… o drago del nostro coraggio – Recensione di Cinzia Picchioni

Andrea Cecconi (a cura di), Lettere di un’amicizia. Nazareno Fabbretti a Ernesto Balducci, Fondazione Ernesto Balducci, Fiesole 2010, pp. 110, s.p.

Così si conclude una delle 29 lettere racchiuse nel libro che segnaliamo questa settimana. Datata 5 maggio 1983, la lettera racconta di com’erano i rapporti fra Nazareno Fabbretti (lo scrivente) e Ernesto Balducci ( il «drago»)

Come? Una raccolta di lettere? Sì, iniziative come questa:

«(…) pur non avendo pretesa di esaustività, sono tuttavia mertitorie come “antidoto” al rischio che figure come quelle di Nazareno Fabbretti finiscano per cadere nell’oblio e nella dimenticanza. Anche a causa del venir meno, nel tempo, di testimonianze dirette» (p. 24)

Infatti! Leggendo le cronologie biografiche scopriamo (o notiamo, o ci vien fatto di ricordare che) Ernesto Balducci, su richiesta del Sant’Uffizio viene allontanato da Firenze e trasferito a Roma (1959), per poi tornare, ma è costretto a risiedere fuori dalla diocesi forentina! E 4 anni dopo è condannato per apologia di reato, dopo aver difeso il diritto all’obiezione di coscienza. Nello stesso periodo Nazareno Fabbretti, abbandona Genova, su consiglio del cardinale Siri, per trasferirsi a Voghera.

Allora calzano a pennello le parole del curatore, Andrea Cecconi, che scrive, a p. 26:

«(…) In conclusione credo che carteggi come questo abbiano comunque il merito di documentare da un lato la vivacità intellettuale e culturale manifestata da alcune figure di religiosi in senso ecumenico, cioè aperta all’incontro e al dialogo e, dall’altro, il ruolo da essi assunto, come sacerdoti, in senso profetico-messianico. E, contestualmente, utilil nel testimoniare, ancora una volta, la miopia manifestata dalle gerarchie vaticane nel disattendere alle attese di rinnovamento ecclesiale prefigurate dal Concilio, perseguendo quei sacerdoti che di quelle attese si erano fatti interpreti e tesrtimoni esempllari».

Leggendo le lettere si capisce quel che Fabbretti pensava di Balducci: «non ridere se ti ripeto che ti vedo come un maestro», gli scrisse nel 1964, attribuendogli una specie di«primato» culturale. Ho trovato poi molto bello (a p. 17) il ritratto (opera di Giacomo Manzù) di Giovanni XXIII. Quella riprodotta è la copertina della rivista «Testimonianze», fondata da Balducci nel 1958, proprio l’anno in cui fu eletto papa Giovanni XXIII (e anche l’anno in cui sono nata io. Ora mi è più chiara la devozione di mia madre nei riguardi di quel papa che, mi raccontava, l’ha aiutata con la mia nascita).

Tutte le 29 lettere riportano la data in cui sono state scritte, la descrizione dell’originale e il luogo da cui sono state spedite. E questa, secondo me, è la bellezza degli epistolari: ci permettono di «vedere» l’epoca, il luogo in cui è stata scritta una missiva. Per esempio mi ha colpito trovare una lettera di Fabbretti a Balducci scritta da Bombay! Mi sono immaginata la carta, il francobollo, il caldo, le strade percorse da Fabbretti (le medesime «camminate da Gandhi» o da Madre Teresa….

romantica?

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