Il/La Presidente della Repubblica – Pietro Polito
Il prossimo/la prossima Presidente della Repubblica può essere l’espressione dei veti contrapposti dei partiti o dello spirito della Costituzione. Che cosa prevede la Costituzione nella Parte II – “Ordinamento della Repubblica”, Titolo II – “Il Presidente della Repubblica”, artt. 83- 91?.
A differenza del monarca, il/la Presidente della Repubblica, è elettivo, rappresentativo ed è chiamato ad agire come custode delle regole nel gioco politico fra il Parlamento e il Governo. Egli non viene eletto direttamente dal popolo ma indirettamente dal Parlamento, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica in seduta comune, unitamente ai rappresentanti delle Regioni, a scrutinio segreto, inizialmente con una maggioranza dei due terzi, dopo il terzo scrutinio con la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto (art. 83).
La Costituzione è estremamente liberale. Ogni cittadino e ogni cittadina (come s’immagina in un film recente in cui per l’insipienza e la tracotanza dei partiti viene eletto un Presidente bibliotecario e pescatore) può essere eletto all’ufficio della Presidenza della Repubblica. L’unico limite è l’età, 50 anni (art. 84). Ma non sono richiesti particolari requisiti. Non è necessario essere stati o essere membri del Parlamento, tanto meno essere iscritti a un Partito o aver ricoperto o ricoprire incarichi politici o istituzionali. Men che meno è richiesta l’appartenenza o non appartenenza a una confessione religiosa. L’alternanza tra un laico e un cattolico, perlopiù praticata nella nostra storia repubblicana, è un criterio politico e non costituzionale.
Alla liberalità in materia di eleggibilità corrisponde una rigorosa severità circa la compatibilità con altri uffici pubblici o privati. Per capirci, un parlamentare può continuare a svolgere la professione dell’avvocato (nello scorso Parlamento abbiamo avuto numerosi esempi in questo senso), diversamente “l’ufficio del Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica” (art. 84).
Il Presidente dura in carica sette anni (art. 85) Il criterio della durata e il metodo dell’elezione sono pensati dal Costituente per garantire al Presidente la maggiore autonomia possibile nei confronti delle maggioranze parlamentari. Rimanendo in carica nel passaggio tra una legislatura e la successiva il Presidente risponde al Parlamento e non alla maggioranza che lo ha eletto. Il Presidente nomina il Presidente del Consiglio e i ministri (art. 87) e delibera lo scioglimento di una o entrambe le camere (art. 88). Mentre il Governo e il Parlamento hanno il compito di definire nella dialettica tra maggioranza e minoranza l’indirizzo politico generale, il Presidente ha la funzione essenziale di vigilare sull’apparato della Repubblica: “prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune” (art. 91).
Lo spirito della Costituzione suggerisce che il/la Presidente della Repubblica non sia espressione di un atto d’imperio di una minoranza (Partito democratico) contro le altre due (Partito della libertà e Cinque stelle), che non scaturisca da un accordo più o meno manifesto tra le due minoranze tradizionali (PD e PDL), escludendo la terza in ascesa, oppure tra pezzi sparsi di ciascuna minoranza, che sia il Presidente di tutti gli italiani e di tutte le italiane, inclusi coloro che hanno scelto l’astensione alle ultime elezioni politiche.
L’auspicio è che il Parlamento elegga un uomo o una donna, meglio una donna, che abbia l’autorevolezza e la capacità di interpretare il ruolo di un Terzo, non un Terzo tra le parti ma al di sopra delle parti. Un Terzo superiore: né un Terzo apparente, l’Alleato, che in realtà sta con una delle parti; né un Terzo reale ma passivo e debole, il Neutrale, che in realtà è succube delle parti; ma un Terzo attivo, che non s’identifichi con una delle parti, non sia ostaggio delle parti, si collochi al di sopra delle parti per farle comunicare, dialogare, cercare e trovare soluzioni comuni.
Secondo gran parte dei commentatori quello appena delineato è il ritratto del Presidente della Repubblica che ha appena concluso il suo mandato: Giorgio Napolitano è stato un Presidente al di sopra delle parti? Eugenio Scalfari non ha dubbi: “Napolitano è uno dei pochissimi presidenti della nostra Repubblica ad essere stato, dal momento della sua elezione, rigorosamente super partes. Nessuno degli altri, salvo Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi, lo è stato. Non lo fu Gronchi, e neppure Segni né Saragat né Leone né Pertini né Cossiga e neppure Scalfaro”.
Personalmente sospendo il giudizio. Ma osservo che il/la nuovo/nuova Presidente della Repubblica, a differenza del precedente, non può provenire dal mondo dei partiti, (purtroppo) non apprezzati se non disprezzati dal popolo. I partiti rappresentati in Parlamento possono dare un forte segnale nella direzione di una “disoccupazione” delle istituzioni, mettendo da parte i propri interessi particolari e trovando con intelligenza un uomo o una donna adatti al compito: un Capo dello Stato che conosca la Costituzione, tuteli la separazione dei poteri, favorisca una leale collaborazione tra di loro, abbia forza di carattere e di iniziativa, capacità di ascolto.
Per gli amici della nonviolenza un/una Presidente della Repubblica amico/amica della nonviolenza non è chiamato/chiamata solo a un’opera di mediazione ma a un lavoro costruttivo. Amaramente Norberto Bobbio ebbe a scrivere che la politica in Italia si riduce a non far fare le cose. La politica giusta, secondo lo spirito della Costituzione, consiste nel fare le cose, operando per rimuovere le cause dell’ingiustizia e delle diseguaglianze.
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