Cinema – War Witch – Recensione di Laura Operti
War Witch, regia di Kim Nguyen, Canada 2012, 90’, col.
War Witch è un film bellissimo, che è stato candidato come miglior film straniero agli Oscar 2013. Il tema è il dramma dei bambini–soldato, piaga vergognosa dell’umanità, causata dalla povertà , dal colonialismo e dal neocolonialismo. La cultura della violenza in vaste zone del mondo ha il sopravvento su qualunque sentimento di pietà.
In un villaggio subsahariano, simbolo di tutti i luoghi della terra sconvolti da guerre civili, una bambina dodicenne viene presa dai ribelli e costretta a fare la guerra , nei modo più atroci. Il primo atto è dunque il “ reclutamento” , violentissimo dei bambini . Sui vari atti che si susseguono, in quel mondo che ruota intorno all’uso dei bambini nei conflitti contemporanei, la lettura più illuminante , anche per la comprensione del film, è il libro di P.W.Singer I signori delle mosche, Feltrinelli, 2005. Dunque si parte dal crudele reclutamento , poi c’è una sorta di addestramento per trasformare una bambina in soldato, con l’esaltazione esasperata della violenza.
Il primo atto di guerra per Komona, così si chiama la bambina, sarà la fucilazione di padre e madre . Se non lo volesse fare i genitori soffrirebbero di una morte più atroce, perché sarebbero uccisi col machete.
Il film dunque segue all’inizio un andamento quasi scientifico di questa realtà, che è diventata oggetto di studi anche da parte del Pentagono, sulle tecniche militari adottate nei paesi “sottosviluppati”.
Poi nel film ha il sopravvento l’invenzione, l’immaginazione, il racconto di una storia all’interno di un dramma sociale .
Durante una battaglia nel fitto della vegetazione a Komona compaiono gli spettri dei suoi genitori e grazie alle loro indicazioni la bimba riesce a salvarsi tra i ribelli . Di qui si diffonde la voce che abbia poteri magici , sovrannaturali e il suo comandante, il Grande Tigre, la chiama strega di guerra, convinto che le sue visioni, condizionate forse dall’assunzione di un magico latte vegetale ricavato dalla corteccia di un albero, consenta di localizzare i nemici.
Passa il tempo. Komona, diventa amica del quindicenne Mago, albino, appena un po’ più grande di lei. Insieme cercano di fuggire per tornare al villaggio e dare sepoltura ai genitori uccisi . Ma Mago sarà ucciso e Komona sarà violentata dal suo spietato comandante e avrà un figlio da lui. Prima che nasca, la piccola mamma parla al bambino che ha in pancia e gli dice che in tutte le brutture in cui è costretta a vivere, non sa se riuscirà a volergli bene
Ma non sarà così. L’ultima scena ci fa vedere Komona che è riuscita a fuggire col suo piccolo che è nato e che tiene stretto. Riesce a salire su un carro dove insieme a lei sono molti altri uomini e donne con la faccia buona , che fuggono dalla guerra . Tra gli altri c’è anche una donna molto grossa , che le sorride e prende in braccio il bambino con l’espressione di chi ha avuti tanti bambini e ne ha sempre avuto amorevole cura. Komono glielo lascia, si sdraia , si gira da un’altra parte e finalmente si riposa, prende un po’ di sonno .Un quadro di pace , di riconciliazione con la vita, tenerissimo.
Ma insieme a questi sentimenti lo spettatore non può non provare un senso di profonda indignazione , di rabbia per un mondo, il nostro, che consente che queste cose succedono , mentre si i continua a parlare di “consumi” , e di altro che, visto con gli i occhi di questi bambini, non può che rivelarsi terribilmente scandaloso .
Il film è stato presentato al Festival di Berlino 2013 e Rachel Mwanza, la piccola interprete di Komono, ha vinto l’Orso d’argento come miglior attrice e ha conquistato anche una menzione della Giuria ecumenica. Rachel ha vinto lo stesso premio al Tribeca Film Festival.
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