I partigiani della pace in Italia – Recensione di Nanni Salio
Sondra Cerrai, I partigiani della pace in Italia. Tra utopia e sogno egemomico, Libreriauniversitaria edizioni, Limena (PD) 2011, pp. 303
Tra il 1949 e il 1956 si sviluppò in Italia un vasto movimento per la pace, che coinvolse ampi settori dell’opinione pubblica, intellettuali, donne, giovani e prefigurò i futuri movimenti che si svilupparono nei decenni successivi.
L’importante, ampia e documentatissima ricerca svolta da Sondra Cerrai contribuisce a colmare una lacuna nella storia dei movimenti per la pace in Italia e permette di conoscere aspetti poco conosciuti di questo periodo storico.
Se è pur vero che il movimento dei “Partigiani della pace” fu promosso dal partito comunista, seguendo le direttive dell’Unione Sovietica, è anche significativo che riuscì a coinvolgere settori molto diversi dell’opinione pubblica, non solo comunisti e socialisti ma anche cattolici, nella sensibilizzazione sui problemi della pace in generale e della questione nucleare in particolare, nei primi anni cruciali del dopoguerra.
L’autrice si è immersa “con le mani e il cuore… nelle carte polverose” (p. 14) di archivi ancora inesplorati, portando alla luce episodi interessanti ed è riuscita a “sviscerare le retoriche, gli stilemi, le forme organizzative, i discorsi persuasivi che a poco a poco sono entrati a far parte della nostra società, sviluppando una concezione nuova della parola ‘pacifismo’ a partire da radici molto diverse” (p. 15).
Significativo il fatto, poco conosciuto, che “forse inconsapevolmente i Partigiani della Pace utilizzarono in varie manifestazioi strumenti e metodi della lotta nonviolenta che non facevano certo parte del bagaglio comunista del tempo: dal rifiuto di scaricare le armi americane nei porti italiani all’obiezione di trasportarle su strade ferrate da parte dei ferrovieri, alla distruzione (organizzata spesso in forma plateale) delle cartoline rosa inviate a tutta la popolazione maschile potenzialmenrte in grado di prendere le armi nei primi mesi del 1951.” (p. 39)
A questo punto è inevitabile per l’Autrice fare riferimento al “caso Pinna”, il primo obiettore di coscienza, e alle reazioni sia dell’apparato di potere del partito comunista sia della Chiesa Cattolica che, sulle pagine di Civiltà Cattolica, condannò Pinna e invitò il Parlamento a non prendere in considerazione proposte di obiezione di coscienza.
La ricerca prende in considerazione sistematicamente le strategie organizzative e di comunicazione e il ruolo svolto da intellettuali, donne e giovani nella costruzione del movimento e nella diffusione del messaggio della pace. Impressionante la capacità organizzativa, a ragnatela, che si estese a ogni settore dell’opinione pubblica, con tecniche che anche oggi, in epoca di Internet, hanno qualcosa da insegnare ai movimenti di base. Basti citare un dato impressionante: “ ‘L’appello di Stoccolma’ per l’interdizione delle armi atomiche raccolse oltre cinquecentoventi milioni di firme. Si calcola che circa un quarto della popolazione mondiale si sia promunciata per porre al bando le armi nucleari. Si trattava del primo (e unico) pronunciamento mondiale di queste dimensioni, un vero e proprio plebiscito su scala internazionale.” (p. 20)
E non dobbiamo dimenticare che in quegli stessi anni operò Aldo Capitini, che poco dopo diede vita alla prima marcia Perugia Assisi, nel 1961. E come ricorda ancora l’Autrice, don Andrea Gaggero, “un ‘prete sui generis‘ che condivise gran parte delle vicende dei Parigiani della Pace” contribuì a veicolare parte del movimento verso la Consulta di Capitini. (p. 13)
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