La sinistra scomparsa – Pietro Polito

Ho letto, riletto, annotato il documento “Italia. Bene comune”. Carta d’intenti, approvata il 14 ottobre dal Partito democratico, Sinistra ecologia e libertà e dal Partito socialista italiano, confrontandolo con la prima versione elaborata e proposta dal Partito democratico il 30 luglio 2012.

Dal confronto tra i due documenti risulta che la Carta d’intenti della coalizione è sostanzialmente uguale alla versione proposta dal partito, con alcune varianti che ne fanno un documento più di destra che di sinistra.

Nella sua prima versione la Carta era articolata in dieci voci: 1. Visione; 2. Democrazia; 3. Europa; 4. Lavoro; 5. Uguaglianza; 6. Sapere; 7. Sviluppo sostenibile; 8. Beni comuni; 9. Diritti; 10. Responsabilità.

Invece nella versione fatta propria dalla coalizione il paragrafo “visione” viene ricompreso in una breve introduzione senza titolo e le nove voci di sopra elencate, con l’aggiunta della voce (“libertà”) sono ridistribuite secondo un ordine diverso.

Dicevo, due documenti sostanzialmente uguali eppure dissimili in due punti significativi: a) il rapporto con il governo tecnico; b) il rapporto con la sinistra.

Nella Carta della coalizione la sinistra non compare mai, anzi la sinistra è scomparsa. Come vedremo, il rapporto con il governo tecnico, mentre sembra scomparire, in realtà è ben presente.

I commentatori hanno ampiamente segnalato lo “sbianchettamento” di Mario Monti, citato con onore nel primo documento con queste parole: “Il nostro posto è in Europa. Lì dove Mario Monti ha avuto l’autorevolezza di riportarci dopo una decadenza che l’Italia non meritava. Noi collocheremo sempre più saldamente l’Italia nel cuore di un’Europa da ripensare e, in qualche misura, da rifondare”. Le alchimie e gli equilibri interni alla futura coalizione hanno fatto sì che la frase si trasformasse nel modo che segue: “Il nostro posto è in Europa. Noi collocheremo sempre più saldamente l’Italia nel cuore di un’Europa da ripensare e, in qualche misura, da rifondare”.

Questa modifica che almeno apparentemente sposterebbe la coalizione più a sinistra è stata posta in rilievo dall’ala destra del Partito democratico e dai fautori della cosa bianca. Ma, in realtà, i timori dei “montiani” mi sembrano sinceramente decisamente fuori luogo. Monti, anzi ciò che egli rappresenta in Italia e in Europa, esce dalla finestra ma rientra dalla porta. Infatti, nel documento si colloca l’azione politica della coalizione nell’“orizzonte ideale” degli Stati Uniti d’Europa e si afferma che qui “vive la ragione più profonda che ci spinge a cercare un terreno di collaborazione con le forze del centro liberale”.

Sembra quindi che la coalizione guardi più a destra che a sinistra. Tanto è vero che, come si è detto, nella Carta d’intenti non compare mai la parola sinistra, che nella versione proposta dal Partito democratico veniva timidamente evocata con queste parole: “Cerchiamo un patto con le forze politiche democratiche, progressiste e di una sinistra di governo, con movimenti e associazioni, con amministratori, con ogni persona e personalità che voglia contribuire a un progetto per uscire da una crisi senza eguali nella nostra memoria”.

Diversamente nel documento della coalizione ci si impegna a “promuovere un patto costituzionale con le principali famiglie europee”, ma, mentre vengono menzionate “le forze del centro liberale”, non si trova nessun riferimento anche generico al socialismo.

Sorprendente.

È sorprendente che nel documento programmatico di una coalizione che riunisce gli eredi del Partito comunista, un partito che ha le sue radici nella sinistra radicale e un altro partito che si richiama alla tradizione migliore del socialismo italiano, non compaiano mai le parole “sinistra” e “socialismo”.

Una coalizione che si candida alla guida del governo del Paese, rivolgendosi prevalentemente all’elettorato della sinistra, non dichiara mai apertamente né le proprie radici né il campo politico che aspira a rappresentare.

Non commento.

Anzi il migliore commento è segnalare altre due assenze.

La prima è l’assenza di ogni riferimento al riformismo. Una lacuna che ancor più sorprende perché il tema era ben posto nel documento del Partito democratico all’inizio del paragrafo sulla democrazia: “In democrazia ci sono due modi di concepire il potere. Usare il consenso per governare bene. Oppure usare il potere per aumentare il consenso. La prima è la via del riformismo. La seconda è la scorciatoia di tutti i populismi e si traduce in una paralisi della decisione”.

In conclusione, segnalo l’assenza più grave.

Poiché le parole sono pietre, non può non destare stupore e pure amarezza il fatto che le forze che si propongono di archiviare la stagione berlusconiana non pongano al centro della propria analisi e della propria azione il contrasto del nostro tempo tra conservazione e alternativa, che non può essere composto ignorandolo.

Al centro del contrasto tra conservazione e alternativa sta l’idea di sviluppo. Nella carta d’intenti il tema è trattato nella parte sullo “Sviluppo sostenibile”. Qui l’idea di sviluppo viene declinata in una prospettiva nazionale e identificata con il “saper fare italiano”: “Se una chance abbiamo è quella di un’Italia che sappia fare l’Italia”. Seguono gli ammonimenti, i propositi a “usare meglio il nostro territorio, che non è solo arte e bellezza naturale, ma bacino di risorse, creatività, talento”; a elaborare e perseguire “una politica industriale integralmente ecologica”; a lavorare a “un progetto – Paese che metta al centro “l’economia reale e le forze che la promuovono”.

Devo dire che l’orizzonte nazionale, come pure quello europeo, è troppo angusto per cogliere il senso e la profondità della sfida dell’alternativa che mette in discussione alla radice l’attuale modello di sviluppo. Non so se il modo di produzione industriale sia al tramonto. So che la nozione più avanzata di sviluppo è quella maturata nel pensiero nonviolento. Alla domanda che cos’è la nonviolenza, Capitini era solito rispondere: “Nonviolenza è non opprimere, non tormentare, non distruggere nemmeno gli avversari, cioè apertura all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo di tutti”.

Le sinistre attuali stentano, fanno fatica a liberarsi dall’antica mentalità industrialista e a ripensare lo sviluppo in una prospettiva onnilaterale, che coinvolga le persone, le piante, gli esseri subumani, le cose, in una sola parola in una prospettiva nonviolenta.

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