Le destre contro il diritto di cittadinanza

Gianmarco Pisa

Il tema della cittadinanza italiana per le cosiddette “seconde generazioni”, vale a dire i figli, nati in Italia, degli immigrati residenti sul suolo italiano, non è un tema nuovo ed è bene che il dibattito pubblico torni a interessarsene. Si ricorderà, all’epoca della passata legislatura, l’interesse personale del Presidente della Repubblica in tal senso, l’impegnativa campagna delle forze sociali e sindacali significativamente denominata “L’Italia sono anch’io”, e, in definitiva, una certa quantità di iniziative e attivazioni di società civile, volte, intanto, a sensibilizzare intorno al tema della presenza e del riconoscimento di questi “cittadini di fatto” presenti sul nostro territorio e, di conseguenza, ad estendere e caratterizzare, doverosamente, l’area dei diritti e delle libertà per questi soggetti.

Sempre nel periodo della passata legislatura, le priorità stabilite dall’agenda politica e dalla informazione di massa, nonché gli evidenti limiti politici di un governo del Presidente sostenuto da una maggioranza eterogenea e composita, ospitante al suo interno anche le formazioni di destra, da sempre e costitutivamente contrarie al riconoscimento della cittadinanza italiana per le seconde generazioni, impedirono che l’iter parlamentare e legislativo facesse il suo corso. Questo precedente getta un’ombra anche sull’attualità a noi più vicina.

Le condizioni politiche e la configurazione istituzionale all’interno della quale riprende corpo il dibattito sulla cittadinanza, infatti, sono del tutto analoghe a quelle che abbiamo registrato nel corso della precedente legislatura: un governo di larghe intese, nato per iniziativa diretta del Presidente della Repubblica, al punto da adombrare anche in questo caso la fattispecie del governo del Presidente, in cui non solo il Presidente del Consiglio (Enrico Letta) viene ad assumere un profilo tecnocratico e neo-centrista del tutto analogo a quello del suo predecessore, ma anche la maggioranza parlamentare di riferimento (un ibrido di PD-PDL e Scelta Civica, la formazione centrista dell’ex premier Mario Monti) viene a configurarsi in maniera del tutto simmetrica rispetto a quella della precedente legislatura.

Con l’aggravante offerta, in questa circostanza, dal fatto che l’opposizione di destra, tipicamente di destra, al riconoscimento della cittadinanza italiana e all’estensione della gamma dei diritti e delle libertà per quanti legalmente risiedono, studiano e lavorano sul nostro territorio, non si annida solo tra le file del Governo e della maggioranza parlamentare (a partire da ampi settori del PDL, ma scetticismi vi sono anche nelle frange più moderate o addirittura conservatrici all’interno del PD), ma si manifesta anche tra le opposizioni, fuori quindi dal perimetro della maggioranza parlamentare, vale a dire, in primo luogo, nella Lega Nord (da sempre nota per le sue posizioni intolleranti, esclusiviste e xenofobe) e nel Movimento 5 Stelle (che pure, sulla base della demagogia protestataria che lo caratterizza, ha fatto dell’opposizione all’estensione della cittadinanza e dei diritti, uno dei suoi cavalli di battaglia).

Si tratta, come detto, di un tema, quello della cittadinanza, “costituente”, essendo un tipico terreno di scontro tra la destra e la sinistra del quadro politico e delle forze sociali ed essendo anche uno scenario di portata strategica, dal momento che su di esso non solo si accendono livelli di scontro e di contrapposizione ma soprattutto si giocano tanti aspetti che hanno a che fare con le questioni dei diritti e delle libertà, nonché delle opportunità personali e sociali e delle condizioni di vita e di lavoro di migliaia e migliaia di persone.

È anche per questo che una delle iniziative più significative assunte, nel corso della passata legislatura, sul terreno delle questioni di cittadinanza è stata portata avanti dagli Enti Locali, in primo luogo da alcuni Comuni: i quali hanno assunto un vero e proprio ruolo di supplenza rispetto alle istituzioni nazionali ed hanno riconosciuto il carattere decisivo di questa battaglia, in quanto proprio dai suoi esiti dipendono il profilo di società (della “società dell’accoglienza” contro la “società dell’esclusione”) che si intende traguardare e le condizioni di benessere (a partire dalla possibilità, in base al riconoscimento della cittadinanza, di accedere ai servizi pubblici e sociali) che si intendono garantire.

Proprio come nell’esempio, tra gli altri, offerto dalla approvazione in via definitiva, da parte del Comune di Napoli, di una vera e propria “Carta dei Diritti e dei Doveri di Cittadinanza”, maturata quale esito di un interessante e impegnativo percorso di natura partecipativa, che ha visto lavorare, fianco a fianco, ricercatori e attivisti, centri di studio e di ricerca e forze sociali e sindacali. Ecco perché la battaglia contro il riconoscimento della cittadinanza italiana alle seconde generazioni (che non a caso vede dalla stessa parte Grillo e La Russa) è una battaglia, tipicamente di destra e tipicamente “incivile”: perché esclude e mortifica, crea sacche di esclusione e di marginalità ed amplifica la sperequazione sociale, che già la crisi economica e la polarizzazione sociale concorrono a rendere, nelle società a cosiddetto “capitalismo avanzato”, sempre più profonde e marcate: www.resetricerca.org/scaffale/4-tutte-le-sezioni/5-volontariato-e-terzo-settore

 

Gianmarco Pisa, RESeT Ricerca su Economia, Società e Territorio: www.resetricerca.org

 

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