Brevi note dopo la festa-convegno per i 50 anni del Movimento Nonviolento
1 – Il punto d’appoggio più positivo, nel cammino della nonviolenza tra XX e XXI secolo, è il fatto che – come dice Jacques Ellul – questo non è solo un tempo di violenza, ma è il tempo della consapevolezza della violenza.
2 – Le persone che cercano la nonviolenza sentono e sperano:
a) sentono la violenza come male-dolore, nella triplice forma:
– violenza del pensiero, violenza filosofica-cosmologica;
– violenza antropologica, in una immagine fatalisticamente e disperatamente violenta dell’essere umano, per natura egoista e sopraffattore;
violenza organizzata e strutturata nei rapporti di potere e nella gestione omicida dei conflitti;
b) sperano e vogliono la riduzione-superamento di ogni forma di violenza, con un atto di fiducia creativa nel co-essere di tutto. Il movente profondo che li impegna è un atteggiamento di amore (a volte faticoso, non facile) per la realtà, una fiducia di fondo sempre da rianimare, quindi un atteggiamento umanistico-religioso. Tale atteggiamento non ha la forza di una dimostrazione, ma è uno slancio, dimostrato da grandi testimoni di vita, a far-essere ciò che non è abbastanza, e ha diritto e dignità di un più vero essere (a cominciare dal purificare ed elevare il nostro intimo).
3 – È necessaria una migliore organizzazione dei diversi movimenti variamente ispirati alla nonviolenza: è necessaria una federazione nonviolenta nazionale, inserita in una rete internazionale da rafforzare. Questa è la condizione per potere meglio partecipare e contribuire efficacemente nella cultura e nella politica.
4 – Nella richiesta e proposta politica è necessario avere ben chiari e come tali proporre sia l’orizzonte grande, sia il passo piccolo, realistico, possibile. Non certo un gradualismo frenato, ma una gradualità ben orientata è il giusto atteggiamento politico operativo. L’occhio guarda fino all’orizzonte di luce, ma il piede cerca il passaggio possibile sul terreno accidentato. Né l’occhio senza il piede, né il piede senza l’occhio. Né un utopismo che si pasce di perfezionismo, né un realismo che si adatta ad aggiustamenti superficiali del disordine stabilito.
La politica è costruzione della pace giusta. Se distinguiamo bene la forza, fattore costruttivo di vita morale e materiale, dalla violenza, fattore distruttivo e offensivo, vediamo meglio, nonostante le difficoltà della realtà, la direzione e gli strumenti di una politica che si allontana dalla violenza accrescendo la forza umana della convivenza aperta e giusta.
5 – Oggi la parola nonviolenza circola un po’ di più, ma il suo significato rischia di annacquarsi (così come il “verde” ecologico, che è ormai parte di tutta la pubblicità commerciale, per lo più ingannevole, ma così è segno valido di un bisogno reale). La parola nonviolenza suona negativa, come il solo non-fare-violenza. Gandhi creò il termine molto positivo satyagraha. Forse non è il caso di sostituire “nonviolenza”, termine internazionale, ma di diffonderne il significato di forza vera per con-vivere nelle differenze, di mite forza della verità.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!