Fuochi accesi. I cattolici e la Resistenza nel Trentino – Recensione di Nanni Salio

cop fuochi_accesi_-_i_cattolici_e_la_resistenza_nel_trentino_temithumbnailGiuseppe Grosselli, Fuochi accesi. I cattolici e la Resistenza nel Trentino, Vita Trentina editrice, Trento 2013, pp. 230 

Da tempo cerchiamo di approfondire e interpretare la Resistenza anche dal punto di vista della nonviolenza. Oltre alla resistenza armata, di cui non intendiamo certo sminuire l’importanza e il significato, ci fu una resistenza civile non armata, in qualche caso propriamente nonviolenta, molto meno conosciuta. Negli ultimi anni, tuttavia, sono man mano cresciuti studi e ricerche che cercano di colmare questa lacuna.

La ricerca di Guseppe Grosselli permette di conoscere un aspetto importante, quello della resistenza dei cattolici in Trentino. Furono preti, suore, vescovi, gente comune e persino militari, dopo l’8 settembre, che rischiarono la vita e sovente furono uccisi o deportati nei campi di sterminio, per aver aiutato ebrei fuggiaschi a nascondersi, partigiani ad andare in montagna, addirittura militari tedeschi disertori.

L’autore ha tracciato “60 quadri”, uno per ciascun episodio ricordato. Sebbene egli non faccia esplicitamente riferimento alla resistenza civile non armata, in realtà è di questo che in gran parte si tratta.

Il contributo, nella postfazione, di Sandro Schmid, presidente dell’ANPI Trentino, “La guerra fredda ha ucciso l’anima della resistenza”, tocca alcuni punti fondamentali.

Il primo è quello della “memoria”, sia per i meno giovani sia per le nuove generazioni. Quanti dei malanni attuali del nostro paese sono conseguenza proprio della mancanza di memoria su cosa fu la Resistenza!

Un secondo punto è la frattura che si verificò dopo il 1948 tra la componente della Resistenza che si ispirava alla cultura comunista e quella delle altre formazioni, in particolare cattolica. Questa frattura venne parzialmente meno, ma non in maniera ancora definitiva e adeguata, dopo gli eventi culminati nel 1989 con le grandi trasformazioni nei paesi dell’Est europeo e il crollo dell’Unione Sovietica. Resta tuttavia ancora da compiere un vero e proprio e autentico lavoro di “riconciliazione” tra le diverse anime della società italiana. Una riconciliazione che si richiami ai valori e alle esperienze della cultura della nonviolenza e della trasformazione nonviolenta dei conflitti, sulla base di esperienze avvenute anche in altre parti del mondo, a cominciare da quella del Sudafrica.

Ricostruire e ricordare le forme di resistenza civile non armata è un primo passo in questa direzione e non solo. E’ anche la premessa per contrastare le pericolose derive di rinascita di gruppi politici di ispirazione neofascista e le derive di una cultura militarista, succube della NATO, che porta governi e ministri della difesa italiani a inneggiare alla corsa agli armamenti, come nell’attuale caso degli F35 spacciati come strumenti di “intervento umanitario” e per combattere il terrorisomo: quello degli altri, mediante il nostro terrorismo di stato.

Se un tempo lo slogan era ”ora e sempre resistenza”, oggi lo dobbiamo scandire nella forma: “ora e sempre resistenza nonviolenta”.

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