Post-democrazia

Pietro Polito

Lo sguardo rivolto più al futuro che al passato o al presente della democrazia, accomuna l’”omnicrazia” o “post-democrazia” di Aldo Capitini e la “democrazia a venire” di Jacques Derrida.

Dalla democrazia intesa come il «potere dei molti» si distingue l’omnicrazia, che è il «potere di tutti». Il termine omnicrazia (o anche onnicrazia), composto dal latino omnis (ogni, tutto) e dal greco crazia (potere), è stato coniato dal filosofo italiano della nonviolenza, Aldo Capitini. Omnicrazia, secondo Capitini, significa potere di tutti, nel senso di partecipazione di tutti al potere, e rappresenta nella sua interpretazione della nonviolenza uno sviluppo ulteriore della democrazia.

L’idea di omnicrazia è una delle grandi acquisizioni del pensiero nonviolento su cui tornare. Qui mi preme osservare che talora Capitini indica l’omnicrazia con il termine “post-democrazia”, rimandando a una fase ascendente di una democrazia di là da venire e alludendo a una democrazia rinnovata che verrà dopo la democrazia.

Guardando con sospetto a un riformismo che “diventi un socialismo e un illuminismo annacquati, che non contino nulla, che siano quotidianamente disposti a compromettersi”, alla sinistra il filosofo della nonviolenza assegnava il compito di “affermare la postdemocrazia e il postcomunismo, che i migliori democratici e i migliori comunisti vogliono”.

In un significato diverso da quello capitiniano, il termine post-democrazia ha avuto una certa diffusione nel dibattito contemporaneo sulla democrazia col lavoro omonimo di Colin Crouch. Con esso Crouch si riferisce alla fase discendente in cui è entrata la democrazia nei primi anni del XXI secolo, i cui sintomi sono la scarsa partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, la rottura del nesso storico tra ideale democratico e ideale egualitario, il prevalere delle lobbies affaristiche ma anche economiche (le cosiddette megaimprese), il ritorno del populismo e l’affermarsi dell’ideologia del sondaggio.

Nella stessa linea, Ralph Dahrendorf ritiene che “siamo già entrati in una fase che potremmo definire di «dopo-democrazia»”, ma questo, egli sostiene, “non ci esime, anzi ci obbliga a lavorare alla costruzione di una «nuova democrazia»”. Un invito da accogliere, perché non è così sicuro che il futuro della democrazia è la democrazia (Dahrendorf), o che la democrazia rimanga il nostro destino (Bobbio).

Lo sguardo rivolto più al futuro che al passato o al presente della democrazia, accomuna l’”omnicrazia” o “post-democrazia” di Aldo Capitini e la “democrazia a venire” di Jacques Derrida, “perchè – scrive il filosofo francese – la democrazia resta a venire, è lì la sua essenza fintanto che resta: non solo resterà indefinitivamente perfettibile, e dunque sempre insufficiente e futura”. Per Derida la democrazia appartiene “al tempo della promessa”: “anche quando c’è democrazia, questa non esiste mai, non è mai presente, resta il tema di un concetto non presentabile”.

A mio parere, l’idea derridiana di “una democrazia a venire” può essere liberamente associata alla visione della democrazia di Fernando Savater come “un ideale o concetto limite dell’organizzazione sociale” e non come “una formula politica effettivamente esistente qui e adesso”.

Savater osserva che “nel campo della creazione sociale, l’ideale che equivale a quanto pretende il prossimo etico è la democrazia”. Anch’egli ritiene che la democrazia sia andata annacquandosi per l’abuso e la manipolazione. Rimane, tuttavia, da un lato “l’invenzione più rivoluzionaria nel campo politico” e dall’altro la “miglior via perché l’etica riesca a sovvertire l’infeudazione politica del futuro e rivendichi l’emancipazione del presente”. Con espressioni che ricorrono anche nel lessico di Bobbio, Savater considera la democrazia sovversiva e rivoluzionaria: “fuori dalla democrazia, tutto è ritorno ai metodi più vecchi del mondo, all’autocrazia, al terrore, al paternalismo, a quei pochi che decidono perché sanno veramente ciò che gli altri vogliono o che la patria o il popolo esige e ai molti che non si azzardano neppure a volere né tanto meno a sapere, né possono decidere”.

Viene qui riproposta la concezione della democrazia come il “potere dei molti”, poggiandola su un “approfondimento etico” (Savater). La democrazia rifondata dall’etica – continua Savater – mira a “una considerazione poetica del lavoro”, il “lavoro-attività” al posto del “lavoro-produzione”, alla sostituzione (“istituzionalmente”) della “società dell’imposizione” con una “società dell’invito o della proposta”, alla trasformazione della natura in una “natura filtrata dalla cultura”, che “si apre come un paesaggio umano”.

Come si legge in un suo bel libro La missione dell’eroe, per Savater “il paradossale proponimento di porre l’etica come obiettivo della politica è il senso più nobile della rivoluzione; o, se si preferisce una minore crudeltà, il compimento della democrazia”.

A giudicare da questi rapidi riferimenti ad alcune figure della filosofia e della cultura politica contemporanee, pare più che fondato parlare di una perenne vitalità del pensiero di Capitini. Il suo invito a ripensare religiosamente la democrazia non va lasciato cadere. Nel passaggio dal potere di molti al potere di tutti, dalla democrazia all’omnicrazia la politica non muta, tramuta: per la nonviolenza il compimento della democrazia non è l’etica ma la religione aperta, che dà uno o scopo alla politica e un senso alla rivoluzione.

Invito alla lettura

Che la democrazia non sia entrata in una fase ascendente come immaginava Capitini o che, come sostengono Savater e Derida, per molti aspetti sia di là da venire, è sotto gli occhi di tutti. La maggior parte degli analisti contemporanei sostengono che i paesi che per convenzione e abitudine chiamiamo democratici da tempo sono in realtà autocrazie neanche tanto mascherate che dal rito, purtroppo stanco e ampiamente controllato, delle elezioni ricevono una sbiadita periodica riverniciatura democratica.

Le domande da porsi mi sembrano due:

1. Perché la democrazia è entrata in una fase discendente?

2. Perché la democrazia non è entrata in una fase ascendente?

Di seguito do alcuni suggerimenti di lettura per interrogarsi sullo stato della democrazia e sul suo futuro:

A. Capitini, Religione aperta (1955, 1964), Laterza, Roma-Bari 2011;

N. Bobbio, Il futuro della democrazia (1984), ed. ampliata Einaudi, Torino 1995;

F. Savater, La missione dell’eroe. Elementi per un’etica tragica (1983) Pratiche Editrice, Milano, 1998;

Id., Democrazia e Etica, in Id., Dizionario filosofico, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 44-62 e 93-107;

R. Dahrendorf, Dopo la democrazia, Laterza, Roma-Bari 2001;

Jacques Derida, Statii canaglia. Due saggi sulla ragione, Raffaello Cortina, Milano 2003;

Colin Crouch, Postdemocrazia (2000), Laterza, Roma-Bari 2003;

Id., Il potere dei giganti, Laterza, Roma-Bari 2012.


0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.