Benedetta economia – Recensione di Cinzia Picchioni
Luigino Bruni, Alessandra Smerilli, Benedetta economia, CittàNuova Editrice, Roma 2008, pp. 120, euro 10,00
Parto dalla fine, perché è alla fine che ho trovato la bellissima poesia di David M. Turoldo che chiede: «Manda, Signore, ancora profeti!»
[…] Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l’umile gente
abbia ancora chi l’ascolta,
e trovino udienza le preghiere.
E non chiedere nulla (p. 108)
C’è dunque per i francescani, una stretta equivalenza tra etica privata e pubblica, tra comportamenti del singolo e la pubblica felicità: se il mercato è composto di persone legate dagli stessi ideali, allora la povertà volontaria si trasforma in uso sociale della ricchezza (pp. 75-6).
Straordinaria poi la spiegazione della «gratuità». Tutto è partito dal secondo Duecento, ad opera dei francescani: le cose valgono in base alla loro scarsità e la gratuità non è associata a un prezzo nullo (gratis) ma a un prezzo infinito. Certi valori non si possono monetizzare,«Sarebbe come dire: quanto pesa il rosso? Oppure che profumo ha l’Aida di Verdi? […] quanto vale la mansuetudine del lupo? Quanto la vocazione di un frate?» (p. 73) Ecco l’eccezionale carisma di Francesco d’Assisi. Ma che cos’è il carisma? Il significato letterale è «dote soprannaturale, come la virtù profetica […] concessa da Dio a un fedele per il bene della comunità», ma leggendo San Paolo evinciamo che ogni cristiano possiede un carisma. In questo libro gli autori useranno il termine «carisma» intendendo «un dono di occhi capaci di vedere cose che gli altri (che non hanno quel carisma o che non ne partecipano) non vedono» (p. 22). E perché ci interessa così tanto il «carisma»? Lo scopriamo a p. 25, dove gli autori ci raccontano che
«Il presente saggio nasce dalla convinzione, intellettuale e civile che sia giunto il momento di incominciare a scrivere la storia economica e civile prendendo sul serio anche il ruolo, civile ed economico, dei carismi, o “il profilo carismatico dell’economia”. […] La storia ci mostra che quando è all’opera un carisma in una persona, e nella comunità che nasce attorno a questa, grazie a questo carisma si riesce a vedere “più lontano”.
Già, perché dobbiamo ricordarci il titolo Benedetta economia, e il sottotitolo Benedetto di Norcia e Francesco d’Assisi nella storia economia europea. Il tutto non è casuale, e sia Benedetto sia Francesco avevano certamente un carisma! E ancora
«Il termine carisma etimologicamente proviene da charis, cioè grazia o ciò che dà gioia”, da cui proviene anche la parola “gratuità”, e quindi l’agape, la forma dell’amore “gratuito” tipico del cristianesimo, che completa e porta a maturazione sia l’eros che la philia (ce, a loro volta, rendono l’esperienza dell’agape autenticamente umana) (p. 14).
Ecco, a questo punto, proprio come è successo a me, dovrebbe esservi venuta voglia di leggere il libro, per capire meglio come gli autori hanno messo insieme Benedetto, Francesco e l’economia. Forse così? «Se gli esseri umani cercano la felicità, oltre i beni economici e oltre il reddito, allora i carismi sono essenziali, perché non c’è gioia senza gratuità, e non c’è gratuità senza carismi» (p. 12) o forse così? «Per gratuità intendiamo quell’atteggiamento interiore che porta ad accostarsi ad ogni persona, ad ogni essere, a se stessi, sapendo che quella persona, quell’essere vivente, quell’attività, la natura, me stesso, non sono “cose” da usare, ma realtà da rispettare e amare perché hanno un valore intrinseco che accolgo e rispetto perché lo riconosco come buono (corsivo, NdR)» (p. 39). Forse con la definizione e l’elenco delle cinque caratteristiche di un’economia carismatica?:
«[…]movente che potremmo chiamare “ideale”. […] rispondere a bisogni di persone concrete, […] legate alla persona del fondatore/i. […] reciprocità […] bellezza» (pp. 41-6)
O forse con consigli pratici agli imprenditori (pp. 35-9) e/o un intero paragrafo sulla cultura del lavoro oggi, con alcune riflessioni sul fatto che oggi si lavora contemporaneamente troppo e troppo poco (quanto è vero?) e che l’idea oggi dominante è che l’essere umano è in quanto lavoratore «Con l’effetto inevitabile che quando poi il lavoro termina o entra in crisi […] entra in crisi profonda anche la nostra identità come persone». E allora ecco l’importanza dell’«Ora et labora» di San Benedetto e della «gratuità» di San Francesco, di cui parla il sottotitolo di questo libro. Secondo quello che leggiamo a p. 55:
«Ora et labora non è solo un motto o un ideale di vita. È la vita stessa che deve incarnarsi in quelle due parole tenute insieme da una congiunzione che esprime la stringente reciprocità dei due termini. Non si tratta di due alternative, ma di due aspetti inscindibili, ognuno dei quali finisce per dare il vero senso all’altro»
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