La sinistra che verrà – Pietro Polito

Per Angelo Panebianco le primarie del Partito democratico sono state un “referendum sulla sinistra”, “un referendum sul significato da dare alla parola «sinistra»” (“Corriere della sera”, domenica 2 dicembre 2012).
Come ho già detto nell’articolo precedente a quel referendum non ho partecipato. Ma, se fossimo chiamati a dire la nostra idea sulla sinistra che verrà, penso che la mia risposta sarebbe: «Né con Bersani né con Renzi».
(Segnalo che il precedente articolo sulle primarie democratiche ha suscitato le reazioni opposte di due amici. Silvio Paolini Merlo pensa che “l’alternativa vera per sradicare la sinistra italiana dai suoi antichi vizi, e dunque indirizzarla finalmente verso una moderna sinistra europea, sarebbe stata quella di Renzi”, mentre Dino Barrera ritiene che il ritorno “alla socialdemocrazia come asse principale dell’alternativa alla destra” sia “un grande passo indietro” e tuttavia sembra fiducioso che Bersani possa “rimettere in fila, senza tentazioni egemoniche, le culture politiche riformiste di questo paese” quella liberale, quella ecologista, quella socialista riformista, quella repubblicana e quella radicale).
Come la vedo io? A mio avviso, se si tratta di pensare e delineare una tradizione e una identità della sinistra del futuro, allora il recinto delle primarie democratiche è troppo stretto, non è sufficientemente largo, circoscrive il campo a un grappolo di possibilità che poco o nulla hanno a che vedere con il profilo di una sinistra consapevole delle sfide del nostro tempo.
Panebianco opportunamente segnala che per la prima volta la sinistra – ciò che in Italia veniva considerato sinistra: il Partito comunista e ciò che si muoveva nella sua orbita (ma la sinistra in Italia non è stata solo comunista) – “subisce una sfida così dura da parte di un rappresentante di una sinistra che non fa riverenze a quella tradizione e intende sbarazzarsene”.
Diversamente dall’autorevole editorialista, non credo che Bersani sia la tradizione né che Renzi sia il rinnovamento. Bersani ben incarna una delle tradizioni della sinistra comunista, l’eurocomunismo di Enrico Berlinguer portato alle sue logiche conseguenze: la socialdemocrazia europea, che non mi pare sia il solco più fecondo sul quale innestare una sinistra nuova; Renzi rappresenta uno dei futuri possibili della sinistra italiana, il più probabile, quello che presumibilmente si realizzerà, ma che non per questo è il più desiderabile tanto meno quello più corrispondente alle esigenze della sinistra: la sinistra renziana è una sinistra neoliberale dimentica della lezione di Piero Gobetti e di Carlo Rosselli.
Pur pensando che un governo socialdemocratico è preferibile al migliore dei governi conservatori (si legga l’analisi di Nicola Cacace, La socialdemocrazia passa ancora gli esami, “l’Unità”, martedì 4 dicembre 2012), una sinistra riarticolata in un’ala liberaliberista e in un’ala socialdemocratica nasce già vecchia. Per questa via si trasporta in Italia con vent’anni di ritardo un’alternativa logora e logorata tra una sinistra “europea” e una sinistra “americana”, dimenticando che i sistemi politici di quei paesi si sono formati e si sono radicati in secoli di storia.
A dire il vero, credo che la discussione sulla sinistra farebbe un bel passo avanti se si correggesse un grave, a mio parere, errore di prospettiva. Il dialogo si isterilisce se parte dalle formule, si basa sulle formule e conduce ad altre formule, magari più suggestive e affascinanti, ma che peccano dello stesso vizio di astrattezza. Il mio caro amico Silvio Paolini Merlo non ha tutti i torti quando con affetto e ironia mi prende in giro affermando che io vorrei una sinistra con Bobbio Presidente della Repubblica e Capitini Presidente del Consiglio. Neanche in Bobbio e in Capitini troviamo le formule giuste e le risposte a tutte le domande.
D’altra parte, la peculiarità di una sinistra nuova (che chiamo così per distinguerla dall’esperienza della nuova sinistra e della cosiddetta sinistra radicale) non si misura sulla maggiore o minore corrispondenza a un modello astratto bensì sulla maggiore o minore capacità di interpretare l’azione concreta di una pluralità di soggetti che pongono domande di sinistra: i giovani, le donne, i precari, i vecchi e i nuovi lavoratori, i migranti.
Lo sguardo della sinistra si misura sullo sguardo dei soggetti che possono dare vita a una sinistra nuova. In questa prospettiva, lo sguardo più largo è quello finora più escluso, più tenuto ai margini, quello meno rappresentato e per questo più rappresentativo, quello che ha avuto meno possibilità e per questo meglio può esprimere più futuri possibili.
Richiamo in particolare lo sguardo delle donne che può abbracciare e abbraccia gli altri. La relazione di genere è la chiave più radicale per ridisegnare la sinistra. E questo è un nodo che non si scioglie solo “portando” alcune donne in parlamento o nel prossimo governo.
Perché, per esempio, la coalizione “Italia bene comune” non esce dalla logica tecnica o “politica” con cui verranno “nominate” le più alte cariche dello stato nella prossima legislatura? Perché invece non assumere la relazione di genere come criterio per scegliere il prossimo Presidente della Repubblica?
Non siamo costretti in ossequio ai mercati e alle banche centrali o per le alchimie patrizie tra centristi di destra e centristi di sinistra a tenerci il Grande Tecnico sul groppone.

Post scriptum

Leggo sui giornali di oggi, giovedì 13 dicembre, che il Partito democratico e Sinistra ecologia libertà il 29 e 30 dicembre faranno le primarie per scegliere i candidati dei due partiti alle imminenti elezioni politiche. Non si conoscono ancora le regole e sono tanti i nodi da chiarire. Per esempio la platea degli elettori, come verranno selezionati i candidati e le candidate, in che modo si garantirà l’alternanza di genere uomo donna. Il criterio generale – “Valorizzeremo le donne, i giovani, le competenze” – indicato da Nicola Vendola sarà applicato oppure prevarranno le logiche e le paure spartitorie degli apparati?

1 commento
  1. bruno
    bruno dice:

    Segnalo in merito al Ps il venir meno, nelle primarie varie, di qualsiasi ruolo per gli iscritti ai partiti.
    Ha scritto Fulvia Bandoli"
    Mai un referendum consultivo tra gli iscritti ( su pensioni, spese militari pareggio di bilancio in costituzione, riforma del lavoro e art 18…), la tessera di iscritto ad un partito vale meno di quella della Coop, non ti da alcun diritto, neanche di fare le primarie, poi decide sempre un cerchio ristrettissimo di persone. E adesso che il pd ha deciso le sue primarie per i parlamentari anche sel segue a ruota. Ma un partito o movimento politico abbastanza piccolo quale SEL poteva scegliere anche una sua strada di partecipazione che coinvolgesse intanto tutti i suoi iscritti ed elettori anche nei vari territori che non sono milioni e ai quali possiamo arrivare abbastanza facilmente. Non era difficile e i tempi c'erano.

    Certo anch'io mi auguro che si premino le competenze e si mandino a Roma tante donne ma i metodi di selezione sono sempre poco trasparenti. anche con le " selezioni parlamemtari".

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