La cultura della sinistra – Pietro Polito
È tempo di rivolta o di governo? L’errore più grave che, per chi scrive, compie una sinistra imperturbabile e ostinata, è di interrogarsi in termini governativi su se stessa, sul suo compito, futuro e destino: andare o no al governo? Partecipare o no a governi tecnici, di responsabilità e o unità nazionale? Una questione mal posta che dopo il ragionamento pubblico di uno dei più autorevoli esponenti della sinistra, che io stimo, pur non condividendone la non scalfita “fede nel comunismo”, è di nuovo tornata ad essere il tormentone della sinistra.
Dico mal posta perché in una società democratica, la sinistra – intendendo per sinistra uno schieramento politico formato dai partiti che in senso più o meno lato, più o meno rigoroso si richiamano al valore dell’eguaglianza – va al governo quando vince le elezioni e sta all’opposizione quando le perde. Una sinistra degna di questo nome in una società democratica di tipo occidentale non si sottrae alla prova del governo se vi è chiamata dal consenso dei cittadini.
D’altra parte, accade così di rado che se, per esempio, alle prossime elezioni politiche generali un’alleanza costituita da Partito Democratico, Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà, magari aperta ai movimenti e a minoranze critiche, ottenesse la maggioranza nelle urne, ebbene, quale senso avrebbe che questa maggioranza si dividesse e lasciasse il pallino del governo nelle mani della destra? Chiarita democraticamente e, direi, nella massima nitidezza di scopi e di intenti, la questione del governo, a me pare che in qualsiasi circostanza, a prescindere dalla collocazione al governo o all’opposizione, che nei fatti viene decisa dagli elettori, è vero che, come sostiene Fausto Bertinotti, è tempo di “aprire una radicale lotta politica e culturale”.
Che cosa può significare? Significa, come sinistra, ragionare non più e non solo in termini governativi ed esclusivamente politici, ma anche e soprattutto in termini culturali, etici e, oserei dire, religiosi. La questione che abbiamo innanzi non è solo quella di un ricambio di governo, che più che auspicabile o desiderabile è divenuto ormai improcrastinabile, ma è quella di una cultura nuova. Una cultura, e anche qui Bertinotti ha ragione, che ci guidi fuori dal recinto.
Non partiamo da zero. Si è accumulato, infatti, un bagaglio di strumenti e di categorie storiche, politiche ed economiche, forgiato da autori come, restando qui in Italia, Marco Revelli, Norberto Bobbio e Giorgio Ruffolo. Il “libretto” di Bobbio su Destra e sinistra non è una buona bussola per cominciare? Analogamente, le riflessioni di Revelli sull’eredità del Novecento e di Ruffolo sul futuro del capitalismo sono un buon punto di partenza.
Come si diceva un tempo, l’identità della sinistra non scaturisce da una brillante sintesi intellettuale, ma dalle contraddizioni reali della vita associata. Ciò oggi significa confrontarsi con la nuova stagione di movimenti – penso in particolare agli “indignati” – che pone con forza una domanda urgente di giustizia a cui la sinistra, così come storicamente l’abbiamo conosciuta e così come attualmente si presenta, non sa rispondere.
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