa che ha chiaramente emancipato la sua coscienza dal mito delle violenze gemelle, quella del dominio e quella della ribellione.

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