La sete di Ismaele. Siria, diario monastico islamo-cristiano

Laura Tussi

Paolo Dall’Oglio, La sete di Ismaele. Siria, diario monastico islamo-cristiano, prefazione di Paolo Rumiz, Editore Gabrielli, San Pietro in Cariano (VR) 2011

Come in un intenso sommario descrittivo, in un diario narrativo, Padre Paolo Dall’Oglio consegna nell’opera “La sete di Ismaele” le personali riflessioni sull’attualità e sull’esperienza direttamente vissuta dalla comunità del monastero di Mar Musa in Siria.

“La sete di Ismaele”, il figlio primogenito di Abramo, concepito con Agar, la serva di Sara, è proprio la necessità degli esclusi della terra, di quanti gridano e piangono per essere riconosciuti. Padre Paolo Dall’Oglio ha fondato nel 1991 in Siria a Deir Mar Musa un monastero restaurato con la tenacia e la perseveranza di uomo giusto e di persona sorretta dalla propria vocazione.

Nel monastero vive una comunità monastica autonoma, maschile e femminile, dedita all’accoglienza e al dialogo tra religioni: è una realtà attiva nell’ambito del panorama mediorientale, che cerca di dimostrare e praticare una possibilità di convivenza e interazione tra cristiani e musulmani. L’autore con l’opera “La sete di Ismaele” vuole proporre una soluzione pacifica e nonviolenta ai problemi posti dalle sommosse popolari scoppiate in Siria, indicando il percorso di una transizione politica verso un’architettura policentrica e istituzionale democratica, fondata sul consenso, sulla condivisione delle differenti sensibilità religiose e delle diverse componenti sociali che coesistono in Siria.

Nonostante le reazioni del regime di Assad, Padre Dall’Oglio non ha ottemperato alle ordinanze di espulsione e ha continuato a risiedere in Siria, praticando il personale percorso di impegno sociale, nella pratica spirituale, a favore del dialogo interreligioso e della pace.

Il libro racchiude, nel messaggio implicito, l’invito a riconoscere la diversità religiosa, accogliendo il grido degli esclusi, la “sete” degli ultimi, per aprire a orizzonti sconfinati di pace e speranza.

La comunità monastica di Deir Mar Musa è formata da monache e da monaci che vivono vita comune nell’ospitalità offerta a tutti, formando un’ampia comunione esistenziale in chiesa, a tavola, nel lavoro. La relazione tra donna e uomo permette di apprendere e imparare la grammatica e la sintassi primigenie di ogni dialogo autentico in una propositiva e innovativa collaborazione e convivenza tra differenti generi e religioni, che costituisce l’annuncio consolante di una rinnovata umanità, costruita sull’umiltà, il realismo, la conoscenza di sé, l’ascesi affettiva, l’apertura all’obbedienza, nella direzione spirituale e non nella sottomissione sessista, come in una grande famiglia, dove proprio la castità consacrata consente di superare le barriere caratteriali, gli steccati familiari, favorendo invece l’apertura universale, la vocazione plurima al dialogo e ad ibridi aneliti di pace nelle interazioni tra diversità, nella speranza di poter riconciliare le identità tradizionali con la ribellione islamica alla globalizzazione capitalista proterva e spersonalizzante, ricordando che i giudei, cristiani e musulmani, figli di Abramo, cercano l’unione personale con il divino, approdando a un grande unificante silenzio d’amore e di pace nella trasparenza, nella comunione, nella libertà di culto, di opinione e di espressione. La vita cultuale votata all’incontro, all’accoglienza e al dialogo tra diversità è sottesa tra ciò che costituisce il corpo della pratica cristiana e musulmana e la particolarità delle inculturazioni che riattualizzano il significato e il portato valoriale dell’ universale evangelico e del messaggio coranico.

Tra il suono di antiche litanie che provengono da un arcipelago di grotte eremitiche, nel monastero si avverte la bellezza della preghiera cristiana formulata in lingua araba, dove poter cercare l’illuminazione spirituale, nelle periferie, negli avamposti, nelle trincee di mondi considerati a rischio e nel profondo di regioni lontane e nazioni marchiate come guerrafondaie e bellicose dalla geopolitica banalizzante dell’Occidente: così, allontanandosi dal baricentro, dal punto di riferimento del culto Romano, si avverte la presenza di un messaggio cristiano limpido e cristallino, sempre più vicino alla fonte originaria dell’Oriente e sempre meno disturbato da tentazioni di egemonia e di potere, oltre i conflitti tra civiltà, per aprirsi ad osmosi dialogiche e visioni maieutiche cultuali, in prospettive plurali di pace, oltre i bizantinismi fideistici occidentali.

Quali cenobiti più conviviali degli antichi anacoreti delle valli siriane, in sentieri che si inerpicano a collegare le grotte e le celle degli eremiti e dei monaci, i fratelli e le sorelle del monastero si incontrano e si separano come in una metafora di un sentimento umano verso le ascesi più coraggiose dell’amore divino e del prossimo in prospettive messianiche di pace.

 

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