22 luglio 2011 in Norvegia. Che cosa? E poi?

Johan Galtung


Il 22 luglio 2011 in Norvegia resterà inciso nella storia come il 9 aprile 1940, il giorno dell’invasione tedesca. Le parole vengono meno di fronte a tale enormità. L’area ministeriale nel centro di Oslo sembra a una zona di guerra più che durante la seconda guerra mondiale, quando ci furono i bombardamenti da parte della resistenza e dell’Inghilterra. Inoltre, il massacro dei giovani del partito laburista nell’isola di Utoya, vicino a Oslo: quasi cento morti, oltre a molti feriti gravi.

22 luglio 2011 in Norvegia

Foto Globovision da Flickr (CC BY-NC 2.0)

E poi il trentaduenne Anders Breivik, biondo, occhi azzurri, “carino e gentile” come dicono i vicini, che ha confessato entrambe le azioni – da verificare. Un manifesto di 1.500 pagine espone dettagliatamente la sua filosofia politica: egli vede una guerra civile in Europa – indebolita dal marxismo e dal multiculturalismo – tra islam e cristianità. Mussulmani: andatevene o verrete uccisi. Egli odia giornalisti e socialdemocratici per il loro multiculturalismo. E questo assassino di massa è uno di noi. E’ il nemico interno.

In questo momento da ogni parte del mondo ci si unisce ai familiari e a un paese -il mio- in stato di shock. L ‘analisi è fredda e intellettuale, in contrasto con le emozioni di tristezza e rabbia. Eppure deve essere fatta. E’ indispensabile comprendere, così come riflettere su ciò che possiamo imparare. Tutti gli eventi hanno delle cause. Se gli eventi sono inaccettabili, bisogna trovare le cause, rimuoverle, cambiarle.

Dunque, cosa ci ricorda il 22/7? L’ICH (International Herald Tribune) di questa settimana rievoca l’11 settembre, con la rivendicazione non verificata di Ansar al-Jihad al-Alami (sostenitori della jihad globale) come risposta alle forze norvegesi in Afghanistan e agli insulti al profeta. Le forze norvegesi hanno licenza di uccidere ( Med mandat til å drepe , Oslo: Kagge, 2010), e la Norvegia, forte nella libertà di espressione, è carente dall’essere libera da insulti ai mussulmani.

La scelta degli obiettivi porta anche un messaggio del tipo 11 settembre. L’ufficio del Primo Ministro, e le persone a lui care, come il ministro del petrolio, non ci ricordano forse la NATO che ha come obiettivo Gheddafi, il suo rifugio, e i contratti petroliferi con i ribelli come ricompensa? Sembra così. Ma non ci sono rivendicazioni.

Entra in scena il 19/4, 19 aprile 1995: anche Timothy McVeigh e i suoi sostenitori usarono una bomba a base di fertilizzanti, contro l’edificio federale di Oklahoma City, provocando 168 morti. Egli sosteneva di odiare i federali USA -sebbene fosse stato addestrato militarmente da loro- per il massacro di Waco. Una analogia: Anders Breivik aveva sette anni a quel tempo e potrebbe essere stato ispirato da quel tipo di violenza degli Stati Uniti.

Ma il massacro sull’isola è diverso da tutto questo. E’ più simile a I volenterosi carnefici di Hitler (David Goldhagen, Mondadori, Milano 1997), alimentati da antisemitismo e guerra civile tra ariani ed ebrei (Goebbels: “plutocratico a Londra e bolscevico a Mosca”), così come Breivik sembra esserlo dall’anti-islamismo nella sua guerra civile. E come i nazisti lui odia marxisti, socialdemocratici e ogni mescolanza. Vede la sua azione come “terribile ma necessaria”. Uccidere 84 persone faccia a faccia a sangue freddo per 90 minuti (possedeva una porto d’armi) supera anche i peggiori crimini nazisti.

Il massacro ricalca il modello nazista come neo fascismo occidentale dei nostri giorni. Ma perché uccidere dei giovani del partito laburista, così poco di sinistra e marxista come il partito del progresso che è di destra? Entrambi i partiti sono d’accordo sul bombardamento NATO della Libia e sull’acquisto, a costi enormi, degli aerei F35 dagli USA. Perché non ha colpito un’agenzia di immigrazione, le moschee, un raduno mussulmano? Il suo pensiero non riflette il panorama politico norvegese né è riflesso da esso. In Norvegia un solitario, un nazi.

Ma, non dobbiamo restringere l’orizzonte interpretativo a un solo punto.

Da un lato c’è il solitario islamofobico legato ad alcuni gruppi. Se potesse essere considerato pazzo, l’impatto politico verrebbe meno. Diventerebbe una causa sui, una causa di se stesso. La Norvegia potrebbe riprendere dall’11 settembre USA discorsi sul “male”, “niente a che vedere con qualcosa che abbiamo fatto noi”. Ma forse potrebbe riflettere su “qualcosa che non abbiamo fatto”, come non averlo individuato per tempo?

All’altro estremo ci sono i sostenitori della jihad globale che una Washington in bancarotta potrebbe usare per ottenere soldi per la “guerra contro il terrore”.

E in mezzo c’è Breivik, che a un certo punto utilizza la Libia come copertura, ed essi lo usano a loro volta come attentatore? Una tacita cooperazione?

Cerchiamo di raddrizzarci, guardando avanti: e poi, cosa succede?

1. Il primo ministro lo ha ribadito bene, nessuno spaventerà la Norvegia allontanandola dalla sua democrazia. MA, la democrazia è qualcosa di più che permettere a ciascuno di trovare un posto in qualche piccola nicchia ideologica, come cristiano fondamentalista, giovane del partito del progresso, libero massone. La democrazia è dialogo, sfida, confronto con gli altri, non solo limitarsi a contare ogni quattro anni quante persone ci sono in ciascuna nicchia. Breivik avrebbe dovuto incontrare più persone. Tutti noi lo avremmo dovuto fare. Parlamento e popolazione dovrebbero discutere tutto ciò apertamente.

2. La violenza è l’antitesi del dialogo. Alla data del 18 luglio, la NATO aveva fatto qualcosa come 5.858 uscite; 535 della Norvegia, che ha sganciato 501 bombe. Ma gli obiettivi erano militari!? Forse sì, ma se nella NATO un attacco contro uno dei membri è un attacco contro tutti, allora un attacco di uno dei membri è un attacco di tutti, basato su un traballante mandato del Consiglio di Sicurezza con 5 astensioni e nessun potere di veto musssulmano. Forse il dialogo sarebbe stato una soluzione migliore dei bombardamenti con l’uranio impoverito?

3. Alla Norvegia non ha fatto piacere quella singola bomba. Forse alla Libia non hanno fatto piacere le 501?

4. Alla Norvegia non ha fatto piacere il massacro di civili. Forse lo stesso vale per gli Afghani?

5. Inoltre, la politica ha a che fare con conflitti che richiedono soluzioni concrete, costruttive, creative. La scuola e i media dovrebbero formare alla soluzione dei conflitti, per una igiene del conflitto come quella che abbiamo per la salute.

6. Meglio lasciare la spiegazione del 22/7 a una commissione competente delle Nazioni Unite?

7. Forse è necessaria una maggiore conoscenza della storia delle relazioni tra Occidente e Islam?

8. Forse sarebbe bene dialogare con gli “estremisti” prima di etichettarli, cercando di conoscere i loro, eventuali, obiettivi legittimi?

9. Forse si dovrebbero cercare gli obiettivi illegittimi come qualcosa che può esserci in tutto lo spettro politico, non solo nelle posizioni lontane dalle nostre?

10. Forse occorre cambiare la dilettantesca polizia segreta norvegese PST, vicina alla CIA-FBI, che sembra avere un occhio sinistro talmente acuto che vede anche ciò che non esiste, ma anche un occhio destro così cieco che Breivik è riuscito a passare inosservato e non è stato prevenuto?

C’è una eccellente espressione americana: “campanello d’allarme”. Un campanello d’allarme brutale, che ci indica qualcosa di più oltre a monitorare bombe al fertilizzante e porto d’armi.


Titolo originale: Norway 7/22. What? And Then What?

Traduzione di Erika Degortes per il Centro Sereno Regis e la rete TRANSCEND


 

 

 

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