Il nostro Capitini – 6. Che cosa fare? – Pietro Polito

C’è l’urgenza di cercare e trovare insieme una risposta alla domanda: Che cosa fare oggi?

Si può cercare guardando ai maestri e alle esperienze del passato. Per esempio, ci si può domandare: “Le forme e le modalità capitiniane dell’impegno nonviolento sono ancora attuali?”.

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Giova ritornare su uno dei più intensi pensieri religiosi di Capitini che si trova inserito nel capitolo ventesimo, quello finale, di Religione aperta.

Immaginandosi “la sera tardi, nella stanchezza e nel raccoglimento”, quando “lasciato il resto” si porta a “pensare a questa «religione», al fatto di questa realtà di tutti, a questa apertura di una realtà liberata, a concentrare in questo atto e in questo sentire l’estrema energia che può esser lasciata da una giornata logorante”, Capitini ci dà alcuni buoni consigli: 1. ci invita a non perdere “il contatto con i principi, con le posizioni fondamentali, risultanti da tante riflessioni ed esperienze interiori”; 2. suggerisce di “sgombrare per un momento ogni uso dei principi fatto nell’area aperta del mondo semplicemente per riconnetterli alla fondamentale sincerità di uno che si trova nel mondo”; 3. ci ricorda che ciascuno “ha anche tutta una giornata per sé, e tanti incontri; quindi occasioni e campi per precise iniziative”, per poter “fare ugualmente il possibile, sia da solo che con altri (e così sorgono le vere iniziative appassionate e feconde)”.

Capitini indica tre forme storiche di iniziativa da lui attuate negli anni Cinquanta e Sessanta a Perugia e quattro modi di “eseguire il lavoro”.

Le forme.

Il Centro di orientamento religioso (COR).

Attraverso la libera conversazione può orientare “la ricerca di ognuno verso un rinnovamento dell’umanità, della società, della realtà”, si costituisce in modo “indipendente dalle religioni tradizionali e dai partiti politici, ed è aperto a tutti”; “vi prendono la parola: liberi religiosi, religiosi tradizionali, non religiosi”; svolge un “lavoro di pensiero” fondamentale. Capitini indica come modello (inarrivabile) Gesù che “disputava ore e ore nelle sinagoghe”.

Il Centro di orientamento sociale (COS)

Il COS si propone di avvicinare i cittadini alle istituzioni, le istituzioni ai cittadini,con le parole di Capitini, di “unire autorità e pubblico, intellettuali e popolani, in un lavoro di proposte-critiche-relazioni, che ha lo spirito di controllare «dal basso» e da parte di «tutti», contro il funzionalismo chiuso e dall’alto”. Si tratta di portarsi “vicino al sorgere immediato dei problemi” e, mediante la “trasparenza pubblica”, educare ad “ascoltare e parlare”.

Il Centro di nonviolenza.

Capitini vagheggia “una specie di Internazionale nonviolenta” formata da una rete di “centri socialreligiosi”, di “forze «dal basso»” che dappertutto contrastano i gruppi dirigenti degli imperi di Occidente e di Oriente. Scopo del centro di nonviolenza è da un lato “la moltiplicazione di un’educazione aperta” dall’altro chiarire “il nesso con una religione aperta al posto delle chiusure tradizionali”.

I modi

Alla domanda: “ che cosa fare?”, il “persuaso religioso” risponde da sé.

Capitini riferisce quattro modalità. La prima modalità è quella scelta da Danilo Dolci che si reca nella zona Trappeto – Partinico – Montelepre della Sicilia, per vivere e lavorare con quella gente soffrendo la fame, conoscere i loro bisogni, i problemi costruendo una casa, «borgo di Dio», aperta a tutti, attraverso un lavoro di “vicinanza assoluta” e di “suscitamento di una nuova coscienza”.

La seconda modalità è quella di chi non si stabilisce in nessun luogo e intraprende viaggi per “parlare, annunciare, esporre elementi di una vita religiosa aperta” (è la via seguita, tra gli altri, da Goffredo Fofi che ovunque si reca fonda riviste che si trasformano in “centri di fede”).

La terza modalità è quella di tanti che continuano la propria professione, aggiungendo un lavoro che promuove lo sviluppo dei centri di orientamento religioso, di orientamento sociale e di nonviolenza.

La quarta modalità è quella di chi con la propria famiglia e con altre famiglie sceglie di vivere in una comunità cooperante e regolata da principi di carattere etico religioso (il modello fulgido quasi inarrivabile è quello dell’ashram di Gandhi).

Ognuna di queste modalità, e altre che si possono creare, è una «libera aggiunta» che ha un “significato correttivo del dogmatismo e dell’esclusivismo”. A tale significato di carattere negativo se ne aggiunge un altro positivo. Non basta – osserva Capitini – che si scelga tra etica dell’onestà ed etica della potenza. Sono insufficienti l’onestà, la carità, la pazienza, la fedeltà, l’eseguire i doveri civici, il far bene agli amici. Persuasione significa “porre il di più”, sollevarsi a un “orizzonte aperto a tutti e di liberazione della realtà”.

Si può partire di qui per una ricerca sul presente per interrogarsi non solo e non tanto sull’efficacia della nonviolenza, quanto piuttosto per capire i limiti della nostra proposta che parla a pochi e non riesce a farsi intendere da molti.

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