Mettere fine alla guerra perpetua? Appoggiare la guerra con i droni? – Richard Falk

Il fatto che il Presidente Obama abbia scelto il 23 maggio per svelare il suo approccio ammonitore all’antiterrorismo del suo secondo mandato,  alla National Defense University (Università Nazionale della Difesa), ha semplificato l’ambiguità dell’occasione. La scelta della sede era di per sé  una garanzia oggettiva che in quella occasione non si sarebbe detto o fatto nulla che contestasse in nessun modo fondamentale la proiezione globale del potere militare americano. Il discorso di Obama abilmente formulato, trattava della tecnica di raffinamento in politica estera, del modi di ottenere maggiore efficienza nell’uccidere, di esaminare la mentalità della guerra dopo l’11 settembre, e celebrando tutto il tempo le glorie auto-mistificatrici dell’eccezionalità americana. Cioè, soltanto gli Stati Uniti, e forse Israele e la NATO, possedevano il diritto  di usare la forza in tempi e luoghi scelti dal protagonista senza consultare l’ONU, senza rispettare i vincoli della legge internazionale e senza ascoltare l’ammonizione presente nella Dichiarazione di Indipendenza di “mostrare un rispetto decente per le opinioni dell’umanità.” Questa eccezionalità, specialmente quando viene messa in pratica ricorrendo a guerre distruttive, invita all’opposizione, estremizza la lotta politica, e sconfigge qualunque speranza che la stabilità sarà raggiunta per mezzo della realizzazione graduale delle giustizia globale, piuttosto che attraverso rozze tattiche di diplomazia dei poteri forti e del  militarismo.

C’erano vari punti luminosi nel firmamento altrimenti oscuro di Obama. Forse l’aspetto più promettente della presentazione di Obama è stato il suo appello attentamente evasivo per riesaminare la reazione ancora prevalente agli attacchi dell’11 settembre di ‘guerra perpetua’. Fin dall’inizio questo cauto esame  rappresentava un’ironica inversione delle prescrizioni di Kant per la pace perpetua. Nelle parole di Obama …”una guerra perpetua…- fatta tramite i droni o le truppe di terra – si dimostrerà controproducente e altererà il nostro paese in modo sconcertante.” In base alla maniera in cui leggiamo la storia mondiale fin dal 1939, essa può essere intesa come un’era di guerra perpetua con un breve intervallo tra la fine della Guerra Fredda e gli attacchi dell’11 settembre. Certamente, durante questo periodo, gli Stati Uniti sono stati continuamente mobilitati per impegnarsi in qualche guerra importante con brevissimo preavviso, e questa posizione ha certamente militarizzato i rapporti tra stato e società nel paese. Non c’era nulla nel discorso di Obama che attirasse l’attenzione sui pericoli che presenta uno stato così militarizzato che deve ottenere un dominio militare globale e creare un ‘complesso militare-industriale’ che avrebbe fatto tremare di paura perfino Dwight Eisenhower. Non c’erano punti di riferimento che permettano al Congresso o alla cittadinanza di riconoscere che era ora di mettere fine alla guerra al terrore.

Sembrava che Obama mettesse in  dubbio l’indefinitività del mandato legislativo illimitato del 2001 di usare la forza oltremare senza includervi nessun riferimento a una precedente specifica procedura dell’approvazione del Congresso nell’Authorization to Use Military Force Act (Atto di Autorizzazione a usare la forza militare, AUMF). Nelle parole di Obama, “Il nostro sforzo sistematico di smantellare le organizzazioni terroristiche deve continuare, ma tutte le guerre devono finire. Questo è ciò che insegna la storia. Questo è ciò che la nostra democrazia richiede.” Allo stesso tempo, Obama ha evitato di sfidare direttamente  questa legge dell’AUMF promulgata per dare al governo proprio l’autorità legale per usare la forza dovunque e in qualsiasi momento per fare guerra contro sospetti terroristi avversari e i loro guardiani governativi.  Tale autorità può essere usata efficacemente  perfino dove non ci sono  minacce di terrorismo, come nel caso dell’Iraq quando è stato invaso e occupato nel 2003. A questo punto, Obama chiedeva al Congresso “di determinare come possiamo continuare a combattere i terroristi, senza tenere perpetuamente  l’America sul piede di guerra. Ha continuato dicendo che ciò che è necessario è “rifinire e sostanzialmente revocare il mandato dell’AUMF.” Ogni volta che i politici qualificano una raccomandazione con parole come “rifinire” e “sostanzialmente”, è un segno quasi sicuro che non si immagina  un gioco finale che forse non può neanche essere voluto. Quello che Obama ha reso evidente è che, sebbene abbia gli istinti giusti riguardo al cambiamento di rotta rispetto alla guerra al terrore, la sua volontà politica di appoggiare qualsiasi corso modificato  di azione era troppo debole per produrre un’azione, oppure perfino troppo debole per produrre un dibattito necessario per la sicurezza del paese e del mondo. Obama sembra avere familiarità con il formulare la politica  di sicurezza antiterroristica  come la guerra, fino a quando si muova verso la comprensione che la guerra al terrore a un certo punto diverrà più limitata nei suoi scopi, e che almeno verrà annunciata l’intenzione di dichiarare che la guerra al terrore è finita.  Obama non ha avuto la determinazione di insistere che gli incidenti causati da terrorismo avrebbero dovuto,  da allora in poi, essere trattati come atti criminali, il che è quello che accade nel resto del mondo – questo sarebbe stato certamente un passo importante per stare lontano dal fuoco,  e avrebbe anche potuto meritare di essere trattato come mezzo per estinguere l’incendio che l’11 settembre 2001 ha innescato nel mondo. La natura delle uccisioni della Maratona di Boston può essere stata proprio l’occasione giusta per operare  il cambiamento, sottolineando il grado in cui veniva posto i pericolo maggiore da estremisti che vivono nel paese. Non era più necessario trattare il mondo come un campo di battaglia di antiterrorismo.

In effetti c’è una vera sfida alla sicurezza che è stata posta l’11 settembre: gli Stati Uniti sono vulnerabili ad attacchi terroristici ben pianificati contro i molti obiettivi civili di una società moderna complessa. E sebbene anche altre nazioni siano state soggette a importanti attacchi come quelli con le bombe sui treni a Madrid nel 2004 e quelli di Londra del 2007, in nessun paese è così  probabile  che si déstino la   rabbia estremista e il  risentimento dovuto alla sua proiezione globale di potere  duri   come avviene  negli Stati Uniti, e nessun paese è così timoroso, malgrado il suo dominio militare come viene misurato da calcoli realistici, come lo sono gli Stati Uniti. Tale discrepanza indica che il ruolo globale americano richiede adeguamenti alla logica di auto-determinazione nel mondo post coloniale, che la protezione degli ultimi residui dell’edificio coloniale è un tentativo fallimentare, e anche pericoloso.

Certamente c’erano nel discorso di Obama molte espressioni fiorite retoriche che erano probabilmente destinate a fare piacere ai critici liberali della guerra con i  droni e di Guantanamo, le caratteristiche più imbarazzanti della sua presidenza. Tale retorica invitava a fare un paragone con il linguaggio di gran lunga più bellicoso e imperiale su cui faceva affidamento George W. Bush, ma l’approccio di Obama era in una forma sufficientemente nazionalistica da tenere conto delle sensibilità degli sciacalli della destra che gli fanno poco o nessuno sconto.  Obama ha espresso il suo impegno di combattere gli estremisti politici dovunque si trovino, allo stesso tempo attenendosi alla legge,  restando all’altezza  degli standard etici, e sostenendo la Costituzione. Ha sostenuto fermamente che la sua presidenza “ha operato energicamente per stabilire una struttura che governi il nostro uso della forza contro i terroristi – insistendo su chiare linee guida, controllo e responsabilità, codificate ora  nella  Presidential Policy Guidance (Guida della Politica Presidenziale) che ho firmato ieri,” un vanto destinato a far alzare più di un sopracciglio in segno di scetticismo. Obama ha anche riconosciuto che “questa nuova tecnologia solleva profonde domande – su chi è preso come obiettivo, e perché; sulle vittime civili, e sul rischio di creare nuovi nemici; sulla legalità di tali attacchi in base alla legge degli Stati Uniti e a quella internazionale; sulla responsabilità e la moralità. “Nello stesso tempo, questa gradita disponibilità  a indicare la necessità di un qualche ripensamento totale, è stata poco chiara, ostacolata da dichiarazioni che tutto quello che è stato fatto finora ha funzionato e che la guerra con i droni, malgrado pochi errori, è stata, in tutte le sue fasi, coerente con le leggi internazionali per la guerra, con la Costituzione e con la moralità internazionale. E’ rilevante che Obama si riferisca a “profonde domande” che devono essere fatte e che devono ricevere una risposta, ma a cui astutamente si astiene dal rispondere egli stesso, proprio come quando è stato relativamente gentile con Medea Benjamin, quando lei ha interrotto il suo discorso dal fondo dell’auditorio, sfidandolo in modo diretto a usare la sua autorità come Comandante in Capo per chiudere Guantanamo;   Obama  le ha risposto dicendo che lei meritava spettatori attenti, sebbene egli fosse  in sostanziale disaccordo con ciò che stava proponendo, ma non ha detto perché e come. Nel valutare la prestazione di Obama, mi sono ricordato di come  all’inizio i dissidenti sovietici svilivano le rivendicazioni di Mikhail Gorbachev di essere un riformista radicale: “Ci dà la glastnost  (maggiore libertà di parola) senza la perestroika   (cambiamenti  sostanziali  e strutturali)  ma ce li ha promessi entrambi.”

In gran parte Obama reagiva a un uno tsunami di critiche recenti da tutto il mondo. Le sue spiegazioni alla National Defense University equivalevano ad ammettere che condurre la guerra con i droni e mantenere aperta Guantanamo, nel bene  e nel male,  aveva gravemente eroso la statura diplomatica dell’America.  Oltre a questo, tale comportamento ha provocato un acuto risentimento diretto contro gli Stati Uniti ed era  molto probabile che producesse proprio gli estremisti che si supponeva venissero uccisi dagli attacchi dei droni. La presidenza Obama stava chiaramente tentando di indietreggiare da questo baratro senza cadere in un previsto agguato allestito dai suoi ossessionanti detrattori in patria. Come molti hanno fatto notare, il discorso si dilungava  su vaghi argomenti generali, e trattava brevemente precisi argomenti politici. Esso chiedeva in diversi modi un approccio più ‘organizzato’ alla guerra al terrore, e tuttavia, contemporaneamente sosteneva in modo dettagliato che quello che era stato fatto durante l’era Obama era stato sia ‘efficace’ che ‘legale’, ed era culminato nella missione che aveva ucciso Osama bin Laden nel 2011. In effetti il discorso riconosceva che la proiezione della forza americana nel mondo era diventata comprensibilmente un problema  per molti, ma poteva essere sistemata con delle ammissioni e fingendo preoccupazione,  senza fare alcun importante percepibile cambiamento di comportamento o di obiettivi.  La proposta di un tale aggiustamento di politiche non si qualifica certo come ‘profondo’ anche se i suoi sentimenti dovessero essere soddisfatti da questi  cambiamenti graduali in politica, come chiudere Guantanamo e minimizzare l’affidamento che si fa sui droni, mosse che a questo punto sembrano molto improbabili.

Il discorso  è stato particolarmente breve perfino sui punti specifici che erano stati anticipati da coloro che avevano fornito la loro opinione da esperti riguardo a che cosa aspettarsi. Per esempio ci si aspettava che sarebbero stati ripudiati i “signature strikes” *, controversi e moralmente oltraggiosi, per mezzo dei quali sono stati presi come obiettivi e uccisi uomini in età da combattimento nelle zone tribali del Pakistan e in Yemen quando sono visti riunirsi in un posto presumibilmente frequentato da terroristi, anche se non esiste nessuna altra prova del loro collegamento con la violenza politica. Obama non ha mai nominato quel tipo di attacchi. Non ha fatto neanche  riferimento alla ipotetica possibilità di un annuncio che la CIA in futuro sarebbe stata  confinata al suo ruolo primario di agenzia di spionaggio e di raccolta di informazioni, piuttosto che agire in una molteplicità di modi  paramilitari. Anche se questo a un certo punto accade, le politiche per i droni relative all’autorizzazione e  alla responsabilità continueranno a essere avvolte nel segreto e negheranno se la maggiore responsabilità per l’uso dei droni continuerà ad avere, oppure no, il suo quartiere generale a Langley (località in Virginia sede anche della CIA, n.d.t.). Naturalmente il significato che si dà a intendere di una tale riassegnazione di responsabilità al Pentagono per i droni, può essere una tipica montatura dei liberali. Sembra non realistico aspettarsi una grande  svolta nella  trasparenza e nella sensibilità rispetto alla legge internazionale e alla moralità soltanto perché il Pentagono e non la CIA avrebbe presieduto gli attacchi. Potrebbe essere illuminate a questo riguardo chiedere a Bradley Manning e a Julian Assange che cosa pensavano della trasparenza al Pentagono, e del  suo rispetto per la legge internazionale.

Ma c’è molto di più in gioco di quanto è stato discusso nel lungo discorso. Cercando di perorare la causa  che la guerra dei droni è meno invasiva perché provoca meno vittime civili, Obama non ha mai neanche alluso al grave livello per cui gli attacchi con i droni sono strumenti di terrore di stato, poiché spaventano tutta la regione esposta all’ uso abituale che ne viene fatto. La guerra con i droni, questo sistema di armi di una presumibilmente miracolosa strategia di antiterrorismo, nella sua attuazione è una nuova forma di terrorismo di stato che sta rendendo furiosa l’opinione pubblica contro gli Stati Uniti in tutto il mondo, reazioni non limitate ai luoghi soggetti agli attacchi, anche se specialmente lì. Un cittadino yemenita, Farea-al-Muslimi ha parlato  al Senato degli Stati Uniti in recenti sedute, degli atteggiamenti verso i droni nel suo villaggio nativo: “…quando pensano all’America, pensano alla paura che provano per i droni che volano sulla loro testa.” In Pakistan, i droni americani hanno avuto un impatto disastrosamente negativo sugli atteggiamenti pubblici verso i rapporti di Islamabad con gli Stati Uniti,  evocando ostilità popolare acuta e diffusa  in tutto questo paese asiatico di importanza cruciale. Perfino in Afghanistan, dove la violenza politica non mostra segni di declino, il leader scelto dagli Americani, Hamid Karzai, adesso dice che le prospettive di stabilità e di pace sarebbero accresciute con la partenza delle forze della NATO guidate dall’America. Questo è un voltafaccia piuttosto straordinario per un leader scelto anni fa a Washington e a lungo dipendente dalla  generosità e dai sacrificio umani dell’America.

Tali realtà avrebbero dovuto almeno tentare Obama a sollevare alcune domande genuinamente profonde sulla fattibilità e la intrinseca moralità della continuata insistenza degli Stati Uniti di proiettare il suo potere militare fino ai lontani angoli del globo. A beneficio di chi? A quali costi? Con che risultato? Ma c’è stato il silenzio di Obama su queste domande di fondo che si fanno quotidianamente in altri luoghi del mondo.

C’è un’altra linea di prudente preoccupazione che non si trova in nessun altro posto in questo accettazione dei droni meno  categorica, la dipendenza dai quali  è stata resa meno entusiasmante in qualche grado, ma che  resta un’accettazione. Circa 70 paesi attualmente possiedono i droni, sebbene non tutti abbiano acquistato droni da attacco, ma non è lontano il giorno in cui i droni faranno parte delle istituzioni militari di  qualunque stato sovrano rispettoso della propria sovranità, e poi che accadrà ? Obama ha parlato del diritto degli Stati Uniti di uccidere o catturare ‘terroristi’ sospetti dovunque siano nel mondo se il governo giudicherà che ci sia una minaccia imminente agli interessi della sicurezza americana e non favorevole  alla cattura. Ma non c’è una regola d’oro di fatto che governa i rapporti internazionali: “ciò che sostenete  sia il diritto di fare agli altri, autorizzate loro a farlo a voi.” Naturalmente, questo è spesso modificato invocando la super-regola di bronzo che generalmente funziona, almeno in relazione con la maggior parte dei paesi non occidentali: “possiamo farvi qualunque cosa desideriamo o sentiamo la necessità di fare, e tuttavia non si è creato un precedente legale, morale, o politico che possa essere invocato da altri.” L’eccezionalismo americano da tempo non condivide più  l’idea fondamentale che la legge internazionale dipende, per la sua efficacia, dalla logica della reciprocità: cioè, che ciò che X fa a Y, Y può farlo a X, o, per quello che conta, a Z, ma con la comparsa della tecnologia dei droni, possiamo presto arrivare a rimpiangere  di aver posto  la nostra dichiarazione  su una tale prerogativa unilaterale contro la legge che  codifica  doppi standard. Ci si è affidati a un approccio di tipo egemonico alla legge internazionale in relazione alle armi nucleari, con un pronunciamento piuttosto simile da parte di Obama nel 2009 per operare in sostanza verso un mondo senza questo tipo di armi. Quattro anni dopo,  il magro sforzo di realizzare questa visione,  dovrebbe essere un’indicazione che ammonisce  che il futuro impiego militare di droni è improbabile che sia limitato in modo importante fino a quando gli Stati Uniti considerano utile il loro ruolo, e, in base a questa prospettiva, un futuro senza confini per violenti conflitti in tutto il mondo, dovrebbe dare ai pianificatori del Pentagono molte notti insonni.

C’è un’altra caratteristica dell’approccio di Obama che regge alla prova. La disciplina e l’attenzione associate al suo appello di un approccio più restrittivo all’antiterrorismo sono fondamentalmente  affidate  alle sospette soggettività della buona fede del governo a Washington. Le rivelazioni di WikiLeaks avrebbero dovuto almeno insegnare alla cittadinanza che la segretezza ad alti livelli della politica del settore pubblico è intesa a mettere il comportamento controverso del governo al di là dell’esame pubblico e della responsabilità democratica. Obama sta chiedendo al popolo americano di mettere la loro fiducia nel giudizio e nei valori dei burocrati di Washington, in modo da assicurare che la democrazia sia ripristinata nel paese, e che sia  raggiunto un miglior equilibrio tra la sicurezza e le libertà della cittadinanza. Forse, mentre si sventola il vessillo della sicurezza nazionale si può  ingannare la maggior parte della gente, per la maggior parte del tempo, ma fortunatamente ci sono dei limiti a questi  banalità che arrivano dall’alto dei cieli malgrado dei media compiacenti. Andrebbe notato che la presidenza Obama ha fatto di più per impedire e punire    le violazioni della  segretezza governativa rispetto a  qualsiasi altra presidenza. In relazione alla criminalità rivelata da WikiLeaks, la reazione è stata di fare del suo meglio per perseguire legalmente il messaggero, e nello stesso tempo ignorando il messaggio.

Da molti punti di vista la canzone che Obama ha cantato alla National Defense University non si adattava alla melodia. Obama si è astenuto  dal fare il passo che sarebbe stato il più naturale e gradito: rimettere tardivamente il genio della guerra nella sua scatola e rifiutare finalmente la mescola non funzionante di guerra e crimine. Dopo tutto, le morti e e le migrazioni di gente causate dalle guerre combattute in Afghanistan e in Iraq, sono state gravi fallimenti dal punto di vista della strategia antiterroristica, e sembrerebbe che questo adeguamento sia arrivato in ritardo. L’errore alla radice commesso immediatamente dopo l’11 settembre, è stato di spostare la lotta contro al-Qaida e il terrorismo internazionale dal discorso del crimine alla struttura della guerra senza nessuna logica e rivalutazione ponderata circa le conseguenze avverse. Nell’atmosfera traumatica che prevaleva dopo gli attacchi,  questa transizione affrettata verso la guerra è stata fatta in parte sotto l’influenza della grande strategia neoconservatrice che aveva cercato attivamente un mandato globale per intervenire ben prima che avvenissero gli attacchi, specialmente in Medio Oriente. La cerchia di Bush non ha fatto segreto della sua ricerca di un pretesto per approfittare di quello che allora veniva chiamato ‘il momento unipolare,’ una fase non più di moda per ovvie ragioni. E’ necessario ricordare che prima dell’11 settembre i Democratici venivano rimproverati per la loro politica  estera  timida usata  negli anni 1990 che ha sprecato quella che si presumeva fosse una rara opportunità  per creare il tipo di infrastrutture per la sicurezza globale necessarie ad attuare e a proteggere tutta la potenzialità della globalizzazione neoliberale, che comprendeva la preoccupazione di assicurarsi che le riserve petrolifere del Golfo rimanessero accessibili all’Occidente. Sebbene gli Stati Uniti siano stati frenati  dalle loro battute di arresto in campo militare in anni recenti, la loro grandiosa strategia alla base non è stata ripudiata o riesaminata,  e perfino ora con così tante cose in ballo in campo politico e militare, stanno montando forti pressioni per intervenire in Siria in modo più robusto e per iniziare ancora un’altra guerra di aggressione, questa volta contro l’Iran.

In effetti, noi, popoli del mondo, possiamo trarre qualche debole conforto dall’approccio prudente evidente nella tendenza  di Obama ad allontanarsi dai rischi di una ‘guerra  perpetua’, ma fino a quando gli aspetti fondamentali del ruolo e delle ambizioni americane, e il militarismo collegato con queste non diventeranno il punto cruciale del dibattito, della difesa della causa e della linea politica, noi e gli altri non possiamo dormire sereni!

*”In questi attacchi noti come “signature strikes”,  chi opera i droni spara contro persone la cui identità non conosce ma che è basata su prove di comportamento sospetto o su altre “indicazioni”.” Da: http://www.propublica.org/article/drone-war-doctrine-we-know-nothing-about [nd.t.].

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org
Fonte:http://www.zcommunications.org/ending-perpetual-war-endorsing-drone-warfare-by-richard-falk Originale: Richardfalk.com Traduzione di Maria Chiara Starace

6 giugno 2013 http://znetitaly.altervista.org/art/11134

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