Il movimento di trasformazione in Egitto: rivoluzione, controrivoluzione, o riforme

Richard Falk

Dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 si sono verificati due principali avvenimenti trasformativi che riplasmano in modo durevole la scena globale. Quando l’impero sovietico crollò due anni dopo, si aprì la via per perseguire trionfalmente il Progetto Imperiale Americano, cogliendo l’opportunità per un’espansione geopolitica fornita dalla sua auto-consacrata leadership globale in quanto unica superpotenza sopravvissuta.

Questa prima frattura nel carattere dell’ordine mondiale produsse un decennio di globalizzazione neoliberista ascendente in cui il potere dello stato venne temporaneamente e parzialmente eclissato passando la fiaccola di supremi decisori globali agli oligarchi di Davos riuniti annualmente sotto le insegne del Forum Economico Mondiale. In tal senso, il governo USA era il ben sovvenzionato sceriffo della globalizzazione predatoria, mentre l’agenda politica veniva stabilita dai super-banchieri e dai dirigenti delle multinazionali globali. Benché spesso non identificati come tali, gli anni 1990 furono la prima prova dell’insorgere di attori non-statuali e del declino della geopolitica stato-centrica.

La seconda frattura venne con gli attacchi dell’11 settembre, comunque s’interpretino quegli eventi. L’impatto degli attacchi trasferì il locus dell’autorità di decisione politica nuovamente agli Stati Uniti, come attore statuale, sotto le denominazioni di guerra al terrore, sicurezza globale, e lunga guerra. Questa risposta contro-terroristica all’11 settembre produsse pretese d’impegnarsi in guerre preventive (‘La dottrina Bush’).

Questa politica estera militarista venne messa in pratica iniziando una guerra di ‘shock and awe’ (colpisci e terrorizza) contro l’Iraq nel marzo 2003 nonostante il rifiuto del Consiglio di Sicurezza ONU di avallare i piani di guerra USA. Questa seconda frattura ha trasformato il mondo intero in un potenziale campo di battaglia, con una varietà di operazioni militari e paramilitari aperte o segrete lanciate dagli USA senza autorizzazione appropriata dall’ONU o per rispetto del diritto internazionale.

A parte questa lacerazione dell’ordine internazionale liberale, lo schema continuativo delle reazioni all’11 settembre coinvolge il disprezzo per i diritti sovrani di stati nel Sud del mondo nonché la complicità di molti stati in Europa e nel Medio Oriente nella violazione di diritti umani fondamentali mediante il ricorso alla tortura per collaborare alla ‘detenzione illegale estrema’ (extreme rendition) di sospetti terroristi e fornendo ‘siti neri’ dove persone ritenute ostili agli USA sono detenute e maltrattate di routine.

La reazione all’11 settembre fu anche colta dagli ideologhi neoconservatori saliti al potere con la presidenza Bush per attuare la loro grandiosa strategia pre-attacco che accentuava ‘cambi di regime’ nel Medio Oriente, cominciando con l’Iraq, che fu presentata come ‘frutto a portata di mano’ con vantaggi multipli una volta raggiunto: basi militari, prezzi energetici più bassi, scorte di petrolio, egemonia regionale, promozione degli obiettivi regionali israeliani.

La terza frattura è quella della perdurante profonda recessione economica mondiale iniziata nel 2008, che ha prodotto un diffuso aumento della disoccupazione, livelli di vita calanti e costi crescenti dei beni di prima necessità, specialmente cibo e carburante. Questi sviluppi hanno messo in evidenza le iniquità, i grossolani abusi, e le deficienze della globalizzazione neoliberista, ma non hanno condotto all’imposizione di regolamenti mirati a diminuire tali guadagni enormemente ineguali derivanti dalla crescita economica, per evitare gli abusi di mercato, o anche per premunirsi dai periodici crolli di mercato.

Questa crisi profonda del capitalismo mondiale non viene attualmente affrontata, e visioni alternative, perfino il revival di un approccio keynesiano, hanno poco supporto politico. Questa crisi ha inoltre esposto le vulnerabilità dell’Unione Europea alle varie sollecitazioni esercitate dalle diverse capacità nazionali di trattare le sfide incombenti. Tutte queste preoccupazioni economiche sono complicate e intensificate dall’avvento del cambiamento climatico globale e dei suoi impatti aspramente diseguali.

Una quarta frattura nella governance globale è associata all’irrisolto tumulto nel Medio Oriente e in Nord Africa. Le sollevazioni popolari di massa iniziate in Tunisia hanno fornito la scintilla per incendi altrove nella regione, specialmente in Egitto. Queste straordinarie sfide all’ordine stabilito hanno vividamente inciso nella consapevolezza politica globale il coraggio e la determinazione della gente comune che vive in questi paesi arabi, specialmente dei giovani, che stanno sopportando da tutta una vita condizioni intollerabili di privazione materiale, disperazione, alienazione, corruzione delle élite, e oppressione spietata.

I risultati di questi movimenti per il cambiamento nel mondo Arabo non si possono ancora conoscere, e non li conosceremo per mesi, se non per anni a venire. È cruciale che i sostenitori presenti sia sulla scena sia in giro per il mondo non si auto-compiacciano poiché è certo che quelli con interessi arroccati nel vecchio ordine oppressivo e sfruttatore stanno cercando di ristabilire le precedenti condizioni per quanto possibile, o almeno porre in salvo quello che possono. A tale proposito, sarebbe un errore ingenuo pensare che si possano ottenere risultati trasformativi ed emancipatori dall’eliminazione di una sola figura odiata come Ben Ali in Tunisia o Mubarak in Egitto, neppure se si cambiasse l’entourage più vicino. Un mutamento significativo sostenibile richiede una nuova struttura politica, come pure un nuovo processo che assicuri elezioni libere e oneste e adeguate opportunità per la partecipazione popolare.

Una vera democrazia dev’essere di sostanza come pure procedurale, portando alla gente una sicurezza umana, comprensiva dei bisogni fondamentali, un lavoro decente, e una polizia che protegga anziché vessare. Altrimenti, i cambiamenti operati non fanno che differire ad altra data il momento rivoluzionario, e un tormento di patimenti di massa riprenderà fino a quel momento.

Per semplificare, quanto resta irrisolto è la natura fondamentale del risultato di questi scontri fra la popolazione in rivolta della regione e il potere statale con i suoi orientamenti autocratici e neoliberisti. Questo risultato sarà trasformativo realizzando un’autentica democrazia basata sui diritti umani e un ordine economico che ponga i bisogni della gente davanti alle ambizioni del capitale? Se sì, si potrà allora parlare propriamente di Rivoluzione Egiziana, di Rivoluzione Tunisina, e forse altre nella regione e altrove a venire, com’era appropriato descrivere il risultato iraniano nel 1979 come Rivoluzione Iraniana.

Da tale prospettiva un risultato rivoluzionario può non essere necessariamente fausto aldilà della liberazione della società dal vecchio ordine. In Iran è emerso un regime nuovamente oppressivo basato su diverse fondamenta ideologiche, dopo le elezioni del 2009 sfidato esso stesso da un movimento popolare definitosi Rivoluzione Verde. Finora l’uso di questo termine rivoluzione ha espresso speranze piuttosto che realtà.

Quel che ha effettivamente avuto luogo in Iran, e che è parso scaturire dal massacro scatenato dallo stato cinese in piazza TianAnmen nel 1989, era ‘controrivoluzione’cioè la restaurazione dell’antico ordine e la sistematica repressione di quelli identificati come partecipanti al moto di sfida. I termini utilizzati possono davvero essere fuorvianti. Quel che quasi tutti i seguaci della Rivoluzione Verde sembravano cercare in Iran erano riforme, non rivoluzione, cioè cambiamenti nel personale e nelle politiche, protezione dei diritti umani, ma non una sfida alla struttura o alla costituzione della Repubblica Islamica.

Non è chiaro se il movimento in c sia al momento abbastanza unificato o riflessivo da avere una visione coerente dei propri obiettivi oltre allo sbarazzarsi di Mubarak. La reazione dello stato, oltre a tentare di schiacciare la sollevazione e d’impedirne la copertura mediatica, offre al più promesse di riforma: elezioni più corrette e più libere, rispetto per i diritti umani. È piuttosto oscuro quel che s’intenda fare e più ancora quel che capiterà nel corso di una ‘transizione ordinata’ sotto l’egida dei leader provvisori intimamente legati al vecchio regime, e probabilmente beneficiari di entusiastico sostegno a Washington.

Un’agenda cosmetica di riforme nasconderà un’effettiva politica controrivoluzionaria? O le aspettative rivoluzionarie si faranno avanti in una popolazione esacerbata per sovrastare gli sforzi pacificatori dei ‘riformatori’? Oppure potrebbe esserci un autentico mandato di riforma, sostenuto da élite e burocrati, che attui mutamenti abbastanza ambiziosi in direzione della democrazia e della giustizia sociale da soddisfare il gran pubblico? Ovviamente non c’è assicurazione, né probabilità spiccata, che i risultati saranno gli stessi o neppure analoghi nei vari paesi sottoposti a queste dinamiche di cambiamento, e qualcuno vedrà una ‘rivoluzione’ dove ha avuto luogo una ‘riforma’, e pochi riconosceranno fino a che punto può arrivare la ‘controrivoluzione’ nell’infrangere anche modeste promesse di riforma.

In gioco, come mai dal crollo dell’ordine coloniale nel Medio Oriente e in Nord Africa, c’è il dispiegarsi e il plasmarsi dell’auto-determinazione nell’intero mondo arabo e forse oltre.

Come queste dinamiche influiranno sull’agenda regionale più vasta non traspare a questo stadio, ma c’è ogni ragione di supporre che il conflitto Israele/Palestina non sarà mai più propriamente lo stesso. È anche incerto come attori regionali importanti come la Turchia o l’Iran utilizzeranno o meno la propria influenza. E ovviamente, il comportamento dell’elefante non formalmente presente nella stanza sarà probabilmente un elemento cruciale nella miscela per qualche tempo, nel bene e nel male.


4 febbraio 2011

Titolo originale: Egypt’s Transformative Moment: Revolution, Counterrevolution, or Reform

http://richardfalk.wordpress.com/2011/02/04/egypt%E2%80%99s-transformative-moment-revolution-counterrevolution-or-reform/

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Sereno Regis


 

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