WHICH WAY HOME – Recensione di Laura Operti

Uno sconvolgente film-documentario diretto da Rebecca Camissa (USA) ci porta su un treno che attraverso il Messico raggiunge il confine con la California e conduce negli Stati Uniti. Sul tetto del treno viaggiano, rischiando ogni sorta di pericolo, bambini e ragazzini messicani e provenienti da paesi limitrofi, Honduras, El Salvador, che vogliono emigrare clandestinamente.

Chiamano il treno “la bestia”, scherzando. Sì, perché questo viaggio terribile, è vissuto dai protagonisti del film come un’avventura, a tratti divertente, una sfida contro tutti, che li porterà in un luogo dove condurre una vita migliore.

Altri film, libri, inchieste, reportages hanno per oggetto questo tema, ma la potenza dell’immagine, la drammaticità, la poesia di questo film ne fanno un’opera che resterà come documentazione eccezionale sul problema dei minori non accompagnati che cercano di varcare confini a loro negati.

Which Way Home ha partecipato con successo al Tribeca Film Festival del 2009, a New York.

Particolarmente toccante nei loro racconti, fatti di speranza, coraggio, rabbia, dolore, è quello che i ragazzini dicono con struggente nostalgia della madre che hanno lasciato, a cui sperano di poter mandare i soldi che guadagneranno, chissà con quali lavori.

Ma quel che si avverte è che hanno ancora bisogno di carezze, di accudimento, di calore. E quel che sperano, se mai riusciranno ad arrivare negli States, è che una famiglia li adotti per poter sopravvivere, dal punto di vista delle leggi e non solo.

Ma succede che prima di arrivare alle frontiere, alcuni di loro vengano arrestati e portati nei Centri di detenzione: anche qui la descrizione dei luoghi è cruda e mette in risalto la tristezza della loro condizione. Molti non ce la faranno, moriranno o sul tetto del treno, o in altri modi crudeli. Alcuni torneranno indietro nelle loro case, da sconfitti.

Il modo in cui la regista avvicina questi ragazzini è particolare: è un incontro molto ravvicinato fatto di mille domande che, trattandosi di minori (Olga e Freddy dell’Honduras hanno 9 anni), a tratti sembra quasi inopportuno. Efficacia del messaggio, effetti drammaturgici e rispetto del minore, in più di una scena ci sembrano in bilico. Qualcosa ci ricorda le problematiche del cinema antropologico che sfiora sempre il limite oltre il quale c’è la sottile violenza che il regista opera sull’intimità e il privato dei suoi personaggi. Alla fine il sentimento che prevale però è che se il film non fosse fatto in questo modo la forza della denuncia che in esso è contenuta sarebbe di molto impoverita.

E siccome alle nostre generazioni tocca di assistere e in qualche modo essere complici di tante iniquità che avvengono sotto gli occhi di tutti e ci sembra vergognoso tacere (come per quello che avviene nel Mediterraneo), le testimonianze che può dare il cinema diventano un gesto di politica attiva e non solo di espressione artistica. Per questo, benvenute!

Il documentario è stato presentato al Cinema Baretti di Torino in occasione della Rassegna Crocevia di sguardi. Documentari e approfondimenti per capire le migrazioni organizzata da FIERI, Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione.

Guarda il trailer: http://www.whichwayhome.net/media/WWH_trailer-which-way-home.mov?width=640&height=480

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