Ho ritrovato Amina la Femen tunisina – Martine Gozlan

Il suo sguardo di sfida e il suo petto svelato su cui aveva scritto “Il mio corpo mi appartiene, non è l’onore di nessuno” hanno seminato l’ammirazione e la rabbia. Il coraggio di Amina Tyler prima Femen Tunisia, è pari solo alla tragedia che la circonda. Era scomparsa, rapita dalla sua famiglia dopo essere stata ospite di amici. Ho avuto modo di incontrarla da qualche parte nel profondo del paese, lontano dalla capitale, con il consenso di sua madre, che non ha permesso alcuna foto.

Oggi, la ragazza non è libera nei suoi movimenti e contatti. La famiglia perora la sua “fragilità psicologica” per tagliarla fuori dal mondo. Le danno un sacco di farmaci. Alte dosi di antidepressivi. E’ anche, curiosamente, la tesi di alcune femministe tunisine. Nel caso di Amina si sente la prove dello zolfo per la generazione precedente. Ho trovato una ragazza stanca, stordita dal trattamento medico ma ferma nella sua volontà di riconquistare la sua libertà di azione. Non siamo stati in grado di parlare con lei da sola, sua madre teneva a mantenere il controllo della figlia.

– Vorrei poter ritornare alla vita normale, fare telefonate, connettermi a internet e ritornare al liceo … –

Amina parla con voce flebile, esausta. Contrasta con le voci voce alte, eclatanti, persino assordanti che erompono intorno a noi, nel soggiorno di una casa famigliare lontano da Tunisi, in una città che non ho nominato, per la sicurezza di Amina, la prima Femen in Tunisia, la seconda nel mondo arabo dopo l’egiziana Aliaa al-Maghdy, che ha ricevuto a minacce di morte dai salafiti. Lo svelamento di un seno che simboleggia in Francia, dopo due secoli, lo slancio orgoglioso della bella Marianne repubblicana, qui polverizza il tabù supremo sul corpo delle donne.

Per diversi giorni, non avevamo altro che voci sul caso di Amina. Nessuno poteva raggiungerla dopo che la sua famiglia l’aveva rapita in pieno giorno davanti a un caffè in Avenue Habib Bourguiba. Tre giorni fa, il suo avvocato Bochra Hmidi Belhadj, ha detto all’agenzia France Presse che Amina stava bene ed era volontariamente insieme alla sua famiglia.

Questo modo di andare proprio al cuore di un silenzio di tomba non mi ha convinta, né ha convinto Fourest Caroline che, catturata dalla stessa sensazione logica, titolava il suo blog sull’Huffington Post “No, non va tutto bene”. La direttrice, Nadia El Fani, ha postato Domenica, il suo petto nudo e le braccia tatuate con un “Per Amina” in solidarietà su Facebook.

Dal mio arrivo a Tunisi, rimbalzo da un’informazione contraddittoria all’altra. L’unico attendibile sembra essere Bochra l’avvocato. Il suo messaggio: “Devi lasciarla stare, lei è al sicuro con la sua famiglia, riposa”.

Ho contattato Ahlem Belhadj, psichiatra e presidente dell’Associazione tunisina delle donne democratiche. Sostiene questo argomento e dice che Amina tornò dalla sua famiglia volontariamente. Molto sconvolta dalla vicenda, sottolinea la posizione ufficiale dell’associazione: – L’atto di Amina, non è un metodo di lotta che condividiamo, ma abbiamo rispetto per le persone e ci battiamo contro ogni forma di violenza che possa verificarsi. E non dirò una parola di più su questa storia …” Ho imparato più tardi che Ahlem Belhadj fa parte dei medici che seguono Amina. Precisa, tuttavia, che non l’ha più vista dopo la scomparsa: “Non sono mai stata a conoscenza del suo rapimento” …

Poi ho incontrato Zyed, il giovane fotografo che ha scattato la foto di Amina in topless. Anche lui ha ricevuto minaccie di morte, non solo dopo lo scandalo. I salafiti gli hanno rotto le costole alcuni mesi fa. Cammina sempre con un enorme sacco sulle spalle: – Nel caso vogliano sparargli da dietro come hanno fatto con Chokri Belaid … – dice Soraya, una delle sue amiche. Zyed è un ribelle. Ha anche scattato le immagini di donne con il burka. La sua Tunisia ha 20 anni e non vuole soffocare. La sua Tunisia crede nella libertà conquistata con la rivoluzione e poi divenuta ostaggio di coloro che l’hanno rubata. Zyed ha ospitato la ragazza dopo le minacce di morte e chiede la lapidazione dei salafiti che l’hanno accusata. Lui è sconvolto dalla violenza che viene esercitata contro di Amina quando è prelevata.

Ho chiamato la madre di Amina al telefono. – Amina è calma, dorme, il suo psichiatra ha detto che bisogna sottrarla a tutto ciò che può irritarla o infastidirla. – La madre parla di Amina come fosse una bambina: – Lei dorme sulle mie ginocchia, non mi lascia un minuto. – Mi passa la figlia, che risponde brevemente e conferma che accetta di incontrarmi.

La descrizione fatta da sua madre e la voce soffocata di Amina contrastano nettamente con l’orgoglio delle foto in topless, con lo sguardo di sfida e le parole notevolmente strutturate della sua intervista su Attounisia. Dove parlava della cultura che modella la libertà e ricordando che l’acquisto di un libro di Nietzsche costa solo pochi dinari.

Dopo un lungo viaggio nella Tunisia profonda e solitaria, attraverso dei dipartimenti tratteggiati da centinaia di bidoni di benzina trafficati dalla Libia, arrivo in un tipico quartiere borghese. Due zii, una zia, finalmente la madre che indossa l’hijab, apre la porta. Immediatamente, si presentano per la loro professione e stato: – Noi siamo persone istruite: insegnanti, abbiamo lauree in storia e in ingegneria … –

Vogliono farmi capire che non si tratta di una storia di analfabeti. Lo so bene fin da ieri e dalle reazioni ambigue delle femministe. Il gesto di Amina ha avuto l’effetto di rivelare i terribili blocchi dei conservatori così come quelli di coloro che si considerano emancipati.

Dove si trova Amina? Eccola, lei li domina dalla sua altezza, la sua faccia è stanca, non sorride. Tutti parlano, lei tace. Jeans, polo, senza trucco. La famiglia è loquace. Devo porle domande dolcemente, perchè la sua voce emerge dal frastuono delle parole che sembrano sostituirsi alla sua, con l’amore che la sua famiglia continua a decantare: – Lei non è scomparsa! Lei è qui! Come avremmo potuto farle del male! Grida la zia, La famiglia! Non c’è niente di meglio che famiglia! –

La madre manifesta la sua ansia per il mondo esterno – Ho paura. Le ragazze per bene vanno tenute in casa per proteggerle dalle influenze esterne, … perché siamo in Tunisia, nel cuore vertiginoso dei paradossi femminili. Vorrei che mia figlia diventasse un avvocato o una giornalista come lei! Vorrei che guadagnasse il suo proprio denaro in futuro! –

Lo zio sintetizza il tormento principale degli uomini della famiglia e delle donne che li seguono, che affollano il salone dove scoppi di risa, distribuzione di aranciata, offerta di dolci e confetti matrimoniali tentano di ricostruire un ambiente normale: – Noi non vogliamo ch’ella sia considerata un corpo. La nostra famiglia appartiene al mondo arabo! La nostra famiglia rifiuta che lei si spoglii! Per noi, è lo spirito che conta, non è il corpo! –

Niente è normale, sono seduta al centro del tumulto famigliare di fronte al silenzio di Amina. Intervengo, tento di andare oltre le frasi passive, dico loro che per decine di migliaia di persone, l’atto di Amina è un atto liberatorio, di uno spirito libero.

Almeno lei, capirà questo, nel suo silenzio.

Capisce benissimo e mi chiede del 4 aprile:

A – Che cos’è esattamente?

M – Una giornata di solidarietà. Centomila persone hanno firmato la petizione in tuo favore.

La madre interviene di nuovo: Voglio proteggere mia figlia da chiunque voglia sfruttare il suo gesto.

Parla un altro zio: Amina è segnata da problemi psicologici, non è responsabile dei suoi atti, ha agito sotto pressione, è influenzabile come una bambina. La stringe a sé, dammi un bacio tesoro!

Questa conversazione è difficile.cosa passa per la testa di una giovane circondata da proclami d’amore protettivo e di infantilizzazione? Che cosa pensa Amina, quando diviene un oggetto dopo essere stata l’autrice di un gesto che reclama la volontà femminile di divenire soggetto?

M – Parlami Amina, esci da questo tumulto. Come ti senti, bene, male?

A – La sua voce stanca ma accurata: – No, non posso comunicare con l’esterno. La mia famiglia mi accetta, ma non accetta il mio gesto. Sono stanca, mi danno degli antidepressivi. Vorrei dire alle Femen buona fortuna! Sarete sempre le più forti femministe del mondo. Per me la reazione della società non è incoraggiante. Vorrei riprendere i miei studi, non mi sento libera. Vorrei poter telefonare liberamente ai miei amici. Collegarmi a internet, ritornare al liceo.

Le voci dei familiari aumentano di nuovo.

M – Potremmo parlare un momento con calma Amina ed io?

Si alzano tutti eccetto la madre che non vuole lascirla per un solo istante.

M – Confermi di essere stata portata qui?

A – quando mi hanno trovato, non ho avuto problemi con mia madre, ne in seguito con mio padre. Ma è stato mio cugino a colpirmi con uno schiaffo per riportarmi a casa, e ha rotto il chip del mio smatphone.

Interviene la madre: – Vorresti che guardassi mia figlia andare all’inferno senza fare nulla? Il cugino ha voluto aiutarmi, non parlare di lui!

A – Amina prosegue calma: – Si, voglio parlare di lui. Siamo andati in seguito nella casa di mia zia e là ho dovuto difendermi con una bomboletta di gas, di quelle che si utilizzano durante le aggressioni, per difendermi dal cugino. Alla fine è arrivato mio padre. Mi ha abbracciato. E sono rimasta per tre giorni in un’altra casa. Avevo bisogno di telefonare, d’informare Inna, ho fatto molti tentativi di contattare Inna. Inna è una delle fondatrici ukraine del gruppo Femen.

Originale: http://www.marianne.net, mercredi 27 Mars 2013, J’ai retrouvé Amina, la Femen tunisienne de Martine Gozlan

Versione italiana in www.reteccp.it

 

Amina continua a ripetere: voglio tornare alla vita normale. Voglio studiare, telefonare, connettermi a internet.

 

M – Mi giro verso la madre: – Ma perché le impedite di comunicare? E’ maggiorenne!

 

La Madre: -Ma è la mia bambina! Ha bisogno di stare calma, di riflettere. Tra un mese o due le restituirò il suo telefono e internet.

 

Nuovo intervento di uno degli zii: – Noi crediamo che il suo gesto è stato ottenuto sotto costrizione, che è irresponsabile. Noi citeremo in giudizio coloro che l’hanno indotta a fare quel gesto. Ritornerà a scuola quando lo decideranno i medici psichiatri.

 

M – Guardo la ragazza: – Amina, tu hai messo la foto perché sei stata influenzata come dice la tua famiglia?

 

A – Mi risponde con la sua voce flebile ma chiara: – No.

 

Mi porto via questo – No – insieme al sorriso di Amina, l’unico, che mi ha fatto quando le ho detto che tante persone ammirano il suo coraggio. MI ha sorriso di nuovo sulla porta, insieme ad un’anziana, nonna di uno degli zii, che si divertiva a nascondere un occhio dietro il suo velo nero.

 

L’aria libera e fresca invade l’automobile sulla strada per Tunisi. Non è stata una liberazione, piuttosto un asfissia. Mi sentivo soffocare dentro di me, come Amina.

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