Il risveglio arabo-musulmano – e USA-Israele
L’area Mediorientale e Nordafricana (MENA) è arabo-musulmana con un’isola ebraica crescente in mezzo. Ex-territorio coloniale – sotto i turchi ottomani sunniti per oltre quattro secoli, e dell’occidente laico, Inghilterra-Italia-Francia, per mezzo secolo – ora sotto il colonialismo ebreo israeliano e l’imperialismo USA. Essi hanno controllato l’area MENA con dittature condonando la violenza e la corruzione fintanto che sosteneva le politiche USA-israeliane. Il risveglio arabo è contro la violenza e la corruzione a favore della democrazia, contro la corruzione a favore della crescita e dell’occupazione, e contro la dominazione USA-israeliana. C’è anche il risveglio arabo-musulmano – credere che l’Islam tolleri un secolarismo imposto è incredibilmente ingenuo. Ma ci sono vari islam; come ci sono cristianesimi e giudaismi.
Come reagiscono USA-Israele, e quale sarebbe una reazione positiva alla loro reazione – tenendo a mente che questo è antico territorio coloniale?
La politica USA consiste grosso modo nella costituzione di stati con gli USA come modello, con elezioni nazionali multipartitiche e mercati “liberi” controllati da multinazionali in generale, banche private in particolare, e ancor più dal sistema bancario finanziario — comprese le speculazioni con i derivati – (che controllano anche le elezioni). Sulle carte geografiche gli stati sono di un colore; sicché sono considerati unitari, con un mercato per l’economia, uno stato per le elezioni pluri-partito, e un baricentro politico: il capitale. Mappe a più colori che mostrano le nazioni e le linee di faglia interne potrebbero essere istruttive.
Tale realtà è solita frammentare gli stati che sono di ostacolo: l’Unione Sovietica e la Jugoslavia furono divise rispettivamente in 15 e 7 stati, alcuni dei quali ora membri NATO e/o UE. Stati considerati islamisti-terroristi sono sulla stessa strada: Sudan-Somalia, spezzati rispettivamente in 2 e 3 parti. Sono entrambi nell’elenco di 7 stati, che la Casa Bianca ordinò al Pentagono di “tirar fuori” giusto dopo l’11 settembre (generale Wesley Clark, Democracy Now, 2 marzo 2007): Iraq, Iran, Libia, Libano, Siria, Sudan e Somalia; considerati ostili, con banche centrali di stato, non private, a bloccare la globalizzazione dei mercati.
Per Israele quel che importa di più sono i suoi vicini. Dai primordi si tratta della solita storia di violenza e contro-violenza interpretata in due modi. La lettura israeliana è violenza contro una patria ebraica in procinto di diventare uno stato, legittimata dalla shoah in generale; e la contro-violenza per difendere quello stato in emersione. La lettura araba è un Israele istituito con violenza, la naqba, e la contro-violenza per contenere l’espansione di quello stato. Un tipico esempio di due verità che insieme non ne fanno una intera. Il risultato è un infinito, infruttuoso, rabbioso scambio d’accuse su chi ha cominciato, che cosa, dove e quando. Una Verità andrebbe oltre litigi sterili, identificando una soglia, una fine dell’escalation, accettabile a entrambi; come gli scambi di territorio sulla Linea Verde del 4 giugno 1967.
Però tale simmetria crolla quando Israele si espande ancora – invade-occupa-assedia – su altro territorio arabo-palestinese. E tanto più quando prendono forma visioni di un Grande Israele:
Scenario 1: dal Mediterraneo alla Giordania, come stato palestinese;
Scenario 2: dal Nilo all’Eufrate (Genesi 15:18) – dove sono situati 9 paesi.
Entrambi gli scenari sono per soli ebrei, stati ebraici. E, uno
Scenario 3: dapprima Scenario 1, poi Scenario 2?
In cerca di confini riconosciuti e sicuri? Solo costringendo alla sottomissione gli stati arabo-musulmani, dissolvendoli in mini-stati, usando loro linee di faglia interne (vedi Oded Yinnon, “A Strategy for Israel in the Nineteen Eighties”, Kivunim, Feb. 1982,). L’elenco includerebbe certamente il Pakistan, una costruzione doppiamente artificiale, e una potenza nucleare. Ne consegue una profonda cooperazione israelo-indiana, Mossad-RAW contro il Pakistan. Supponendo che il Libano e l’Iraq – come la Palestina – siano frammentati, che la Giordania sia mantenuta per un eventuale stato palestinese da Scenario 1, che la Libia sia immersa in lotte interne provinciali-claniche-razziali-religiose, quel che resta dei sette sono Siria, Iran ed Egitto. La stampa israeliana menziona una partizione della Siria in quattro stati: alawiti sciiti, sunniti, drusi e curdi (nel nordest). Egitto e Tunisia sono resilienti.
L’approccio all’Iran – non una costruzione coloniale, linee di faglia (curdi, azeri, arabi in Khuzistan) ma meno vulnerabile – è di bombardarlo, in base alla divisione dei compiti USA-Israele, l’accusa condivisa che l’Iran sia prossimo allo status di potenza nucleare, e la menzogna fabbricata e condivisa che Ahmadinejad, rieletto di recente, abbia detto in un discorso a Tehran il 25 ottobre 2005 che “Israele dev’essere cancellato dalla carta geografica”. Cosa che non ha mai detto, ma citando Khomeini: “L’imam ha detto che questo regime che occupa Gerusalemme deve svanire dalla pagina del tempo”. E citava tre esempi di regimi del genere: lo shah dell’Iran, l’Unione Sovietica e Saddam Hussein. La storia ci dice che i regimi vanno e vengono; i paesi, anche gli stati, restano.
Essi usano predizioni che si auto-realizzano come strategia politica, come i “fatti sul terreno” israeliani. La CNN ha fatto circolare un testo prima dell’invasione dell’Iraq il 19 marzo 2003: Iraq – la guerra incompleta. E ora, contro l’islamista Hamas (rispetto al nazionalista Fatah): Si parla di soluzione a due stati, ma non ci si rende conto del diritto d’Israele a esistere. Che sia perché non riconoscono l’attuale regime?
La strategia USA nella regione è quella di usare gli stati esistenti piegandoli ai propri scopi economici – come imporre banche centrali private in tutti e sette – ed è condannata a fallire per via di linee di faglia interne. La strategia israeliana è più intelligente: usare le linee di faglia per frammentare gli stati.
In tutti questi casi quanta frammentazione è dovuta al disegno USA-Israele e quanta alle tensioni interne, lo sapremo prima o poi.
E quale sarebbe la contro-strategia arabo-musulmana?
1. Federazioni. Le fratture sono effettive e quasi tutti vogliono essere governati dai loro affini in sub-stati autonomi con politiche comuni d’affari esteri-sicurezza-finanza-logistica. Il 40% dell’umanità vive in 25 federazioni, e c’è parecchio da imparare da Madre Svizzera.
2. Confederazioni-comunità. Unirli insieme in forti comunità solidali che resistano alle politiche del divide et impera.
Si facciano entrambe le cose, e il mondo arabo-musulmano sarà più resiliente di quanto è oggi.
28 gennaio 2013
Titolo originale: The Arab-Muslim Awakening – And USA-Israel
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Sereno Regis
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