Pillola «per aria»

«Il 2013 è l’anno europeo dell’aria. Migliorarne la qualità è l’obiettivo delle politiche ambientali di Bruxelles. I cittadini europei hanno dichiarato che, tra ciò che li preoccupa di più, ci sono i danni causati dall’inquinamento atmosferico. I livelli di smog elevati preoccupano gli europei, ma quelli più coinvolti sono gli italiani. L’81% pensa che la qualità dell’aria sia peggiorata negli ultimi dieci anni, mentre la media eutopea è l 56%. I dati di Eurobarometro mostrano che 4 europei su 5 ritengono che siano necessarie nuove misure per contrastare il fenomeno in modo adeguato. perché finora le amministrazioni pubbliche non hanno fatto abbastanza. A preoccupare di più sono le emissioni nocive causate dal settore del trasporto (96%), dell’industria (92%) e del trasporto intercontinentale (92%). Secondo le stime fornite da Potocnik nel 2010 sarebbero stati 420mila i decessi prematuri causati dall’inquinamento atmosferico». www.ecologiae.com. Fonte: «Yoga journal», febbraio 2013

Invece di deprimermi di fronte a questi dati, ho pensato, come al solito «che cosa posso fare io, singolo, umile bipede (come dice il mio «maestro» Lakota Mariano Romano), da subito, mentre si studiano le leggi, i protocolli, le normative? Ecco qua:

trasporto: bici, bici e ancora bici. Se non abitiamo in collina, se non abbiamo 80 anni, se non abbiamo gravi problemi alle articolazioni (caviglie-ginocchia-anche), se non lavoriamo a 20 km da casa, non abbiamo scuse per non usare la bici. Usiamola, tutte le volte che possiamo, al posto dell’automobile. Fosse anche solo una volta alla settimana, è sempre una volta in meno di petrolio-rumore-puzza-smog. Quindi non diciamo «ma solo una volta…», diciamo «almeno una volta…».

industria: usato, usato e ancora usato. Quando abbiamo bisogno di qualcosa (di qualsiasi cosa), cerchiamola, prima di comprarla nuova, nell’immenso «mercato» dell’usato: amici/conoscenti, negozi organizzati tipo «Tuttousato» (www.tuttousato.biz) o «il Mercatino» (www.mercatinousato.com). Vi si trova davvero di tutto, anche quello che non pensate. Basta un po’ di pazienza e di mente «alla Rodari» (leggi Grammatica della fantasia, di Gianni Rodari), che saranno ripagate dal prezzo più basso e dall’aver contribuito un po’ di meno all’inquinamento «da industria». Tutto ciò che è nuovo è stato prodotto dall’/nell’«industria» (e in più, è stato anche trasportato – due «inquinamenti» in uno!)

trasporto intercontinentale: per questa causa di inquinamento possiamo intanto smetterla di viaggiare (in aereo, ovviamente, ma forse anche in nave), soprattutto se per turismo. Capisco che, detta così, questa indicazione sia un po’ «forte», ma potremmo considerare che se continuiamo così fra un po’ non ci saranno nemmeno più «paradisi da visitare»:

«[…] L’altra faccia della cartolina. Montagne di bottiglie di plastica, esalazioni di rifiuti organici e piombo, mercurio, amianto che si riversano nell’ambiente sottomarino. Benvenuti alle Maldive. O meglio, a Thilafushi, isola-discarica su cui 400 tonnellate di rifiuti vengono scaricate, sepolte, bruciate ogni giorno. Distante dalla capitale Malè solo poche miglia marine, Thilafushi è un incubo ecologico. Per il quale le responsabilità, sostiene l’associazione ambientalista Bluepeace, vanno cercate lontano: un turista (e ogni anno qui ne arrivano 850mila) produce cinque volte più rifiuti di un residente. Thilafushi è il prezzo da pagare perché il paradiso resti tale» (P.P., «Io Donna», 5 maggio 2012).

Se invece non intendiamo rinunciare a espatriare, convinti come siamo di conoscere abbastanza la nostra, di «patria» (abbiiamo già fatto snorkelling in Sardegna? Nel Salento? Attorno a Linosa? Se no, perché prendiamo un aereo e andiamo a distruggere la Barriera Corallina con la nostra presenza?…) possiamo almeno evitare che altri (persone e cose) viaggino fra i continenti per noi: ananas, banane, mango da chissàddove, pere dall’Argentina, salmone dal Nord estremo del mondo, fragole a Natale (e quindi arrivano da posti in cui fa caldo in inverno), caffè dal Brasile, legno dalla foresta amazzonica, proseguo? Sono centinaia i prodotti, inutili se non dannosi, che compriamo qui e che sono trasportati «intercontinentalmente» per la nostra gola, per i nostri status symbols, per la nostra vanità e per la nostra ignoranza (senza offesa: ignoriamo delle cose, credendo che non sia grave mangiare una fetta di ananas, ma siccome stiamo parlando di cause d’inquinamento da «trasporti intercontinentali»…)

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