La nuova Europa guarda a Sinistra

Gianmarco Pisa

Albania. L’ultimo 23 giugno è una data da ricordare negli annali albanesi: alle elezioni politiche il Partito Socialista di Edi Rama (PS), da anni all’opposizione, è prima forza del Paese contro la ex maggioranza di centro-destra del conservatore Sali Berisha (PD), con una proiezione parlamentare di 84 seggi contro 56 seggi su 140. C’è aria di novità, non solo di “sinistra”, in Albania: certo, Rama è figura di primo piano, ancorché controversa (un artista, in passato accusato di corruzione e abusi edilizi), ma il voto esprime anche il diffuso malcontento contro l’autoritarismo, il nepotismo e il malcostume che hanno dominato la politica albanese degli ultimi anni, insieme con l’incertezza legata alla crisi, aggravata dal neoliberismo, e la prospettiva europea, ora da ripensare e rilanciare.

Bulgaria. Il 12 maggio, la prolungata protesta di piazza si è “conclusa”, dopo le dimissioni del premier Boyko Borisov rassegnate a febbraio, con elezioni anticipate che hanno consegnato la vittoria ai socialisti di Plamen Oresharki, pur in uno scenario tipo-italiano senza una chiara maggioranza: il Partito conservatore di Borisov sfiora il 32% ma il Partito socialista, unendo il suo 27% al 9% del Partito turco, è riuscito a formare una maggioranza e un governo di sinistra “riformista”. Che deve affrontare adesso le infinite contraddizioni della politica bulgara: a partire dall’aumento delle tasse e le misure di rigore, dettate da Borisov, per rispettare le imposizioni ultra-monetariste della U.E.

Romania. Le elezioni romene del 9 dicembre hanno registrato la vittoria della coalizione di centro-sinistra “social-liberale” con i socialdemocratici (PSD) del premier uscente Victor Ponta e i liberali (PNL) di Crin Antonescu a sfiorare il 60%. Viceversa, l’Alleanza per una Romania Giusta (ARD), del presidente conservatore Traian Basescu, è sotto il 18%. Il braccio di ferro tra il premier e il presidente, accusato di autoritarismo e nepotismo, si risolve così a favore delle forze democratiche, oggi alle prese con gli effetti della crisi: a fronte di un prestito-capestro da 20 miliardi € del FMI, il governo si è impegnato ad adottare misure di rigore, che il nuovo esecutivo, del tutto “filo-europeo”, sembra voler rispettare, cercando di barcamenarsi tra esigenze di bilancio e tutela delle fasce deboli.

Slovacchia. I risultati delle elezioni (10 marzo 2012) hanno visto il partito socialdemocratico (SMER) dell’ex premier Robert Fico ottenere la maggioranza assoluta, formando un governo monocolore, il primo dal 1989, mentre il partito di governo dell’Unione Cristiana e Democratica Slovacca (SDKÚ), dell’ex premier Mikuláš Dzurinda, colpito da scandali di corruzione e malaffare, è crollato dal 15% al 7%, superato dal Movimento Democratico Cristiano (KDH). La speranza nel rilancio economico e lo scandalo-corruzione denominato “Gorilla” (che, pur colpendo l’intero establishment, ha minato gravemente la credibilità del governo uscente) sono tra i principali motivi dell’importante svolta, che adesso dovrà impegnare il governo nel fronteggiare la crisi e in nuovi programmi di redistribuzione.

Croazia. Non meno “storico” lo scenario croato, alla vigilia dell’ingresso del Paese (1 luglio 2013) nell’Unione Europea. Il 4 dicembre 2011, per la prima volta nella storia ventennale della Croazia indipendente, l’HDZ, il partito nazionalista fondato da Franjio Tudjiman, finisce all’opposizione con appena il 25% del voto popolare. Anche in questo caso, corruttele e crisi economica hanno pesato nell’orientamento dell’elettorato, consegnando il governo del Paese al socialdemocratico Zoran Milanovic, che insieme con l’ingresso del Paese nell’Unione Europea dovrà guardare anche allo scenario regionale, alla futura adesione della Serbia e al processo di “pacificazione” nei Balcani.

Serbia. Analogamente “clamoroso”, per molti versi, lo scenario serbo. Due mesi dopo le elezioni generali del 6 maggio 2012, il Partito Progressista Serbo (SNS), il Partito Socialista Serbo (SPS) e le Regioni Unite di Serbia (URS) hanno finalmente firmato l’accordo per formare una singolare maggioranza parlamentare “socialista” e “nazional-moderata”. Su alcuni obiettivi politici comuni: il rafforzamento della legge, la lotta contro la corruzione, la riforma della pubblica amministrazione, la decentralizzazione amministrativa e lo sviluppo regionale, la tutela del welfare e la libertà dei media. Confermata la “scelta strategica” del Paese, sia per l’ingresso nell’UE sia per la sovranità sul Kosovo.

Questa, molto sommaria, carrellata testimonia dunque di un Est Europa ampiamente votato a sinistra, con governi di ispirazione socialdemocratica, in cui le forze legate al lavoro e alla tradizione sindacale riescono ad esprimere la maggioranza del consenso popolare. In un quadro sociale in cui sempre più forti diventano la domanda di cambiamento e di protagonismo, l’insofferenza verso la corruzione e il malaffare, il distacco dal rigore di una Europa germano-centrica e l’esigenza di politiche di tutela del lavoro, del welfare e dei diritti sociali. Un messaggio, anche, se non soprattutto, per la “vecchia Europa”.

Mappa Europa Orientale

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