Le ambiguità del pacifismo – Recensione di Nanni Salio
Gabriella Mecucci, Le ambiguità del pacifismo. Luci e ombre di un movimento nato dalla Perugia-Assisi, Minerva Edizioni, Argelato (Bologna) 2011, pp. 151
Un pamphlet che, come succede sovente, rischia di essere a tesi, superficiale e poco costruttivo. Ecco alcuni dei principali limiti, o difetti.
Primo: tante citazioni, senza alcuna nota di riferimento alla fonte.
Secondo: mancano totalmente gli studi più autorevoli di storia dei movimenti per la pace, pubblicati da vari autori in sede internazionale nel campo della peace research.
Terzo: un uso scontato e strumentale dei termini “pacifismo” e “movimento pacifista”, già ampiamente criticati nell’ambito stesso dei movimenti, (si veda per fare un solo esempio la critica di Jean Marie Muller, “Vous avez dit pacifisme?, Cerf, Paris 1984”) senza distinguerli da termini più precisi come “movimento per la pace” e/o “movimento nonviolento”.
Quarto: grande approssimazione nel raccontare gli eventi e la loro interpretazione, con omissioni e imprecisioni varie (Aldo Capitini ispirato dalla “marcia del sale” di Gandhi, invece che da quella di Aldermaston guidata da Bertrand Russell in un contesto di guerra fredda che sarebbe giunto di lì a poco alla più grave crisi nucleare, quella di Cuba?).
Quinto: neppure un cenno alla pur significativa questione dei modelli di difesa alternativi (difesa difensiva; difesa popolare nonviolenta), che sono alla base di studi di vari autori, sia in Italia che altrove, da Johan Galtung a Gene Sharp.
Sesto: sbrigativa conclusione (p. 131) sulla mancanza di efficacia della lotta nonviolenta in situazioni di dittatura, senza tener conto né degli eventi del 1989, né della letteratura specializzata che ha messo in evidenza come la lotta nonviolenta sia sta ben più efficace di quella militare (si veda: Antonino Drago, Le rivoluzioni violente dell’ultimo secolo. I fatti e le interpretazioni, Nuova Cultura, Roma 2010).
Ben vengano le critiche alle “ambiguità del pacifismo”, su molte delle quali non solo concordiamo, ma abbiamo discusso da tempo. Ma perché a loro volta tali critiche non si esauriscano in un generico, e poco utile, confronto occorre lavorare più in profondità. Ne abbiamo tutti bisogno se vogliamo uscire dal “labirinto” (Norberto Bobbio).
Sono Gabriella Mecucci. La ringrazio per la recensione. Alcune sue critiche mi sembrano però ingiustificate. Che Capitini abbia vuto come faro Gandhi e la sua marcia del sale, non lo dico solo io. Basta leggere i suoi libri e le sue lettere, contenute in un archivio ormai per fortuna schedato. Quanto al fatto che la prima Perugia – Assisi avesse forti legami con Russell, con il suo impegno nonviolento e con la marcia di Aldermaston, e si ispirasse ai suoi contenuti nel mio libro c''è scritto con grande chiarezza e evidenza (leggere da pagina 37 a pagina 45). Quanto al fatto che al termine pacifismo, sia preferibile "Nonviolenza" e movimento per la pace, anche questo viene da me chiarito. Ormai però la parola pacifismo è largamente la più diffusa, basta leggere le bibliografie più aggiornate. E del resto dell'argomento ho avuto occasione di deiscutere anche con Marco Pannella in una bellissima presentazione organizzata da Radio Radicale.. Non erscludo infine che alcuni libri sull'argomento mi siano sfuggiti. Mi sono basata però su bibliografie di studiosi di peso quali Massimo Teodori. Quanto alla mancanza di note, ha ragione. Il pamphlet è costruito in genere senza questi apparati. E questo è un suo limite. Cordialmente
Gentile Gabriella Mecucci, la ringrazio per le osservazioni e spero che avremo modo di conoscerci e di approfondire ulteriormente il tema oggetto del suo libro. Sicuramente Capitini ha tratto ispirazione da più fonti, ma a me pare più significativo il riferimento occidentale, perché legato all'urgenza della lotta contro le armi nucleari. Tuttavia questo è un particolare secondario. Per brevità e per non fare un riferimento personale, non ho citato la trilogia sui "Movimenti per la pace", che ho curato per le Edizioni Gruppo Abele e risale alla metà degli anni 1980. Ma la letteratura che bisogna conoscere è molto più vasta e comprende numerosi autori internazionali della peace research (da Galtung a Sharp, ai ricercatori dell'IPRA). Ritengo che questi riferimenti siano essenziali per superare sterili contrapposizioni e contribuire a creare le condizioni perché si riesca realmente a porre la guerra "fuori dalla storia". Ho avuto modo anch'io di conoscere direttamente Marco Pannella, ai tempi delle lotte per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza. Ma da allora la strada seguita da molti esponenti radicali è stata sensibilmente diversa da quella di movimenti quali il MIR e il Movimento Nonviolento. I loro contributi sul piano dell'analisi, per quanto significativi, non hanno quel rigore che invece è presente negli autori che prima ho citato. Presso la sede del Centro Sereno Regis di Torino c'è la più importante biblioteca italiana specializzata su queste tematiche e se avrà modo di venirci a trovare proseguiremo questa riflessione. Cordialmente, Nanni Salio
Vista la vostra cortese ospitalità e il suo invito al confronto, mi permetta di segnalare però il senso vero del mio libro che riguarda l'uso strumentale che è stato fatto del movimento nonviolento da parte ci certa sinistra (non tutta) che non si è mai emendata da ideologie violente e che non ha mai fatto nulla per aiutare il dissenso nei regimi totalitari dell'Est. Chiedo scusa per l'autocitazione, ma su l'argomento ho sc ritto un libro (questa volta munito di note) con Carlo Ripa di Meana dal titolo "L'ordine di Mosca". L'uso strumentale è durato molto a lungo e ha reso le reiterate marce della pace Perugia-Assisi molto distanti dall'ispirazione capitaniana. Quanto alla bibliografia, conosco bene – mi creda – Galtung. Verrò comunque molto volentieri a visitare la vostra biblioteca e mi sarà certamente utile ascoltare i vostri consigli su fonti da me eventualmente trascurate.