In ricordo di Jean Goss

Antonino Drago

Con mia moglie Vanna conobbi Jean e sua moglie Hildegard a Napoli nei primi anni ’60 (1964?). Vennero durante un loro giro di conferenze in Italia, inviati a Napoli dalla infaticabile Hedi Vaccaro, che dedicava la sua vita alla crescita della nonviolenza in Italia. La coppia era ammirevole per l’equilibrio che i due avevano costruito tra i loro caratteri, così diversi: intimo e raffinato quello di Hildegard, immediato e focoso quello di Jean.

A Napoli c’era già un gruppo di persone che si rifacevano alla nonviolenza. Miracolosamente per quei tempi, con una iniziativa a sorpresa riuscimmo a far parlare Jean al Seminario. Il luogo gli conveniva, per la sua capacità di far rivivere il messaggio cristiano secondo il punto di vista della nonviolenza. Fu un bell’incontro, che sicuramente è rimasto nella memoria di molti. Tra noi nacque una amicizia, rinsaldata dalla cucina di Vanna (in particolare la loro scoperta dei cannelloni ripieni).

Per me Jean è una colonna della nonviolenza cristiana. Basterebbe ricordare la sua maniera di vivere la prigionia in un lager nazista; oppure il suo sentirsi incitato dalle parole del pur reazionario Card. Ottaviani (“La guerra è sempre da interdire”) a darsi la missione di convertire qualche capo del Vaticano alla pace; in linguaggio calcistico questa azione di Jean voleva essere un contropiede sfondatore. Di questo tipo di azione ne ho avuto un’idea precisa un’altra volta che venne a Napoli. Io lo condussi (col solito valigione in pelle, pesante più di una valigia piena) da Mons. Riboldi, Vescovo di Acerra, simpatizzante per la nonviolenza. Nel quarto d’ora di colloquio che ebbe, cominciò subito a superare le distanze di prammatica, avvicinandosi al suo viso; poi lo sottopose a un “attacco” su diversi lati psicologici, come se Jean si fosse trasformato in una biglia che voleva smuovere un grande sasso sbattendoci addosso da più parti. Un consenso da parte del Vescovo fu suggellato da Jean con una poco rituale pacca sulla spalla di Mons. Riboldi.

D’altronde, Lanza del Vasto lo presentava giustamente allo stesso modo, quando ne ricordava la maniera con cui ha avvicinato un gran numero di Padri conciliari: appena gli socchiudevano la porta per chiedere chi bussava, subito infilava il piede nella apertura e poi tanto insisteva che si faceva aprire e si faceva ricevere dal Vescovo; su cui riversava il suo torrente di inviti a ripensare tutto il cristianesimo in modo nuovo. Di sicuro, questo è stato un suo pellegrinaggio penitenziale in nome di Cristo.

Già, perché il suo modo di fare non rappresentava solo un carattere forte, ma aveva una sostanza profonda e un grande messaggio da comunicare.

In Jean Goss c’era la esperienza viva di un convertito alla croce e alla resurrezione, con tutta la carica esplosiva che questo comportava non solo sul piano personale, ma anche sulla vita sociale, che era stata da lui ripensata alla luce di una fede in un nuovo futuro, tanto forte quanta era stata la sofferenza subita a lungo nel passato. Al tempo di un mondo cattolico che andava avanti con i dogmi da sottoscrivere, con l’obbedienza alla gerarchia come vincolo principale dell’appartenenza alla chiesa, con le parrocchie come luoghi difensivi dalla società, con il fedele che aveva come caratteristiche il timore del nuovo e delle strutture sociali, Jean si era lanciato a rivivere e ripensare daccapo il Vangelo, fino a farsene una sua esperienza personale e matrimoniale, da comunicare a tutti gli altri. Era il vangelo suggeritogli dalla nonviolenza, intesa come il sacrificio d’amore di Gesù in croce, destinato dalla bontà del Padre e dello Spirito Santo a vincere sui mali del mondo.

Con Jean posso dire di avere avuto un contatto stretto quando, negli anni ’80, mi telefonò perché era stato invitato a Bari per l’ottavo centenario del viaggio che San Francesco volle fare per fermare la Crociata, Jean era caduto malato e mi chiedeva di sostituirlo. Accettai, ma per me fu un impegno gravoso, sia perché si trattava di una grande manifestazione (in uno stadio), alla quale contribuivano tutti gli ordini Francescani del mondo, sia perché dovevo intervenire in mezzo a personaggi famosi (Madre Teresa di Calcutta); e in più perché allora io, che aveva appena fatto in tempo ad assimilare l’insegnamento di Lanza del Vasto, non mi sentivo di immedesimarsi in quello che Jean avrebbe voluto dire sulla nonviolenza in quella occasione così impegnativa: non potevo dire ciò che pensavo io o Lanza del Vasto, ma il suo messaggio specifico.

Tra gli impegni che ho avuto è stato uno dei più difficili spiritualmente. Mi ci preparai ripassando e studiando a fondo tutti i testi che avevo di Jean. Risultò un impegno tra i più difficili anche fisicamente; perché nel bel mezzo del discorso che mi ero preparato (seguendo anche i consigli dei francescani su come arringare una folla di 20mila persone dentro uno stadio), la voce mi mancò e restai afono per alcuni secondi, con una sensazione di vuoto totale, moltiplicato a mille per tutto lo spazio dello stadio. Probabilmente Jean ha intercesso per me a distanza, perché la pausa fu breve e passò come un mio artificio retorico per ribadire le idee del discorso. Ma per me la prova fu terribile.

Ho cercato di ricostruire intellettualmente il percorso storico della nonviolenza durante il secolo XX. Colloco Jean nella fase iniziale dei maestri europei della nonviolenza, la fase di stacco dalla tradizione politica e religiosa occidentale. Questa è stata la fase più dura, perché doveva essere la più decisa nel creare la drastica conversione di tendenza e quindi doveva subire le reazioni negative di un apparato geloso della sua tradizione.

Tra questi maestri europei, Jean è quello che più di tutti ha saputo cogliere il punto nodale della riforma apportata dalla nonviolenza alla religiosità dell’Occidente, in particolare quella cristiana. Questa riforma consisteva nel vivere il Vangelo in maniera così profonda da scoprire che il suo nucleo è essenzialmente nonviolento, cosicché la pace diventa l’aspetto costitutivo della fede cristiana; quindi richiede un cambiamento radicale rispetto al passato del cristianesimo occidentale dei tempi moderni.

Non ho trovato in Martin Luther King un tale livello di approfondimento e di radiosa espansione. L’ho trovato solo in Lanza del Vasto, che nel 1947 ha insegnato un nuovo commento al Vangelo che prospettava quella stessa riforma del cristianesimo indicata dalla nonviolenza (Commentaire aux Evangiles); ma quest’ultimo era più aperto alle culture altre da quella occidentale e più rivolto alla vita di testimonianza comunitaria, invece che, come era in Jean Goss, alla avventura dell’azione sociale nonviolenta del singolo cristiano e dei popoli.

La tabella seguente mette a confronto i vari maestri della nonviolenza rispetto alle trasformazioni che la nonviolenza ha portato nel mondo.

Tab.: NASCITA E SVILUPPO DELLA NONVIOLENZA ATTRAVERSO LE MOTIVAZIONI DEI SUOI MAGGIORI MAESTRI NEI TEMPI MODERNI

Rinnovamento della tradizione religiosa

Rinnovamento dei principi etici universali

Rinnovamento della civiltà

Rinnovamento del modello di sviluppo

Tolstoj (cristiana)

Gandhi (indù)

Capitini (riforma di religione)

Lanza del Vasto (catt.)

Don Zeno (cattolica)

La Pira (cattolica)

J. e H. Goss (cattolica)

M.L. King (battista)

Luthuli e Tutu (evang.)

Dom Camara (cattolic.)

Don Tonino Bello

(cattolica)

Tolstoj (cristiani)

Gandhi (induisti)

Capitini (filos. Kant)

D. Dolci (laici)

Vinobha (induisti)

D. Milani (cattolici)

Gandhi (indù)

Capitini (oltre l’Umanesimo)

Lanza del Vasto (gandhiani d’Occidente)

Lanza del Vasto (quattro sovranità)

Galtung (quattro modelli di sviluppo)

Legenda: Sono sottolineati coloro che hanno espresso per primi e compiutamente la motivazione di quella colonna.

La bibliografia per i vari autori nelle loro colonne è la seguente:

I^ COLONNA: L. Tolstoj: Le confessioni, Rizzoli, Milano, 1979; Il vangelo di L. Tolstoj, Quattroventi, Urbino, 1993. M.K. Gandhi: La forza della nonviolenza, EMI, Bologna, 2002; Gandhi parla di se stesso, EMI, Bologna, 1992. A. Capitini: L’avvenire della dialettica” (1958), in G. Cacioppo (ed.): Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria, 1977, 187-194 e La compresenza dei vivi coi morti, ora in: Scritti filosofici e religiosi, Protagon, Perugia, 1994, pp. 338 e 398-99. Religione aperta (1955), ora in Scritti filosofici e religiosi, Protagon, 1994. Lanza del Vasto: Lezioni di Vita, LEF, 1976. Don Z. Saltini: “Cambio civiltà”, Nomadelfia (GR) 2004. J.e H. Goss: Come i nemici diventano amici, EMI, Bologna, 1997. G. La Pira: Il sentiero di Isaia, Cultura Editrice, Firenze, 1978. M.L. King: La forza di amare, SEI, Torino, 1967. D. Tonino Bello: Sui sentieri di Isaia, Meridiana, Molfetta, 1997

II^ COLONNA L. Tolstoj: Il regno di Dio è dentro di voi (riprod. anastatica presso Az. Nonviolenta Verona). M.K.Gandhi: La mia vita per la libertà. Autobiografia, Newton Compton, 1976. A. Capitini: Elementi di un’esperienza religiosa (1937), in Scritti filosofici e religiosi, Protagon, Perugia 1994. D. Dolci: Nessi tra esperienza etica e politica, Lacaita, Roma, 1993. Vinobha:

Don L. Milani: L’obbedienza non è più una virtù, LEF, Firenze, 1967.

III^ COLONNA M.K. Gandhi: Civiltà occidentale e rinascita dell’India, Ed. Mov. Nonv., 19982; Villaggio e autonomia, LEF, Firenze, 1982. A. Capitini: Rivoluzione aperta, Parenti, Firenze, 1956. Lanza del Vasto: I quattro Flagelli, SEI, Torino, 1996.

IV^ COLONNA A. Capitini: Nuova socialità e riforma religiosa, Einaudi, Torino, 1949, 43-69. Lanza del Vasto: I Quattro Flagelli, SEI, Torino, 1996, cap. 4^, parr. 60 e 76; J. Galtung: Ideology and Methodology, Eijlers, Copenhaven, 1976, cap. 1; Ci sono Alternative!, EGA, Torino, 1986.

Jean e ad Hildegaard non hanno teorizzato una nuova etica, né i modelli di sviluppo; ma credo che il Signore non poteva concedere loro una grazia maggiore del metterli all’inizio della espansione della nonviolenza politica rivoluzionaria fuori dell’India; hanno dato continuità tra la rivoluzione indiana e le rivoluzioni che sono nate poi nel mondo. Su questo aspetto cruciale per la crescita della nonviolenza nella storia nessun altro in Occidente ha avuto la loro importanza (se non Gene Sharp, ma molto dopo e senza quella fede personale nell’uomo, che secondo Gandhi era essenziale).

In particolare, essi hanno avuto una funzione determinante per la nascita del movimento di liberazione nonviolenta delle Filippine nel 1986, quella rivoluzione che ha dato l’impulso a uno dei maggiori cambiamenti politici del secolo XX, le rivoluzioni del 1989.

Tra tutte le rivoluzioni nonviolente del XX secolo, quella filippina è stata una delle più chiare dal punto di vista nonviolento, per aver realizzato quell’agire all’unisono del popolo nel momento della prova di una rivoluzione, un agire che è stato chiamato giustamente “people power” (il concetto che poi è diventato la categoria intellettuale per comprendere le tante rivoluzioni nonviolente). E’ come se nelle manifestazioni popolari la intesa coniugale tra Jean e Hildegaard, paritaria e profonda, tra loro e con Cristo, si sia moltiplicata a milioni nelle tante persone, a priori differenti, che hanno affrontato serenamente minacce di strapotenza militare e dittatoriale.

Inoltre quella rivoluzione è eccezionale perché ha avuto il risultato più importante di tutte le altre in termini umani: per la prima volta nella storia, una donna è stata eletta a capo di uno Stato a furor di popolo. Così quella rivoluzione ha significato la novità dei nuovi tempi (moderni in senso spirituale): la parità tra uomo e donna, quella parità che Jean e Hildegaard avevano raggiunto nella loro intesa tra personalità diverse ma unite da un grande ideale.

Già, perché la loro coppia era l’espressione di una piccola comunità, una prima cellula sociale, l’inizio concreto del nuovo modello di sviluppo, quello verde.

Torino, 1 dicembre 2012

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