Daniele. L’obiezione di coscienza al potere – Giuliana Martirani

Quasi una rivoluzione nonviolenta online per una democrazia partecipata (Attualizzazione del cap. 13 del libro di Daniele, realizzato con la «Scrittura collettiva» di don Lorenzo Milani)

Gioacchino

Nel Paese c’era un gruppo di volontariato formato da soli ragazzi, chiamato “Il sollievo di Dio” (‘Gioacchino’ lo avevano soprannominato gli amici quando avevano saputo che quel nome significa appunto “Dio ci solleva”). Avevano scelto questo nome proprio perché loro credevano di poter essere per gli altri l’aiuto di Dio che toglie i pesi al momento giusto.

Nel loro statuto avevano voluto mettere, anche con una bella prosa evocativa (e quante discussioni c’erano state!) all’art.1 la loro volontà e fierezza di appartenere ad un Paese normale: «Al mattino lungo i binari della stazione, tra i pendolari della scuola e del lavoro, attorno alla tavola della domenica e tra gli scaffali del supermercato, all’alzare delle serrande e dietro il rumore di un trattore, siamo un Paese normale. E scopriamo un Paese migliore quando conosciamo organizzazioni di volontariato che si spendono in silenzio per disabili, carcerati, anziani. Quando un gruppo di medici decide di fare i turni in un villaggio africano per curare i figli della fame. Quando un’insegnante accompagna un gruppo di scolaretti in un museo e quando non rispetta i ritmi del programma e racconta dei morti di mafia e dei sopravissuti. Gente senza medaglie e senza copertine lucide sui settimanali. Gente che siede sulle sedie di casa e non è mai stata ospite di un talk-show. Gente normale. Gente migliore in un Paese normale. Si può vivere benissimo limitandosi a pranzare all’ora del pranzo, non vendendosi e non comprando gli altri, facendo le persone serie e tenendo comportamenti consoni alle responsabilità che abbiamo. Senza millantare niente, limitandosi a proporsi per come si è. Cercando di fare bene le cose e di fare il bene delle persone. Senza parrucchino, senza zigomi e labbra rifatte, senza conti offshore, senza stuoli di avvocati sempre e ovunque!».

Susanna

Nello stesso Paese un gruppo di ragazze decisero di associarsi e di dare al proprio gruppo il nome di Susanna, che significava giglio, anemone, loto. Perché tali erano quei fiorellini, educate dalle loro famiglie con sani valori di bontà, pulizia, onestà e senso del lavoro.

Ragazze che avevano una gran voglia di non rinunciare ad essere oneste, giuste e sopratutto libere dalle schiavitù di ogni tipo, convinte che insieme potessero dire e far sentire il grido di dolore che le donne si portano dentro.

Le loro famiglie, infatti, erano famiglie profondamente radicate nel lavoro onesto e faticoso e in relazioni familiari fondate sull’affetto vero e sulla gratuità. E che con forza affermavano:«Le nostre figlie non sono in vendita».

E infatti queste ragazze avevano scritto sulla porta della loro Associazione un frase di San Suu Kyi, il premio Nobel birmano che diceva: «Non tutto si può comprare col denaro, non tutti sono disposti ad essere comprati».

Dicevano, nelle loro riunioni, che il nemico non era affatto il genere maschile ma un certo tipo di mentalità, di decadenza culturale e di malcostume che in questo momento sembravano prevalere nella società.

I due vecchi

In quel periodo, nel Paese, erano al massimo potere politico e mediatico due vecchi, di quelli di cui il Signore ha scritto nella Bibbia: «L’iniquità è uscita da Babilonia per opera di anziani e di capi politici, che solo in apparenza sono guide del popolo».

Uno di loro, il più potente, trovava consenso politico soprattutto tra coloro i cui sogni nel cassetto erano di avere tanti soldi per permettersi qualsiasi cosa e, se uomini, di avere un harem, esprimendo così la loro “virilità”.

Questi due vecchi, con i loro programmi e le loro Tv erano sempre presenti nelle case dei ragazzi del Paese con la Tv sempre accesa e soprattutto su canali di successo, quelli in cui giovani ragazzi, maschi e femmine, erano protagonisti di sfide nei reality, oppure sfide per il successo e i soldi. E facevano la coda ai cancelli delle loro televisioni per fare provini e sperare di far tanti soldi come attori, cantanti, ballerini e veline in qualche programma.

Ormai anche la più banale delle trasmissioni aveva il suo balletto di donne seminude e l’ultimo dei giornali aveva gigantografie di donne belle in pose ammiccanti.

I due vecchi, a furia di esercitare il loro potere su tanti giovani fanciulle, persero il lume della ragione. Soprattutto il vecchio più potente perché capo politico oltre che mediatico, era preso da un’insana passione per le giovani fanciulle, se piccole e tenere meglio ancora, ed era in grado, visti i tanti soldi che aveva, di farselo a domicilio il turismo sessuale senza doversi spostare o parlare lingue straniere.

Finché un giorno i due vecchi si ritrovarono insieme e studiarono un bel programmino per poter soddisfare le loro voglie con il fior fiore di fanciulle.

Il giardino

Poiché il Gruppo Gioacchino, a scopo di raccolta fondi per i loro corsi di formazione al genere maschile (dicevano, infatti, che bisognava ri-educare i ragazzi al loro stesso genere) a volte affittava il suo giardino per degli eventi pubblici, i due vecchi diedero incarico a un loro ruffiano, un cosiddetto talent scout, che organizzasse una sfilata di moda (cosiddetta!) allo scopo di mettere insieme un po’ di pollastrelle con la prospettiva (falsa ovviamente!) di ingaggiarle come veline, ballerine o partecipanti ad un reality e cose simili. Con l’obiettivo vero, invece, di fare un bel festino in quel paese, visto che dovevano partecipare ad una noiosa riunione politica e si sarebbe fatto tardi per rientrare, e poi dicevano gli ‘esperti’ che da quelle parti le ragazze erano di rara bellezza!

Venne dunque il giorno della cosiddetta sfilata a cui, incautamente o ingenuamente il gruppo Gioacchino, senza dirlo ai due vecchi e al talent scout, aveva invitato come spettatrici anche le ragazze del Gruppo Susanna. Ne furono meravigliati, i due vecchi quando videro che ce n’erano ancora di più del previsto di ragazze. Ma nella loro arroganza e presunzione non capirono che erano ingenue spettatrici e ne furono solo contenti.

Appena le porte furono chiuse i due vecchi con la loro autorità e dall’alto del loro potere dissero alle ragazze di sfilare per vedere quale era la più bella e perfetta: quella avrebbero immediatamente assunto con un gran contratto nelle loro Tv.

Subito il vecchio più potente perché capo politico, insidiò le ragazze della sfilata cercando di possederle, naturalmente col solito ricattuccio del miraggio di una brillante carriera artistica e … perché no? eventualmente anche politica!

Le ragazze del Gruppo Susanna, sedute in giardino per assistere (ingenue!) alla sfilata di moda, compatte, sicure di sé e assolutamente refrattarie a futuri di veline e ballerine, loro che invece sanamente desideravano diventare dottoresse avvocatesse, giornaliste, magistrate e insegnanti, se ne scapparono di corsa dal giardino e andarono chi a denunciare in tribunale i fatti che stavano accadendo alle giovani ragazze della cosiddetta sfilata, chi a riferire tutta la storia ai giornali locali, chi invece tornò lesta a casa per iniziare un’azione di democrazia partecipata su Internet con mail, invio messaggi, Facebook, Twitter…

Daniele

Grazie allo Spirito che soffia e tutto scompiglia, si formò una Rete di associazioni, di persone, di giornali, blog, che in gran fretta, alla denuncia delle ragazze del gruppo Susanna, si erano aggregate facendo Rete e che con altrettanta velocità avevano denominato Daniele, nome che avevano scelto quando avevano saputo che significava: Dio giudica (e finalmente! si erano detti, che giudica anche attraverso il nostro muoverci!). La rete Daniele lanciò un’obiezione di coscienza al potere politico e ai suoi abusi, su vari giornali, Facebook, Twitter: «Noi siamo innocenti della fine che faranno queste giovani fanciulle e della loro morte civile!». Basta con condiscendenze, silenziose connivenze, basta con l’omertà! Da questa dichiarazione nacque una sorta di rivoluzione nonviolenta online, accompagnata da una democrazia partecipata.

Il gruppo Susanna e il gruppo Gioacchino fecero una dichiarazione congiunta che era quasi un grido di allarme: «Donne dove siete? Uomini quando vi svegliate?»

Dinnanzi a quella mercificazione il Gruppo Gioacchino scrisse un suo manifesto nel quale sottolineava che era ora di levare un grido planetario, di scuotere le coscienze maschili, di capire perché gli uomini si siano così poco evoluti: «Dove sono gli uomini, dove sono i maschi? Poche sono le loro voci, anche dei credenti, che si alzano chiare e forti. Nei loro silenzi c’è ancora troppa omertà, nascosta compiacenza e forse sottile invidia. Dentro questo mondo maschile, dove le relazioni e i rapporti sono spesso esercitati nel segno del potere, c’è un grande bisogno di liberazione. Perché – scrivevano i ragazzi del Gruppo Gioacchino – non era più soltanto una questione di dignità femminile, ma di sano orgoglio maschile che si dovrebbe essere stufato di essere turlupinato da immagini che non corrispondono assolutamente alla realtà».

E sottolineavano che «Mercifica chi si comporta da negriero (anche se indossa abiti di cashmere), mercifica chi per ricavare piacere si rivolge al corpo di una prostituta, chi induce gli altri a prostituirsi, chi si prostituisce. Lo spirito con cui queste persone agiscono è simile a quello di chi per speculare, devasta i territori, le acque, il tessuto sociale di una regione, la sua fauna, la sua vegetazione.

Un alto prelato levò la sua voce per dire con forza che «Sono i giovani le prime vittime perché quando si esaltano modelli discutibili come la corsa alla ricchezza, la forza del danaro e, ancor peggio, lo sfruttamento della bellezza della donna con modi di vivere moralmente inaccettabili, i ragazzi vengono inevitabilmente danneggiati. La donna viene presentata come un oggetto e buttato via, la bellezza fatta merce, la corsa al danaro, alla ricchezza e al potere: sono questi gli esempi dannosi che da determinati politici vengono propinati. E i giovani ne sono le prime vittime … proprio in questo decennio dalla Chiesa dedicato all’educazione. E’ un crimine che, a livello di educazione si sta consumando a danno dei giovani … attirati da sirene pericolosissime».

E un altro disse che «se quei reati fossero stati commessi, chi li ha commessi ha una enorme responsabilità morale, specialmente se si tratta di persona pubblica che ha responsabilità pubbliche, è un fatto gravissimo sia sul piano dell`etica privata che pubblica. E, in questo caso, serve un atto di vergogna e, insieme, l`uscita di scena dalla vita pubblica perché il Paese ha bisogno di persone che non siano assolutamente imputabili di simili misfatti.

Un Gruppo di suore con forza lanciò un monito al vecchio che aveva tanto potere e rappresentanza politica: «Non ti è lecito! Di fronte a tale e tanto spettacolo l’indignazione è grande! Come non andare con la mente all’immagine di un altro ‘palazzo’ del potere dove circa 2000 anni fa al potente di turno, incarnato nel re Erode, il Battista gridò con tutta la sua voce: Non ti è lecito! Non ti è lecito offendere e umiliare la ‘bellezza’ della donna; non ti è lecito trasformare le relazioni in merce di scambio guidate da interessi e denaro; e soprattutto oggi non ti è lecito soffocare il cammino dei giovani nei loro desideri di autenticità, di bellezza, di trasparenza, di onestà; tutto questo è il tradimento del Vangelo, della vita e della speranza!»

Altre suore, anch’esse vicine a donne usate come merce e ‘prostituìte’ dalle mafie, lanciarono messaggi mail dicendo:«Siamo ancora molto lontani dal considerare la donna per ciò che è veramente e non semplicemente un oggetto o una merce da usare a piacimento per interessi personali. Che immagine stiamo dando della donna e del suo ruolo nella società e nella famiglia, a prescindere dai fatti di cronaca, dalla veridicità o meno di ciò che ci viene presentato, dal linguaggio usato senza vergogna? Non ci rendiamo conto che la prostituzione del corpo e dell’immagine della donna è diventata ormai parte integrante nei nostri programmi e notizie televisive, alla portata di tutti e che purtroppo educa allo sfruttamento, al sopruso, al piacere, al potere, noncuranti delle dolorose conseguenze sui nostri giovani che vedono solo modelli da imitare. La donna è diventata solo una merce che si può comperare, consumare per poi liberarsene come “usa e getta».

Altri credenti sostenevano che era ora che le parole del vangelo risuonassero opportunamente nei casi concreti e non solo in riti formali. A sostegno di ciò portavano i documenti della Chiesa che «chiede che siano realmente applicate le leggi che proteggono la donna e siano messe in atto misure efficaci contro l’uso umiliante di immagini femminili nella propaganda commerciale e contro il flagello della prostituzione». (Ecclesia in Europa, 28 giugno 2003)

Alcuni affermavano che non era solo una questione politico-istituzionale (ancorché sacrosanta!), ma soprattutto un modello culturale che perdurava. Altri dicevano come inquietasse vedere esercitare un potere in maniera così sfacciata e arrogante che riduce la donna a merce, dove fiumi di denaro e di promesse intrecciano corpi trasformati in oggetti di godimento.

Un altro, aggregatosi anch’egli alla rete Daniele, mise finalmente il dito sulla piaga e cioè sul ‘cliente’ e disse con chiarezza che una ragazza può fare la escort per mille o miliardi di motivi, ma un uomo che paga una donna offende la sua dignità trasformando quello che è un essere umano in merce. Non ci sarebbero escort se non ci fossero clienti.

Si aprì un grande dibattito nazionale, quasi come un tappo di champagne che finalmente liberava tutte le bollicine fino ad allora compresse.

Alcuni sostenevano che quel che non si poteva consentire era che questo delirio senile di impotenza declinato da un uomo che aveva i soldi – e come li ha fatti, a danno di chi, non ve lo domandate mai? – per pagare e per comprare cose e persone, prestazioni e silenzi, isole e leggi, deputati e ‘prostituìte’ portate a domicilio come pizze, continuasse ad essere il primo cittadino del Paese, il modello, l’esempio, la guida.

Altri, nel dibattito evidenziarono le connivenze della sua ‘corte’: un potere decadente fatto di una corte bolsa e ottuagenaria di lacchè che lucrano alle spalle del despota malato.

Altri ancora evidenziavano le connivenze di padri, madri, fratelli e sorelle che alla domanda se la ragazzina che ci casca nella rete del vecchio fosse sua figlia o sua sorella rispondevano: «Magari!». Un popolo di ‘mantenuti’, che mandava le sue donne a fare sesso con un vecchio perché portassero i soldi a casa.

Alla Rete Daniele aderirono anche Gruppi e Associazioni di genitori e di famiglie che inviarono un documento nel quale dicevano: «Purtroppo, nonostante l’emancipazione acquisita dalla donna in questi ultimi anni in diversi modi e settori dobbiamo constatare con vergogna che ancora oggi, nel 2011 la sua dignità è terribilmente minacciata e calpestata e la sua identità completamente offuscata. Noi auspichiamo, come genitori ed educatori coinvolti quotidianamente nella povertà spirituale di un’epoca contrassegnata da ‘soldi successo e sfida’ che sembrano le tre tentazioni nel deserto della nostra civiltà, e marcata dal consumismo e dall’egoismo più irragionevole, che si sollevi dal nostro Paese una voce forte a spazzare la lordura che ha invaso l’etica pubblica. Noi auspichiamo che questa voce affermi che le vicende del Vecchio e i suoi protagonisti rappresentano un cancro da estirpare e non un ostacolo da aggirare.

Siamo interessati, impegnati come siamo nella sfida educativa dei nostri giovani quotidianamente, a ritrovare una direzione, a cercare di stabilire cosa è giusto e cosa non lo è. Sappiamo quanto sia importante garantire una alta coesione sociale in un momento di crisi economica così profonda ma siamo sbalorditi di fronte alla deriva etica mostrata da alte cariche politiche del nostro paese e gli ripetiamo in coro: «Non ti è lecito!».

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