USA contro Cina e un premio per la Pace

Johan Galtung

USA contro Cina: due sociologi di Hong Kong, Barry Sautman ([email protected]) e Yan Hairong, hanno analizzato questo tema in “The Ignoble Hero: Liu Xiaobo and the 2010 Nobel Peace Prize” (L’eroe ignobile: Liu Xiaobo e il Premio Nobel per la Pace 2010). Il tema merita attenzione poiché mette in risalto teoria e prassi di pace. Ovviamente i due sono stati sospettati di attenersi alla linea di Pechino; ma la loro, come quella del sottoscritto, è ben diversa: “il governo cinese non avrebbe dovuto incarcerare Liu, che però non merita di aver ricevuto un premio Nobel per la pace”. Nessuno dovrebbe venire arrestato solo per le proprie opinioni.

Charter 08 è un catalogo della teoria dello stato occidentale, con divisione dei poteri, legislativo e giudiziario indipendenti, democrazia e diritti umani come libertà associativa, di riunione e d’espressione, con l’aggiunta del federalismo, della sicurezza ambientale e sociale – e liberi mercati e proprietà privata. Socialdemocrazia di destra. C’è un punto cinese, anch’esso molto valido: abolizione del sistema di registrazione hukou (sistema tradizionale di registrazione familiare, ndt), presente anche in Giappone (koseki), Vietnam e Corea del Nord, ma non del Sud. Manca però un’analisi della pace o delle relazioni interstatali in generale.

Naturalmente si può dare un premio per un film, un discorso o un documento innovatore, che schiuda un percorso per la pace, se non di fatto almeno in teoria (se né l’una né l’altra, allora la decisione è gravemente erronea). Ma il premio non è stato dato al gruppo autore di Carta 08, bensì a una persona, Liu. Il che rende imprescindibile sapere che cosa egli rappresenti.

Quando nel 1988, all’età di 33 anni, gli chiesero a quali condizioni la Cina potesse conseguire un effettivo cambiamento storico, diede la famosa risposta “Trecento anni di colonizzazione. Ce ne sono voluti cento per Hong Kong”. E confermò questa risposta nel 2006 (quando aveva oltre 50 anni). “Scegliere l’occidentalizzazione è scegliere di essere umani”.

Queste sono opinioni paragonabili a quelle di qualche americano dopo la guerra d’Indipendenza che auspicasse il ritorno del governo di Londra, o di qualche norvegese dopo la seconda guerra mondiale che auspicasse il ritorno dell’occupazione nazista con Quisling. Esisteva senza dubbio gente così, ma ha forse preferito starsene zitta, non sicura di poter essere protetta dalla libertà d’espressione. Comunque non è quello il punto, ma che il comitato del parlamento norvegese incaricato di assegnare il premio, pur essendo al corrente di ciò (data la ricerca effettuata), gli ha dato il premio avallando così l’opinione sul colonialismo.

Liu ha anche opinioni nette contro la cultura cinese in quanto “fiacca, smidollata e buona a nulla”, un “pot-pourri che non è né carne né pesce”. Ovviamente la libertà d’espressione implica la libertà di criticare la propria cultura, ivi compreso il confucianesimo, come fa Liu. Tuttavia, anche questo non è il punto, bensì che il parlamento norvegese lo sapesse, e implicitamente abbia avallato tale opinione conferendogli il premio. Per la comprensione fra le nazioni?

Liu è entusiasta della guerra USA, “la guerra coreana, la crisi dello stretto di Taiwan, e la guerra del Vietnam”. E “la guerra contro Saddam Hussein è giusta! La decisione del presidente Bush è corretta!” Nel conflitto Israele/Palestina incolpa i palestinesi come “provocatori”. Opinioni del genere si riscontrano spesso in Occidente, come al vertice del partito laburista norvegese, ora in guerra in Afghanistan, e Liu deve godere della stessa libertà. Tuttavia, anche questo non è il punto, bensì che il parlamento norvegese lo sapesse, e implicitamente abbia avallato tale opinione conferendogli il premio.

Questo non soddisfa in alcun modo i criteri di Nobel così come sono stati evidenziati da Fredrik S. Heffermehl, The Nobel Peace Prize. What Nobel Really Wanted [Il premio Nobel per la Pace: quel che Nobel voleva realmente] (Praeger, 2010; anche in cinese e russo).

Ma la decisione è anche gravemente erronea dal punto di vista logico, empirico e teoretico. Ci dovrebbe essere una sostanziale correlazione fra i diritti civili e politici (regole di procedura civile, RPC) e la pace. In un paese possono essere causa ed effetto reciproci, ma la “pace” per la maggior parte della gente è fra paesi, mentre le RPC sono affare interno. Se il “diritto alla vita” fosse esteso attraverso i confini, bandiremmo la guerra e lo sfruttamento, con i vari milioni di morti per violenza diretta e strutturale; ma non è così. Ne risultano paesi con alti livelli di RPC ma anche con indici molto elevati di belligeranza (rapporto fra il numero di guerre combattute e il numero d’anni d’esistenza del paese), con in cima USA, Israele e Regno Unito.

E dov’è la teoria? Quel che vediamo oggi è che paesi bravi nelle RPC sembrano pensare che ciò dia loro il diritto alla guerra, per esempio per imporre i diritti umani. Ma come la democrazia, i diritti umani devono emergere dall’interno e non possono venire imposti violandoli. Se la democrazia vuol dire elezioni nazionali multi-partitiche libere ed eque, ebbene la Cina non le ha mentre i tre paesi suddetti sì, eppure sono molto spesso in guerra. Se aggiungiamo a quella definizione ritualistica di democrazia “trasparenza e dialogo”, WikiLeaks ne ha ben mostrata la carenza. Sembra piuttosto che la democrazia sia una licenza di uccidere, e non un obbligo a essere trasparenti oltre i confini e usare il dialogo per cercare soluzioni.

Ma RPC e democrazia non creerebbero pace in Cina?

Sautman e Yan mostrano che non sarebbe necessariamente così a livello mondiale. Le RPC possono coesistere con la trascuratezza dei diritti economici e sociali. USA e Cina hanno bisogno l’uno dell’altra e dovrebbero cooperare su entrambe le tematiche, non usare i rispettivi deficit come armi politiche, aiutate in questo anche da un paese cliente USA. E quel paese avrebbe dovuto dare il diritto di conferire il Premio Nobel per la Pace ad altri quando entrò nell’alleanza NATO, nel 1949, con uno dei due blocchi.


17.01.11 – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

1 commento
  1. Giuseppe Napoli
    Giuseppe Napoli dice:

    Le argomentazioni di John Galtung sono la prova migliore che il Premio Nobel per la Pace a Liu Xiaobo è stato ben meritato e ben dato.

    È tempo di strappare il velo ipocrita degli "affari interni" che copre ormai sempre meno le vergogne di regimi tirannici, nemici dei loro stessi popoli.

    LIBERTA' PER LIU XIAOBO!

    LIBERTA' E DEMOCRAZIA PER LA CINA!

    COSTRUIAMO INSIEME UN MONDO UNITO E IN PACE!

    SOSTENETE IL PARTITO MONDIALISTA
    http://www.mondialisti.net

    Rispondi

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