La “salita in campo” di Mario Monti – Pietro Polito

Gli ultimi giorni del Presidente Tecnico (giovedì 20 – lunedì 27 dicembre)

Anticipo il finale della storia. Un professore fu chiamato da un presidente per salvare l’Italia. Il professore, riuscì e non riuscì nell’impresa – non tutti si trovarono d’accordo nel giudizio. Alla fine s’innamorò del nuovo ruolo, dimenticandosi della sua vocazione. Il più importante giornale italiano, il “Corriere della sera”, in prima pagina, lunedì 24 dicembre, diede l’annuncio “Da ieri non è più tecnico. Mario Monti è «salito» (come lui preferisce dire) in politica”.

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1. L’investitura (giovedì 20 dicembre)

Ilaria: “Dice Bersani che Monti ha già deciso”. Bobo: “BCE, UE, PPE e Vaticano sono stati più veloci di lui”.

La vignetta di Staino (“l’Unità”, giovedì 20 dicembre) vale più di un editoriale di Angelo Panebianco o di Ernesto Galli della Loggia sul Presidente Tecnico che vuole diventare Presidente Politico. Prima che egli lasciasse intravedere la tentazione di assumere direttamente o indirettamente la guida del Centro (leggi: la destra, quella che c’è in questo Paese), con rulli di tamburi e quant’altro, Monti è stato investito a quel ruolo – Bobo ricorda a Ilaria – dal blocco di interessi di cui si è fatto garante con il suo governo: le banche, i rigoristi d’Europa (a spese degli altri), il Vaticano.

2. Conflitto d’interessi (venerdì 21 dicembre)

La lista di Bobo è incompleta: vi manca uno degli sponsor del Grande Tecnico: Fiat. La presenza di Monti, giovedì 20 dicembre, a Melfi, dove è stato applaudito in platea dagli operai, dai capi della CISL e della UIL, dal giovane padrone e dal manager dei due mondi, è da interpretare come l’avvio della campagna elettorale e come una chiara scelta di campo. Spiace che l’ultimo atto da Presidente Tecnico di Monti e il suo primo atto da candidato premier sia stato l’omaggio non ai deboli ma ai forti. Fuori dai cancelli la FIOM e perfino la CGIL: Giorgio Airaudo (FIOM) ha parlato di “cerimonia di investitura”, di “show elettorale”.

Condivido dalla prima all’ultima riga l’editoriale della coraggiosa direttrice Norma Rangeri, che sta tentando di rinnovare “il manifesto” (venerdì 21 dicembre). Il Tecnico e il manager dei due mondi compongono “una ditta perfettamente coerente” perché sono “due compagni di pensiero liberista”, l’uno “spregiudicato” l’altro “controllato (ormai sempre meno)”. In comune hanno “una volontà di governo e di comando come se l’Italia fosse un’azienda, una banca, un paese che può fare a meno della politica”. Rangeri non ha mezze misure: il montismo e il berlusconismo sono fatti della stessa pasta o almeno si somigliano molto. Altrimenti, aggiungo io, perché il Cavaliere lo avrebbe suggerito come capo e federatore dei moderati?

Devo dire ancora che mi ha sorpreso e stupito non poco l’uso privato dello spazio pubblico, secondo il copione abusato della peggiore politica, da parte del Presidente Tecnico, che, scrive ancora Rangeri, non si fa scrupolo di “usare la TV e gli stabilimenti Fiat come megafoni per la propria investitura politica” e trova normale considerare “come un suo ufficio di partito persino le stanze del governo dove riceve, senza ombra di discrezione, le facce nuove dei supporter (Casini, Fini …)”. Sapete come si chiama questo comportamento? Conflitto d’interessi. Ne è stato un degno campione il Presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il Principe rimane il Cavaliere che durante il suo governo arrivò a trasformare una residenza privata (la sua) nella sede del governo e della Presidenza del Consiglio.

3. Bilancio (sabato 22 dicembre)

Ora che Monti ha rimesso l’incarico al Presidente della Repubblica, alle ore 19.30 di venerdì 21 dicembre, e che le sue dimissioni sono “divenute” irrevocabili, è possibile tentare un primo bilancio del suo governo. Faccio mio quello equilibrato di Susanna Camusso: “Ha fatto benissimo dal punto di vista della credibilità dell’Italia all’estero e anche, con la lotta all’evasione, del patto fiscale di cittadinanza. Ma sul piano delle politiche sociali e del lavoro la bocciatura è inequivocabile”.

Aggiungo che il governo tecnico è da bocciare anche per come è finito. Istituzionalmente l’esperienza si conclude male, con un paradosso, il paradosso di un Presidente del consiglio nominato da un Presidente monarca, sostenuto per tredici mesi da una “strana maggioranza” – la più larga possibile, composta da destra, sinistra, centro –, che lascia senza essere mai stato sfiduciato dal Parlamento. Un affare tra Presidenti: imposto dal capo dello Stato al Parlamento, il Presidente tecnico rimette il mandato non nell’aula del Parlamento ma nelle mani del suo creatore.

Cosa farà ora il Grande Tecnico? Forse ci ripensa: “ Monti verso il no” (La stampa). Tentato dal no, ai suoi dice: “Lasciatemi riflettere. Mi prendo Natale per riflettere”. L’ironia di Iena è pertinente e pungente: “Mi si nota di più se mi candido o se non mi candido”. Svelando ciò che i democratici auspicano, “l’Unità” titola: “Monti lascia e non raddoppia”. Per Vendola (e ha ragione), “la discesa in campo di Monti svela l’ipocrisia di un’agenda politico – culturale in cui il concetto di tecnico era solo travestimento retorico di un profilo conservatore”.

4. Il professore e i centristi (domenica 23 dicembre)

Dalle consultazioni rapide del Quirinale risulta che “la strada era segnata” (sicuro?). Intanto il Presidente tecnico “riflette” ancora. Il Pdl, dopo averlo indicato come federatore dei moderati, lo invita in modi bruschi a starsene fuori (altrimenti si scordi la Presidenza della Repubblica). I centristi sono “spiazzati” (“l’Unità”), “smontati” (“il Giornale”, che per lo più fa titoli che fanno inc… ma a volte come in questo caso sono sublimi). Puntuale Iena: “Cortei. Stamattina in centro sfilerà il corteo degli orfani di Monti”. Gli orfani si mostrano rispettosi di “un modo di fare politica riflessivo e pensoso”, afferma Andrea Riccardi.

Cosa vogliono creare i democratici con il Professore non lo capisco. Mi auguro che la prima cosa che farà Bersani se vince non sia parlare con il Presidente Tecnico ma recarsi in un luogo simbolo del lavoro, non so per esempio all’Ilva di Taranto insieme all’attuale Presidente della Regione Puglia.

Che farà il Professore? Lo dirà alla conferenza stampa di fine anno, lo dirà a Lucia Annunziata? Intanto confida all’amico Eugenio Scalfari: “qualcosa mi dice di non candidarmi” (Cosa mi ha detto il Premier sul suo futuro in politica, “la Repubblica”, 23 dicembre).

5. Il dado è tratto? Il Rubicone è stato saltato? (lunedì 24 dicembre)

Forse sì, forse no. Per alcuni sì, per altri no. Cominciamo con l’Unità che titola: Monti: pronto a candidarmi. Eppure nell’editoriale di prima pagina, Oltre il vecchio sistema politico, lo storico Michele Prospero osserva che “il pacato discorso” del professore si nutre di “studiate zone di opacità” che rendono difficile afferrarne il senso. Tanto che, afferma Prospero, “le parole del Premier, ad un rudimentale setaccio ermeneutico, possono essere lette al tempo stesso come un ritiro da ogni ruolo partigiano ma anche come un impegno diretto nell’agone politico” (p. 1).

Beppe Severgnini, Dizionario minimo del Professore, sul “Corriere della sera”, che titola: Monti in campo alle sue condizioni, in prima pagina scrive che nella conferenza stampa di fine anno “s’è detto molto ma non s’è capito altrettanto”. Sullo stesso giornale l’editoriale di Massimo Franco – con Stefano Folli il nostro più grande notista politico – s’intitola: La chiarezza non c’è: “La «salita in politica» … si preannuncia suggestiva, innovativa, ma ancora ambigua”. Il professore che “sarà un candidato – non candidato” intraprende una “scalata” che “comincia avvolta in una nebbia in cui i potenziali lettori rischiano di perdersi”. Franco è esplicito: “Dalla maggioranza anomala stiamo passando alla candidatura anomala”.

Il modo anomalo di salire in politica del professore è ben riassunto dal titolo di “la Repubblica”: Monti se mi chiamano, sono pronto. Massimo Giannini trova che “la linea è sfumata, il lessico è fumoso”: “L’ultima conferenza stampa del Professore, cerimonia di un tecnico al capolinea, non si è trasformata nell’epifania di un leader pronto a salire in politica con la sua faccia e con la sua lista. Monti, per ora, non si candida. O meglio si candida, ma a modo suo. Da «candidato riluttante»” (p. 1). Un ex ministro berlusconiano-leghista ha dichiarato che candidarsi a vincere senza competere è poco olimpico.

Scherza ma non troppo Francesco Merlo, Dalla metafora dell’agenda «ci sono e non ci sono» (“la Repubblica”, pp. 1 e 4): “L’ossimoro di Monti non è drammatico, ma semmai un po’ pomposo: Monti è l’insicuro sicuro di sé che sale in politica per scendere in campo, offre e al tempo stesso nega ai centristi un nome che non li nomina ma li domina. Con lui lo stesso concetto di ossimoro diventa ossimorico perché l’ossimoro rigoroso e nobile non si era mai visto” (p. 4). Un esempio di ossimoro ossimorico? Eccolo: “Io non mi candido, non sto con nessuno, ma sono disponibile a guidare le forze che approveranno la mia agenda”. Ci vorrebbe l’ironia di un Leonardo Sciascia per far emergere quanto questo modo di ragionare e di parlare cozzi con la lingua e con la logica.

Che cosa ne pensano a Torino nei piani alti della salita del professore? Qui pare di entrare in un altro pianeta. Il direttore de “La Stampa” Mario Calabresi, Il Paese che potremmo essere, trova (sic) “il linguaggio usato efficace, perché ogni parola voleva dire esattamente quello che il suo suono conteneva” (p. 1). Esattamente? In effetti Calabresi ha ragione. Su un punto (che il direttore condivide, chi scrive no) Monti è stato fin troppo chiaro: “La distinzione destra-sinistra non basta più a risolvere i problemi e le sfide, ma la vera discriminante è tra conservatorismo e voglia di futuro, tra il coraggio della verità e la demagogia degli slogan”. Osservo: non capisco che cosa possa significare l’espressione: “voglia di futuro” se non si risponde alla domanda: “Quale futuro?”. Si possono avere diverse visioni del futuro? La distinzione destra-sinistra cacciata dalla finestra rientra dalla porta: il futuro che ha in mente la sinistra non coincide (non dovrebbe coincidere) con quello della destra.

Personalmente credo invece che sia tempo di dividersi politicamente tra destra e sinistra. Se la distinzione è vitale in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna, in Svezia, in Danimarca …, perché mai dovremmo archiviarla in Italia? Se per Monti il lavoro è una variabile di costo da tagliare e non la fonte della ricchezza, conservatori sono Monti (e Berlusconi) non Nicola Vendola e Susanna Camusso. La via neodemocristiana di Monti, se sia afferma alle prossime elezioni del 24 febbraio 2013, perpetuerebbe la condanna atavica per cui nel nostro paese non può governare una sinistra progressista o una destra moderna.

Ma, la confusione sotto il cielo è tanta e non porterà a nulla di buono. Per la destra Supermario getta la maschera e si candida leader della sinistra, così “il Giornale in prima pagina. Il direttore Alessandro Sallusti svela “il trucco”: “Monti è il nuovo leader, designato da Napolitano, della sinistra italiana. A Bersani il ruolo di utile idiota, insieme a Casini, di un piano che passa sopra la sua testa e che lo costringerà a rinunciare a fare il premier a favore di Monti, anche se vincente alle elezioni” (p. 1).

Non commento, ma spero che le cose non vadano in questo modo.

6. Cinguettii tecnici (giovedì 27 dicembre)

Grande Mario Gramellini. Dopo il Papa, persino “Mario Monti e sua sorella Agenda” si è messo a scrivere su twetter, la sera di Natale. Mentre il Bambino rinasceva, la salita è stata annunciata urbi et orbi con un “cinguettio tecnico”. Due messaggini di 77 e 59 caratteri: “Saliamo in politica”; “Insieme abbiamo salvato l’Italia dal disastro”. Come scrive Luca Ricolfi, le risposte del Professore alle domande dei giornalisti (e dei cittadini) per ora sono state “in perfetto stile democristiano, una performance da far morire d’invidia il buon De Mita”. Nessuno ha capito, forse nemmeno lui, se sarà: a) neutrale; b) il capo di una lista Monti e di altre liste collegate; c) il capo di un listone di centro che assorbe tutte le altre liste. Capiremo con i prossimi cinguettii … … …

7. Cosa non c’è nell’agenda del professore

Nell’Agenda di Mario Monti “Cambiare l’Italia. Riformare l’Europa. Un’agenda per un impegno comune. Primo contributo ad una riflessione aperta non c’è alcuna considerazione del grande problema della laicità dello Stato e dei diritti dei cittadini e delle cittadine. Non compaiono mai le espressioni: diritti, diritti civili, diritti sociali, diritti umani, diritti fondamentali; laicità, stato laico. L’indifferenza verso la questione trova una conferma nella visione tradizionale della famiglia suggerita nel capitoletto La famiglia in una società che cambia. Vi si legge che la famiglia è “il cuore pulsante della società italiana” e che essa “svolge una funzione insostituibile ed è una risorsa fondamentale per la coesione sociale ed economica”. Domando: Quale famiglia?

Una analoga sordità si riscontra rispetto al problema della pace: la parola pace ricorre solo là dove si afferma che “L’Italia ha confermato la sua vocazione a sostenere il multilateralismo, nelle Nazioni Unite e nei fori informali come il G8 e il G20. Un’azione che poggia su uno strumento diplomatico di eccellenza, sulla presenza delle forze armate italiane nelle operazioni di pace nel mondo, nel contrasto al terrorismo internazionale”.

Non compare mai la parola libertà, né eguaglianza sostituita con equità (ma l’uso sta prendendo piede anche nel linguaggio della sinistra di governo), né giustizia.

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