Unità culturale dell’Africa nera? – Johan Galtung

Douala, Camerun: Questo è il titolo dell’affascinante libro di Cheikh Anta Diop, pubblicato da “Presence Africaine” a Parigi e Dakar per la prima volta nel 1959. Una tesi di laurea molto originale presentata alla Sorbona nel 1954, che superò la prova, venendo rifiutata, inizialmente, da qualche personaggio francese minore. Dopo di che, Diop pubblicò parecchi libri su temi correlati fino alla sua morte nel 1986, sostenendo un progetto di Stati Uniti federali d’Africa, con 700 milioni di abitanti, otto regioni naturali, incredibilmente ricche.

Il suo approccio all’unità si basa sulle tesi di un avvocato-macrostorico svizzero, Johan Bachofen, di un antropologo USA, Lewis M. Morgan, di un macrostorico tedesco, Friedrich Engels, e sulla profonda conoscenza del dramma greco. Perché quest’ultimo? Perché riflette la contraddizione matriarcato-patriarcato dopo la prima forma riconosciuta da Bachofen, la promiscuità. Sono tutte variazioni sul tema perenne “figlio di mamma, forse di papà”. E’ innegabile il nesso uterino, che dà alla madre una gran preminenza come fonte di vita, e al matriarcato una base altrettanto solida. Che cosa potrebbe scalzarla?

Il fattore cui ci si riferisce di solito è il vantaggio muscolare che gli uomini hanno sulle donne, che seleziona gli uomini per la caccia piuttosto che per la raccolta. Si menzionano sovente i mesi prima e dopo la nascita, che legano le donne alla casa, nelle società nomadi come nelle sedentarie. Accudire malati e deboli si può condividere, ma va spesso insieme alla cura dei neonati.

La caccia seleziona gli uomini per il nomadismo a lunga distanza, la violenza e la guerra. L’abbondanza materiale comporta che le donne accudiscano tutti, condividendo, e meno per gli uomini. In tempi di scarsità – siccità, cambiamento climatico di base – si mobilitano gli uomini e con loro il patriarcato. E gran parte dell’Africa nera godeva di abbondanza prima che il colonialismo arrivasse da un’Europa affaticata per climi aspri, scarsità, concorrenza. E uccidesse e schiavizzasse i maschi, trovando qualcosa attorno a cui istituire la scarsità.

Inflisse sì megatraumi, ma non distrusse del tutto l’Africa nera. Conclude Chekh Anta Diop (pagg. 185-186): “– la culla Meridionale dell’umanità sul continente africano (nero) è caratterizzata dal matriarcato quale sistema famigliare – xenofilia, cosmopolitismo, qualche sorta di collettivismo sociale che ha per conseguenza una tranquillità al confine con il quasi disinteresse per l’indomani, una solidarietà materiale quale diritto di tutti, che ha reso la miseria materiale e spirituale ignota fino ai nostri giorni; ci sono dei poveri, ma nessuno si sente lasciato solo, nessuno è angosciato. In ambito morale gli ideali sono la pace, la giustizia, la bontà e l’ottimismo, che eliminano sensi di colpa e di peccato originale dalla religione e dalla metafisica. I tipi preferiti di letteratura sono il romanzo, il racconto, la fiaba, e la commedia. La culla nordica in Grecia e a Roma è caratterizzata dal patriarcato quale sistema famigliare – da cui emanano xenofobia, individualismo, solitudine morale e materiale, sgradimento per l’esistenza, materiale su cui si basa la letteratura moderna, che filosoficamente è nulla più che un’espressione del disgusto per la vita – come guerre, violenza, crimine, conquiste ereditate dalla vita nomade, insieme a sensi di colpa e di peccato originale quali basi per costruzioni religiose e metafisiche. Progresso tecnico, vita moderna e graduale emancipazione delle donne sotto tale individualismo. L’espressione letteraria preferita è la tragedia, il dramma.”

Parole forti. E ci si chiede se la militanza che giunse con il cristianesimo sotto l’Impero Romano e le crociate abbiano a che fare con la scarsità della zona temperata, e per l’islam con il contesto desertico. E se un buddhismo radicato nell’abbondanza dei tropici rigogliosi semplicemente dovesse predicare “né troppo poco, né troppo” per spianare la via alla crescita spirituale, e se facesse lo stesso la religione africana. Riduzionismo alla natura, determinismo naturale? Come unico fattore, sì. Con la biologia di genere come unico fattore in questo discorso monofattoriale.

Professore di relazioni internazionali, pace e sviluppo all’Università Protestante dell’Africa Centrale, Célestin Tagou è vissuto in molte parti d’Africa, come il Rwanda. I bianchi respinsero le superstizioni africane portandovi le proprie. I colonizzatori tedeschi erano affascinati dall’antropometria e trovarono i Tutsi più vicini alla statura e alla fisiognomia tedesca che gli Hutu, nominandoli quindi superiori per evoluzione. In realtà gli Hutu erano agricoltori e i Tutsi mandriani avendo così più accesso al latte. I belgi successori dei tedeschi trovarono gli Hutu più numerosi che i Tutsi, nominando i primi come base per una democrazia maggioritarie. Idee forti che trovarono espressione nel 1994.

Possiamo aggiungere un’altra superstizione occidentale: l’idea di progresso, proiettata sul mondo per riferire come fatti, dati, reperti scientifici, di società meno, sotto-sviluppate e più sviluppate, e altre ancora in sviluppo. Cosa manca, sfuggito all’attenzione, a causa delle loro superstizioni? Ovviamente, le società sovra- sviluppate. E quelle cghe si stanno sottosviluppando, lidea di regresso, che colpisce proprio ora l’Anglo-America donde vennero tali idee, e i paesi PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) – ma si dà il caso che essi siano destinatari di molta assistenza del Fondo di Sviluppo UE, il che vuol dire molta crescita non-organica. Forze intense che possono chiedere assistenza africana.

Davanti al nostro sguardo passano una rigogliosa abbondanza, il maestoso monte Camerun (4.100 metri) prossimo alla ricca costa atlantica, cibo abbondante, bell’abbigliamento, brutte case, gente sana, molta scolarità. E una comunità (CEMEAC) di sei stati, il Camerun attorniato dai più piccoli Gabon, Guinea Equatoriale, Ciad, Repubblica Centro-Africana e Congo-Brazzaville, frontiere aperte, libero flusso di manodopera e una sola moneta, il franco, ben prima dell’euro. Pace, Lavoro, Patria è uno slogan. E vedo con gli occhi interiori un pupetto di tre mesi, figlio di Célestin e Gladys, che si chiama Galtung Tagou Nephane (celestiale). E gli dedico questo editoriale. Possa l’Africa essere più africana.

01.11.10 – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis

Titolo originale: The Cultural Unity of Black Africa?

http://www.transcend.org/tms/2010/11/the-cultural-unity-of-black-africa/

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