La democrazia delle regole – Pietro Polito
La FIOM ha indetto per il 9 marzo uno sciopero generale dei metalmeccanici. Il principale partito di (ex) opposizione non sa se aderire o non aderire all’iniziativa operaia. Il responsabile economico di quel partito ha rimesso la sua partecipazione nelle mani della direzione.
Da più parti, all’interno e fuori del partito, s’invita quel partito a compiere una scelta chiara, perché esso dovrebbe (potrebbe) essere il nucleo più consistente di una possibile alternativa di governo.
Qual è il nodo del contendere?
Il segretario generale Maurizio Landini sostiene che si sta stringendo “un cappio intorno alla condizione del lavoro e anche alla democrazia”. Lo sciopero generale dei metalmeccanici – secondo i loro dirigenti – pone il problema della difesa di un lavoro con diritti e della democrazia sui posti di lavoro. Per un autorevole opinionista di sinistra, “far finta di niente ridurrebbe al niente quel che resta della democrazia italiana”.
Quale democrazia?
Dobbiamo a Norberto Bobbio una definizione procedurale della democrazia che è un buon punto di partenza per una discussione sullo stato della democrazia in Italia. Dal punto di vista procedurale, la democrazia è un insieme di regole del gioco stabilite per prendere decisioni collettive. Come la dottrina insegna, le principali regole del gioco che caratterizzano la democrazia e la rendono preferibile alla migliore delle dittature sono la regola di maggioranza e il suffragio universale.
Per Bobbio, la “definizione procedurale” è una “definizione minima” che, in quanto tale, “comprende le più diverse forme storiche di costituzioni democratiche; da quelle degli antichi a quelle dei moderni a quelle dei posteri, se governi democratici nel futuro ancora ci saranno, il che non possiamo sapere con certezza. In estrema sintesi, si può dire che la definizione minima definisce la democrazia tout court, senza aggettivi”. Attenzione: senza aggettivi ma non senza valori.
Così intesa, la democrazia è “quella forma di governo in cui vigono norme generali, le cosiddette leggi fondamentali, che permettono ai membri di una società, per quanto numerosi essi siano, di risolvere i conflitti che inevitabilmente nascono fra gruppi che hanno valori e interessi contrastanti, senza bisogno di ricorrere alla violenza reciproca”.
Forse Bobbio ne è stato il massimo teorico e interprete, ma si tratta di una teoria non nuova nella tradizione europea (Schumpeter, Kelsen, Popper, Hayek) e anche italiana. Per esempio la si trova magistralmente esposta nel Breviario della democrazia di Riccardo Bauer: “Democrazia è anzitutto reciproco rispetto di opinioni, tutte legittime nella loro ideale manifestazione. È autocontrollo, onde ciò che a proprio vantaggio venga fatto non vada a scapito altrui. Il che significa, da parte della maggioranza, il rispetto del diritto delle opposizioni e da parte di queste l’esercizio di una funzione critica che le maturi come legittima alternativa, non eversiva. La democrazia significa allora ripudio d’ogni violenza”. (Un autore da riscoprire in questo senso è Gaetano Salvemini).
Perché la definizione procedurale è un buon punto di partenza per una riflessione sulla democrazia dal punto di vista degli amici della nonviolenza? Perché le procedure non sono da confondersi con le tecniche della democrazia: le tecniche sono neutre e possono condurre a questa o a quella decisione indipendentemente da ogni riferimento a questo o a quel contenuto, a questo o a quel valore. Diversamente le regole formali della democrazia sono il risvolto istituzionale di una scelta valoriale ben precisa su cui si fonda la convivenza politica, sociale, culturale, religiosa.
La democrazia consiste in un insieme di regole “volte a risolvere i conflitti sociali senza ricorrere alla violenza”: “Solo là dove vengono rispettate queste regole – afferma Bobbio – l’avversario non è più un nemico (che deve essere distrutto) ma un oppositore che domani potrà prendere il nostro posto”.
In ciò consiste l’Abc della democrazia. Il requisito minimo per dire che siamo in democrazia è che i due o più contendenti nella libera gara per governare il paese non si considerino dei nemici ma degli avversari.
La libera gara tra due avversari condotta secondo le regole della democrazia presuppone che i contendenti riconoscano l’uno all’altro il diritto di stare al governo, se pure per un limitato periodo di tempo, dopo avere vinto le elezioni.
La gara senza esclusione di colpi tra due nemici non può che concludersi con la distruzione dell’uno o dell’altro, oppure con la distruzione reciproca.
Esaminando la gara, il conflitto apertosi tra la FIOM e il governo, tra la FIOM e la maggioranza pressoché assoluta del Parlamento che sostiene il governo, dal punto di vista procedurale della democrazia sembra opportuno ricordare, come fa il segretario generale della FIOM, che “c’è un problema anche per il governo di rispetto delle regole della democrazia nel nostro Paese”.
Si badi bene, questa non è la posizione di un sovversivo, se, facendo l’elenco completo della democrazia, Norberto Bobbio ne enumera una, troppo spesso e troppe volte volutamente dimenticata dalle diverse maggioranze di vario colore che si sono avvicendate alla guida del Paese.
Accanto alla regola che in democrazia i governi si cambiano senza spargimento di sangue (Karl Popper), quella a cui sto facendo riferimento è una altra regola aurea della democrazia: “nessuna decisione presa a maggioranza deve limitare i diritti della minoranza, in modo particolare il diritto di diventare, a parità di condizioni, maggioranza”.
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